Nel 1978 uscivano "I fondamenti della matematica dall'800 a oggi", composti da tre saggi scritti, in ordine, da Casari, Marchetti e Israel. Per i nostri scopi prenderemo in considerazione i primi due. Il primo tratta "Il problema dei fondamenti della matematica". Da questo saggio possiamo apprendere che anche in campo matematico si sono opposte le due linee pensiero riduzionistica e olistica. Cominciamo da quella riduzionistica.
Casari, indica tre tratti essenziali del riduzionismo: riguardo al primo, "questa riduzione fu sempre concepita in ogni sua fase, come un'analisi di ciò che era più complesso in termini di ciò che era più semplice, mediante l'uso di strumenti genericamente insiemistici e logici". Rispetto al secondo, "il lavoro riduttivo venne concepito in maniera determinata": ossia gli enti ottenuti per via di riduzione potevano anche subire una ulteriore analisi, ma erano qualcosa "di determinato in sé", perciò enti in qualche modo autonomi "sensatamente presupponibili". Infine: "Il terzo tratto importante è che, avendo l'esperienza insegnato a diffidare della intuizione, il rigore era d'obbligo e la necessità di definizioni esatte e dimostrazioni rigorose era fortemente sentita".
Casari, indica tre tratti essenziali del riduzionismo: riguardo al primo, "questa riduzione fu sempre concepita in ogni sua fase, come un'analisi di ciò che era più complesso in termini di ciò che era più semplice, mediante l'uso di strumenti genericamente insiemistici e logici". Rispetto al secondo, "il lavoro riduttivo venne concepito in maniera determinata": ossia gli enti ottenuti per via di riduzione potevano anche subire una ulteriore analisi, ma erano qualcosa "di determinato in sé", perciò enti in qualche modo autonomi "sensatamente presupponibili". Infine: "Il terzo tratto importante è che, avendo l'esperienza insegnato a diffidare della intuizione, il rigore era d'obbligo e la necessità di definizioni esatte e dimostrazioni rigorose era fortemente sentita".
Casari cita Dedekind, il quale sosteneva che "ciò che può essere dimostrato non può essere creduto nella scienza senza dimostrazione". Ma questa esigenza di rigore "non si è però mai -in questi autori- posta come problema di eliminazione di un significato, eventualmente anche un significato intuitivo, dalle proposizioni della matematica. Essa si poneva come problema di eliminazione della intuizione dal processo di svolgimento della costruzione matematica, ma mai come problema di una esclusione di significato".
In sostanza, queste sono le caratteristiche peculiari del punto di vista riduzionistico che emerge dalla matematica dell'Ottocento. E' in opposizione ad esso che si manifesta "un altro fenomeno, completamente diverso, legato piuttosto al mondo dei geometri e degli algebristi. Si tratta del graduale emergere di un punto di vista che -considerato nei suoi esiti- si potrebbe chiamare della rivoluzione assiomatica".
"Nel corso dell'Ottocento si verificano, all'interno della matematica, alcuni fenomeni che mutano profondamente" il vecchio tipo di impostazione riduzionistica: innanzi tutto, "il riconoscimento della possibilità di costruzioni di teorie geometriche, diverse da quelle alle quali si era abituati, mette in discussione proprio il valore che si possa attribuire alla intuizione, responsabile in ultima istanza della fondazione generale".
E così negli sviluppi futuri diventa prioritaria la seconda impostazione: "Se il punto d'arrivo del primo filone, quello che abbiamo chiamato del riduzionismo insiemistico, all'inizio del nostro secolo è il logicismo di Bertrand Russell, il punto di arrivo di questo altro filone sono i fondamenti della geometria di David Hilbert e i fondamenti dell'aritmetica di Giuseppe Peano". Inizialmente questi due filoni non si contrappongono. Solo all'inizio del secolo ognuno pretende d'essere "la strada, la maniera di fare matematica", Frege e Russell da un lato, Peano e Hilbert dall'altro.
Potremmo concludere questa prima parte ipotizzando che a distinguere i due fronti sia stata soprattutto la visione riduzionistica dei primi, Frege e Russell, antagonista alla visione complessiva, potremmo dire olistica, dei secondi, Peano e Hilbert.
Ma per capirne di più vediamo il secondo saggio di Marchetti, dal titolo molto significativo di "La scienza da strumento di conoscenza a strumento di progettazione". Considerando che oggi, nel 2012, è soprattutto la scienza tecnologica a mietere successi, mentre quella teorica ristagna in una profonda crisi, dalla quale neppure il "bosone di Higgs" riesce a risollevarla, può essere interessante considerare le tesi di questo autore.
