mercoledì 15 febbraio 2012

II] James Watson, la candida franchezza di un enfant terrible

(Continuazione) In uno di questi ritagli di tempo, Crick si permise un altro errore: dopo una conferenza dell'astronomo Tommy Gold sul "perfetto principio cosmologico", ebbe un scambio di idee con il giovane chimico John Griffith: per analogia, pensò che potesse esistere anche il "perfetto principio biologico". Seguiamo il racconto di Watson: "sapendo che Griffith si interessava agli schemi teorici della duplicazione dei geni, [Crick] buttò là l'idea che il perfetto principio biologico fosse l'autoduplicazione del gene, ossia la capacità che ha un gene di replicarsi esattamente quando il numero di cromosomi raddoppia durante la divisione cellulare. Griffith tuttavia non era d'accordo; per alcuni mesi infatti aveva preferito la teoria secondo cui la duplicazione dei geni derivava dalla formazione alternata di superfici complementari. 

 E, mentre Linus chiedeva a Delbruck "di collaborare con lui alla stesura di una nota per "Science" in cui si affermasse recisamente che la meccanica quantistica favoriva un meccanismo di duplicazione dei geni basato sulla sintesi di "repliche" complementari", Watson preferiva, invece, l'ipotesi di Jordan, per il quale esistevano forze con cui il simile attirava il simile. Poiché anche Crick non accettava la complementarità, possiamo dire che, fin qui, i due geni scopritori della doppia elica di DNA non ne avevano ancora azzeccata una.

Nel frattempo, discutendo tra loro Crick e Griffith si convinsero a non proseguire con ipotesi "ormai fritte e rifritte", ma a considerare il nocciolo della questione: l'individuazione delle forze di attrazione. Si lasciarono, così, con la promessa che Grifith avrebbe calcolato l'attrazione fra le basi. "Parecchi giorni dopo, quando s'incontrarono all'ora del te, Francis fu informato che l'adenina e la timina, come si ricavava da un calcolo abbastanza preciso, dovevano attaccarsi l'una all'altra con le loro superfici piane. Un argomento simile poteva valere per le forze di attrazione fra guanina e citosina".


Passò del tempo prima che Watson e Crick venissero a conoscenza dallo stesso Chargaff della sua scoperta del rapporto esistente tra le basi del DNA: A/T=1, G/C=1. Secondo Watson, decisivo fu il loro incontro con Chargaff. Il suo racconto, a questo punto, diventa comico: vediamo Crick che vorrebbe immediatamente confrontare i dati di Chargaff con quelli di Griffith, ma non può farlo perché li ha dimenticati; perciò corre da Griffith che trova occupato con una ragazza; si fa scarabocchiare le formule, ma, nel frattempo, ha dimenticato i dati di Chargaff, quindi è costretto a correre alla Philosophical Library per cercarli  nell'odiata "letteratura". 

Scrive Watson: "Poi con quelle due serie di informazioni in mano, decise di tornare da Griffith il giorno dopo". Ma non lo fece per non disturbare il tète-a-tète dell'amico con la ragazza. Il commento di Watson è un piccolo capolavoro di simulazione: addossare al truffato la colpa del truffatore: "Era fin troppo chiaro che la presenza di belle ragazze non è la più indicata per una carriera scientifica". Invece, è fin troppo chiaro che "non è la più indicata per una carriera scientifica" la presenza di due amici a caccia di Nobel, capaci di intascare senza troppi scrupoli  risultati  altrui, e poi di prendere tempo facendo attenzione a non scoprirsi con nessuno.

Di lì a poco, il congresso di "2000 dignitosi biochimici" confermò a Watson e Crick che questi signori, con tutta la loro noiosa sapienza, non avevano nulla in mano, soltanto nozioni inutili per la soluzione della struttura del DNA. Possiamo ipotizzare, a questo punto, che Watson e Crick erano consapevoli del valore dei risultati che avevano acquisito da Chargaff e Griffith: in tal caso dovevano sapere che rendere immediatamente pubblica la soluzione, non avrebbe permesso loro di attribuirsene tutto il merito. Occorreva far passare del tempo come prova del fatto che senza di loro nessuno avrebbe trovato la soluzione. Inoltre, mancava la conferma cristallografica che poteva essere ottenuta solo grazie a Rosy Franklin e a Maurice Wilkins.

