(Continuazione) Un altro intellettuale -e giungiamo così alla prima metà del Novecento-, che Calvino prende in considerazione, è il francese Raymond Queneau, che diceva di rifiutare l'ispirazione perché schiava del caso. E' ciò che si può appurare da un articolo del 1938 nel quale Queneau scrisse: "Un'altra falsissima idea che pure ha corso attualmente è l'equivalenza che si stabilisce tra ispirazione, esplorazione del subconscio e liberazione; tra caso, automatismo e libertà. Ora questa ispirazione che consiste nell'ubbidire ciecamente a ogni impulso è in realtà una schiavitù". Giustamente Queneau respinse la connessione caso-libertà: il caso è in effetti una schiavitù perché si rovescia in cieca necessità.
Calvino sottolinea le costanti del pensiero di Queneau, "che sono "il rifiuto dell'"ispirazione", del lirismo romantico, del culto del caso e dell'automatismo (ideali dei surrealisti), e invece la valorizzazione dell'opera costruita, finita e conchiusa (...)". "Cosicché possiamo dire che le direzioni principali della polemica di Queneau negli anni trenta sono due: contro la poesia come ispirazione e contro il "falso sapere"." E aggiunge: "Nel disegno della circolarità della scienza che egli abbozza in uno scritto databile tra il 1944 e il 1948 (dalla scienza della natura alla chimica e alla fisica, e da queste alla matematica e alla logica) la tendenza verso la matematizzazione si ribalta in una trasformazione della matematica al contatto con i problemi sorti dalla scienza della natura."
Per Queneau, in matematica, non si conosce niente e niente si conosce nelle scienze: "Non conosciamo il punto, il numero, il gruppo, l'insieme, la funzione più di quanto "conosciamo" la Realtà Concreta Terrestre e Quotidiana. Tutto ciò che conosciamo è un metodo accettato (consentito) come vero dalla comunità degli scienziati, metodo che ha anche il vantaggio di connettersi alle tecniche di fabbricazione. Ma questo metodo è anche un gioco, più esattamente quello che si chiama un Jeu d'esprit.- Perciò l'intera scienza, nella sua forma compiuta, si presenta e come tecnica e come gioco. Ciò né più né meno di come si presenta l'altra attività umana: l'arte".
Questa è una interpretazione che anticipa l'inconsistenza di una scienza convenzionale e fittizia, non realistica, incapace di conoscere la realtà della natura, ma capace di produrre tecnologie sempre più avanzate. E' la realtà attuale. Ma è giunto il momento di concludere, e lo faremo con il Pasticciaccio brutto di via Teulada di Carlo Emilio Gadda che, a nostro avviso, simboleggia perfettamente la situazione della scienza della natura dal Novecento ad oggi. Come vedremo, non è un caso che Calvino l'abbia preso in seria considerazione.
La concezione di Gadda è riassunta da Calvino in questo passo: "Il romanzo filosofico era basato su una concezione enunciata fin dalle prime pagine: non si può spiegare nulla se ci si limita a cercare una causa per ogni effetto, perché ogni effetto è determinato da una molteplicità di cause, ognuna delle quali a sua volta ha tante altre cause dietro di sé; dunque ogni fatto (per esempio un delitto) è come un vortice in cui convergono correnti diverse, mosse ognuna da spinte eterogenee, nessuna delle quali può essere trascurata nella ricerca della verità".
Come si vede, il fallimento del determinismo riduzionistico ha prodotto la concezione "multifattoriale", o "multicausale", la quale non rappresenta altro che l'illusione di determinare l'apparente molteplicità dei nessi, ovvero le molteplici manifestazioni del caso. Riguardo a Gadda, osserva Calvino: "Lo scrittore partendo dai suoi filosofi preferiti, Spinoza, Leibniz, kant, aveva costruito un suo "discorso di metodo". Ogni elemento di un sistema è sistema a sua volta; ogni sistema singolo si collega a una generalizzazione di sistemi; ogni cambiamento di un elemento implica la deformazione dell'intero sistema".
La valida intuizione dei complessi come contenitori di contenitori, ripresa da Spinoza, abortisce però in Gadda per il rifiuto del caso relativo ai molteplici elementi di ogni contenitore. Il risultato è un riduzionismo ancora più esasperato, E, infatti il protagonista del romanzo, il commissario Francesco Ingravallo, soprannominato don Ciccio, "teorizza la molteplicità delle cause che concorrono a determinare un effetto, e tra queste cause (dato che le sue letture sembra che includano anche Freud) comprende sempre anche l'eros, in una qualche sua forma".
Insomma, sottolinea Calvino, il problema non sta nel "Who,s done it?" (chi ha fatto questo?): già nelle prime pagine del romanzo è detto che ciò che determina il delitto è il "campo di forza" che si stabilisce attorno alla vittima, è la "coazione al destino" che emana dalla vittima, dalla sua situazione in rapporto alla situazione degli altri, a tessere la rete degli avvenimenti; "quel sistema di forze e di probabilità che circonda ogni creatura umana, e che si suole chiamare destino".
Si tratta, in realtà, della cieca necessità fondata sul caso, mentre il termine "destino" allude a una qualche forma di predestinazione. Nella cieca necessità fondata sul caso non c'è nulla di mistico o esoterico. E' tutto molto più semplice. Il caso è imprevedibile, perciò fa esclamare: "perché è toccata a me?" oppure, "perché è toccata a questo o quello?" E le complicazioni attorno, ad esempio, a un delitto, come nel Pasticciaccio, sorgono sempre dopo, quando si scontrano forze e debolezze diverse: giudici, commissari, avvocati, ecc. e infine i sospettati che, quanto più sono innocenti, tanto più possono confondere le acque grazie soltanto ai propri timori.
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