Marchetti parte da Khun, "La struttura delle rivoluzioni scientifiche" e osserva: "In ogni caso l'idea di una logica interna alla storia delle idee evoca l'incongrua immagine di "idee" che camminano con le proprie gambe, lasciando agli uomini il compito esecutivo di "incarnarle". Più plausibile appare una concezione secondo cui, anziché essere le idee a fare gli uomini, sono gli uomini a fare le idee, sicché queste risentono e rispecchiano, con le opportune mediazioni, tutta la ricchezza e la spinta che proprio dai "fatti materiali" proviene". Poi aggiunge: "Uno dei settori in cui appare a prima vista più difficile, se non impossibile, rintracciare questo nesso, scienza-società, è la matematica tradizionale regno della logica pura e assoluta".
Poiché, però, la matematica ha partecipato da protagonista alle rivoluzioni concettuali della scienza-società, l'autore cerca di renderne ragione mediante una ricostruzione storica. Fino alla fine del Settecento preminente è il ruolo della geometria: "essa è la "scienza dello spazio" della nostra percezione, e questo spazio, dopo la rivoluzione scientifica rinascimentale, dopo Galileo e soprattutto dopo Newton, non può che essere euclideo".
Secondo Marchetti, questa era una scienza "contemplativa", scarsamente applicata al progresso tecnologico. Nella rivoluzione industriale inglese il ruolo della scienza è stato praticamente nullo. "L'idea che guida la ristrutturazione rivoluzionaria dell'organizzazione scientifica a cavallo del nuovo secolo è invece proprio quella di trasformare questa scienza "contemplativa in un effettivo strumento di progettazione e realizzazione produttiva". Così la Francia ancora arretrata, per avviare lo sviluppo capitalistico, crea una nuova figura, l'ingegnere, formato nelle scuole superiori nello studio della scienza.
Nel contempo, la matematica si trasforma "in uno strumento autonomo, che nelle mani degli scienziati deve non solo spiegare i fenomeni, ma anticiparli. Questo ruolo creativo, tipico di ogni attività progettuale, costringe il ragionamento matematico ad emanciparsi dall'intuizione, a scoprire cioè la possibilità di fondarsi il più possibile su se stesso, e, per questo, a diventare "rigoroso". E' questo il senso della rivoluzione del rigore operata da Cauchy. E' anche questo il senso della lenta rivoluzione che avviene in geometria... con la nascita della geometria descrittiva e della geometria proiettiva, discipline prive di contenuto contemplativo e intuitivo, ma al contrario essenzialmente strumenti di progettazione... E' chiaro che un disegno in prospettiva è più "realistico" di una proiezione ortogonale o di una assonometria, ma queste possono essere molto più utili nella stesura di un progetto".
Indipendentemente dalla circostanza per la quale è proprio grazie a questa astratizzazione della geometria "che diventa possibile "scoprire" le geometrie non euclidee....", occorre chiarire un paradosso dialettico qui inespresso, e cioè che l'astrazione geometrica di una proiezione ortogonale ha per oggetto e per fine qualcosa di molto realistico: il progetto di qualcosa da produrre. Dunque, l'astratto qui è molto più concreto dell'apparentemente più concreto disegno in prospettiva: è la concretezza del fabbricato umano sulla base di progetti geometrici rigorosi. Allora, il difetto dell'astrazione matematica non consiste nell'astrazione progettuale finalizzata all'opera umana, che mostra al contrario tutta la sua utilità ed efficacia. Il difetto è nell'astrazione pura che s'illude di favorire la conoscenza: il difetto peggiore è quando l'astrazione pura pretende sostituirsi alla realtà materiale, con la quale non ha nulla a che vedere.
Comunque, la matematica dell'Ottocento era ancora prevalentemente realistica. Le novità iniziarono con i cultori di un idealismo tradizionalista, come Cantor. Dice Marchetti che "in una provvidenziale armonia universale, ad ogni nostra costruzione mentale deve corrispondere, secondo Cantor, un ente del mondo esterno, per una necessaria armonia a priori. Pertanto il matematico non deve preoccuparsi del senso delle sue proposizioni, garantito dallo stesso ordine universale. Non mancano in Cantor tentativi di applicazione di questa fede, cercando conseguenze fisiche dei suoi risultati matematici: oggi ci possono far sorridere, ma nel suo intendimento si trattava di trovare la via per il recupero dell'idealismo seicentesco contro l'odiato criticismo".
Ecco la questione fondamentale: per il misticismo del matematico puro, esiste un ordine predeterminato, nel quale ogni elaborazione matematica astratta trova conforto. E' un apriori matematico indiscutibile che ha preteso sostituirsi alla realtà materiale, attraverso l'opera successiva dei fisici teorici.