E così, per allontanare qualsiasi sospetto di essere ormai sulle orme della struttura del DNA, Watson partì in vacanza sulle Alpi, mentre Crick distrasse Griffith, coinvolgendolo in dimostrazioni sperimentali sulla reciproca attrazione fra adenina e timina e fra guanina e citosina, senza apprezzabili risultati. Conferma di questo gioco a nascondino ci viene dallo stesso Watson che non sa trovare una convincente giustificazione della "strana" dimenticanza di Crick, il quale, incontrando Wilkins, non gli parlò "delle singolari concordanze fra i calcoli di Griffith e i dati di Chargaff", e della conseguente ipotesi che, se l'adenina veniva attratta dalla timosina, anche la guanina poteva essere attratta dalla citosina.

Nel frattempo fu Rosy a fornire la terza informazione giusta, affermando di avere la prova che il supporto di zucchero e fosfato era all'esterno della molecola e non all'interno. Sintomatico è il commento di Watson: "Non era facile giudicare se questa sua affermazione aveva una base scientifica. Finché Francis ed io non potevamo avere accesso ai dati sperimentali, la cosa migliore era di non prendere per il momento nessuna decisione".

Occorre, a questo punto, aprire una parentesi per domandarsi: se, fino all'ultimo, Watson sembra sfidare ogni ragionevole buon senso anche a costo di apparire uno stupidotto, non è ragionevole pensare che egli abbia preferito apparire così, piuttosto che raccontare la vera storia, una storia di cacciatori di Nobel? Watson offre di sé stesso l'immagine di un giovanotto pieno di complessi, soprattutto nei confronti della rigida Rosy, una specialista in cristallografia, che perseguiva la sua strada tentando, a sua volta, di tenerla nascosta al detestato collega Wilkins. Watson sottolinea la chiusura mentale di Rosy nei confronti della ipotesi dell'elica, e quindi nei confronti di chi come lui puntava su quella ipotesi. Però, che cosa ha fatto per entrare nelle sue grazie? Assolutamente nulla! Avrebbe potuto presentarsi da lei e da Maurice mostrando le "singolari concordanze fra i calcoli di Griffith e i dati di Chargaff", ma non lo ha fatto. Invece, come vedremo, egli andrà a trovarli solo per cercare di sottrarre una conferma cristallografica all'elica, senza offrire niente in cambio, anzi tentando di depistare Maurice e di provocare Rosy in modo che s'intestardisse a proseguire su una strada infruttuosa.

Chiusa la parentesi, torniamo al punto in cui abbiamo lasciato i nostri due eroi: attendere sereni e tranquilli lo sviluppo degli eventi e non fare nulla. Ma a rimetterli in agitazione e in movimento ci pensò il figlio di Pauling con una lettera nella quale comunicava la soluzione proposta dal padre per la struttura del DNA. Passò un pò di tempo, ma quando Watson e Crick vennero a conoscenza che il modello proposto da Linus era un'elica a tre catene con al centro il supporto di zucchero e fosfato, si tranquillizzarono: egli aveva commesso il loro stesso errore, quello per il quale erano stati insultati da Rosy e Gosling.

Linus, "indiscutibilmente il più grande chimico del mondo, era arrivato a prendere un abbaglio. Lui, che conosceva la natura dei legami chimici, aveva commesso un errore sui legami!" Watson, che pure era scadente in chimica, individuò subito l'errore e corse nel laboratorio di Roy Markam per avere conferma del fatto "che -scrive- il procedimento di Pauling era chimicamente viziato. Markam, com'era da prevedere, si divertì all'idea che un gigante come Pauling avesse dimenticato la chimica elementare, e mi raccontò che più o meno la stessa cosa era accaduta a uno dei più grandi professori di Cambridge". (Continua)

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume terzo  Biologia (1993-2002) Inedito

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