venerdì 6 gennaio 2012

La concezione di Locke della opinione fondata sulla probabilità

Con John Locke (1632-1704) si tocca con mano la proverbiale incapacità teorica degli anglosassoni, ovvero la superba superficialità metafisica del pensiero comune applicato alla teoria della conoscenza. Come aveva osservato Engels, Locke prende i concetti come fossero qualcosa di dato una volta per tutte, fisso e immutabile, senza alcuna connessione tra loro. Per dare un'idea della povertà di questo modo di pensare, basterà considerare come Locke concepisce la formazione dei termini generali nel linguaggio.

"Sembra -egli dice- "che il significato delle parole debba essere singolare e individuale, perché tutte le cose esistenti sono particolari; nondimeno si vede tutto il contrario in tutti gl'idiomi del mondo, di modo che la maggior parte delle parole sono generali. Questo però non è nato dal caso, ma dalla ragione e dalla necessità". E qual'è la principale ragione da lui addotta? L'impossibilità "che ciascuna cosa avesse il suo nome particolare"! E "come si formano le idee generali e i nomi generali?"

Locke anticipa il metodo del buon Piaget, prendendo un fanciullo e indagando il suo modo di ragionare: allora, il fanciullo, prima, compie osservazioni particolari (es. padre e madre), poi osserva che altri rassomigliano a suo padre e a sua madre e quindi si forma un'idea generale che chiama uomo. Allo stesso modo sorgono idee generali come animale, corpo, sostanza! Più facile di così!

Se volessimo ripercorrere la famosa opera di Locke: il suo "Saggio sull'intelletto umano" (1690), sperando di trovare qualcosa di profondo, saremmo senz'altro delusi. Egli afferma con molto sussiego che la "prima causa d'ignoranza" è "la mancanza d'idee"; ma poi, nel suo saggio, di idee non se ne trovano: al loro posto, una lunga classificazione di idee, una classificazione metafisica, zeppa di pregiudizi spacciati per idee razionali.

Ma se abbiamo preso in considerazione questo autore, nonostante la quasi totale inutilità delle sue idee per una qualsiasi profonda riflessione, è per il rilevante motivo che, ancora oggi, egli trova estimatori, ma solo per un'ideuzza che è particolarmente gradita ai probabilisti contemporanei. Non a caso Abbagnano, nel suo dizionario filosofico, cita Locke in ogni voce riguardante questioni di teoria, di metodologia.

Si tratta dell'idea della opinione fondata sulla probabilità. Vediamo come Locke la formula. Prima sostiene: "La probabilità consiste nell'apprendere la concordanza o discordanza tra due idee per via d'idee medie, la cui concatenazione o non è certa ed immutabile, o almeno non è appresa come tale, ma che basta tuttavia perché l'anima (sic?) giudichi che sia vera o falsa una proposizione piuttosto che la contraria". Come si vede, per "probabile", egli intende nient'altro che l'illusione di poter negare la certezza, senza per altro dover ammettere la propria ignoranza o impotenza conoscitiva.

Poi aggiunge: "Ogni proposizione è probabile, quando con l'ausilio di qualche ragionamento e di qualche prova può passare per vera. L'atto dell'anima (sic!), per cui si riceve come vera una proposizione di questa natura, si chiama credenza, o assenso o opinione. Quindi la probabilità, essendo destinata a supplire alla mancanza delle conoscenze certe, non può avere alcun oggetto, fuorché le materie incapaci di certezza, ma che però qualche motivo ci solleciti a ricevere come vere".

In questo modo, Locke anticipa di quasi un secolo il suo conterraneo Hume sulla via dell'opinione e del consenso. La conoscenza si riduce alla probabilità fondata, principalmente, sul consensus omnium: "Il primo fondamento di probabilità si ha nella concordanza con le nostre conoscenze, le nostre esperienze, le nostre osservazioni. Il secondo è la testimonianza degli altri uomini, quando si basa su ciò che essi conoscono e che hanno provato".

Come abbiamo già osservato, e avremo più volte ancora modo di osservare, la fittizia soluzione probabilistica deriva dall'impostazione riduzionistica: poiché è di fatto impossibile determinare le singole cose, ecc. perché oggettivamente soggette al caso, una via di fuga dal determinismo assoluto è stato l'indeterminismo probabilistico: ammettere cioè soltanto determinazioni probabili.

Anche Locke parte della concezione riduzionistica delle idee, composte di idee semplici. Dice, infatti: "Le idee delle sostanze sono composte d'idee semplici che si suppongono rappresentare delle cose particolari e distinte, sussistenti per se medesime. Le idee delle sostanze o rappresentano le sostanze singolari, in quanto esistono separatamente le une dalle altre, come l'idea di un uomo, di una pecora, o rappresentano più sostanze singolari unite insieme, come di un'armata, di un gregge".

Non distinguendo, dal punto di vista della necessità e della certezza, l'oggetto singolo dal complesso particolare e dal complesso generale (ad esempio: il singolo uomo dall'armata e dalla specie uomo), e immaginando che, a partire dall'idea del singolo si pervenga per opinione comune, o consenso comune, alle idee generali, egli ha potuto soltanto offrire la scappatoia della opinione probabile. Poiché, del resto, oggi la teoria della conoscenza si accontenta della previsione del probabile, non deve stupire che essa sia così propensa ad apprezzare il pensiero metafisico di Locke come un contributo ancora molto attuale.

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume primo  Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito

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