Marchetti, nella sua ricostruzione storica, osserva che, giunti al nostro secolo, "il problema della giustificazione e del lavoro matematico, ora che anche gli ultimi nessi con l'intuizione sensibile, scomparivano, si trova completamente aperto". In Germania la scuola matematica di Gottingen, guidata da Hilbert, si pose un obiettivo ambiziosissimo: "elaborare una tecnica che permetta di giustificare la matematica, tutta quanta, in termini della matematica stessa, rendendola così un tutto coerente e autogiustificato".
"Un programma come quello hilbertiano che aspira a definire l'idea di una matematica come un tutto coerente, chiuso in sé, privo ormai di evoluzione essenziale rappresenterebbe insomma il compimento e la fine stessa della storia della matematica". Ma Godel dimostrò "che il programma di rifondazione assiomatica di Hilbert era impossibile per l'aritmetica come per qualsiasi branca della matematica che contenesse l'aritmetica. Questa dimostrazione implicava l'impossibilità di stabilire la coerenza e la completezza degli assiomi dell'aritmetica (o della matematica) stessa. La conseguenza fu la definitiva e radicale separazione tra la matematica e lo studio dei fondamenti. Questa nuova disciplina, che ha preso il nome di "metamatematica" (...) viene sviluppata da persone del tutto diverse dai matematici veri e propri e con scarsissime interazioni con questi ultimi".
A questo punto, Marchetti vede "uno stretto rapporto tra l'evoluzione dell'atteggiamento formalista in matematica e analoghi punti di vista nelle altre scienze, specie nella fisica..." "Anche lì al concreto e intuitivo meccanicismo, tendente a ridurre i fenomeni fisici a relazioni di movimento e forze, cioè ancora ai presunti dati primi della nostra esperienza fisica, si è sostituito un atteggiamento che non pretende interpretare le equazioni altro che in termini di numeri, da confrontaree con l'esperimento, che queste equazioni producono. Così il matematico porta avanti lo studio dei sistemi formali che non trovano altra giustificazione, nella migliore delle ipotesi, che la loro applicabilità, da parte di altri, a problemi specifici: il senso del suo lavoro verrà semmai dalla fecondità di queste applicazioni, dal "criterio del successo", e non da giustificazioni, di carattere interno e o esterno che sia, sulla natura generale del suo lavoro.
Il suo lavoro ora non ha alcuna garanzia a priori contro l'insorgere di una qualche antinomia che dovrebbe inficiarlo in linea di principio. Il suo lavoro è valutato non in termini "filosofici", ossia teorici, ma solo in termini pratici, perciò la minaccia di antinomie non lo riguarda più. Così, la ricerca dei fondamenti da parte dei logici non riguarda più la matematica, ma altri campi di applicazioni pratiche, come la cibernetica, i linguaggi artificiali, la progettazione e programmazione di macchine calcolatrici (ricordo che siamo nel 1978). Anche "il settore più "filosofico" della scienza procede insomma in forza della sua applicabilità".
Sostenere questo è lo stesso che dichiarare che non esiste più una teoria della conoscenza. E infatti Marchetti scrive: "Questa rinuncia della scienza a "rendere comprensibile" il mondo, questo suo utilitarismo spinto significano evidentemente che il lungo processo iniziato con la rivoluzione borghese ha portato ad un mutamento che è un ribaltamento del ruolo di questa attività nella società"... "la matematica, proprio quando abbandona le pretese di conoscenza assoluta, si rivela per qualcosa di storicamente e socialmente determinato, funzionale ad una data organizzazione sociale. In questa divisione del lavoro il matematico diventa un produttore di tecniche per il fisico o l'ingegnere, tecniche che questi ultimi adottano senza approfondirne molto il funzionamento, mentre chi le ha elaborate non è stato investito della problematica specifica in cui esse verranno sucessivamente inserite".
Ma non è questo un difetto della matematica, anzi costituisce il suo pregio, in quanto sostegno alla reale pratica umana, al suo reale impetuoso sviluppo tecnologico. Il problema riguarda, invece, la conoscenza umana. Riguardo al "sapere scientifico", scrive Marchetti: "Questo oggi, per il carattere stesso che riveste, è patrimonio esoterico di una corporazione chiusa, gli scienziati, che per diffondere le proprie conoscenze adotta la cosiddetta divulgazione scientifica ovvero usa l'insegnamento nelle scuole inferiori, svolgendo peraltro, di fatto, un'azione di terrorismo culturale, che mantiene l'immagine di una scienza potente e misteriosa". "Questa situazione comincia a risultare pesante anche per molti scienziati, oltre che apparire in contraddizione con un (auspicabile) superamento dell'organizzazione per corporazioni chiuse".
Questa organizzazione è da tempo nota come Comunità scientifica, chiusa alla conoscenza reale e aperta soltanto a modelli convenzionali e a fittizie metafore.
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