domenica 4 maggio 2014

Sull'azione umana e la sua valutazione*

A tutti i livelli, dalla vita privata a quella economica, sociale e politica, su mille cose che pensiamo, che facciamo, o che scegliamo di pensare e di fare, solo poche sono rilevanti. Le restanti o sono effimere e di poca importanza o sono semplicemente spazzatura. E se questo vale per i singoli individui in maniera pressoché assoluta, in relazione alla società, alle varie organizzazioni, ai partiti, partitini, conventicole, ecc. vale in una misura relativa ma non certo trascurabile. Ad esempio, quante singole azioni politiche hanno un valore duraturo? Quante sono semplici ripetizioni al solo scopo, ad esempio, di mantenere un'organizzazione, persino quando questa produce risultati nulli o ininfluenti (spesso proprio come se non esistesse)?  

Questo attivismo senza conseguenze riguarda molte sfere dell'azione umana singola e complessiva. Nessuno, però, sembra rendersi conto della facilità con la quale l'azione individuale produca risultati non voluti, casuali. Anzi, nessuno sembra sapere che il risultato necessario (positivo o negativo rispetto ai fini voluti) è spesso conseguenza non voluta del rovesciamento di grandi numeri di eventi casuali, e che, quindi, il risultato necessario che s'impone, alla fine, è il più delle volte come "risultato non voluto", ossia come cieca necessità della storia realizzatasi sulla base di grandi numeri di minuti eventi casuali.

Ad essere parzialmente consapevoli di questo andazzo sembrano essere soltanto gli scienziati sperimentali, come i biologi molecolari, ad esempio, quando tentano di trovare proteine (utili per curare determinate malattie) producendone grandi numeri a caso, puntando sulla eccezione statistica che salterà fuori prima o poi e potrà essere testata in corpore vili; oppure, come i ricercatori di materiali sempre più duttili e resistenti, i quali, solo dopo molti tentativi casuali, scoprono qualcosa di nuovo, eccezionale ed efficace.

In altre sfere dell'attività umana, in particolare in quella politica, invece, ci si illude di poter operare secondo necessità deterministiche, anche quando si è continuamente sballottati dal caso, anche quando nessun risultato necessario salta fuori nella continua ripetizione delle medesime azioni, nella calma piatta di una società che va per la sua strada sostanzialmente indifferente alle singole manovre dei partiti. Così, nei momenti di sconvolgimento naturale, sociale e politico, nessuno si trova preparato per l'abitudine pluridecennale acquisita nella ripetizione di azioni prive di risultati necessari.

Del resto, anche se si fosse consapevoli di questa realtà come fare ad accettare che la maggior parte del lavoro di routine abitua a ripetere le stesse azioni nella medesime condizioni, così che, cambiate quelle, ci si troverà impreparati? O, peggio ancora, come fare ad accettare che, soltanto mediante la maggior parte delle azioni inutili, potrà uscire fuori un risultato eccezionale, forse utile, ma anche dannoso?

Bisognerebbe, innanzi tutto, essere coscienti dell'importanza teorica del rapporto caso-necessità. Però, non solo nessuno conosce questa dinamica, ma tutti preferiscono credere alla necessità volontaristica-deterministica, preferendo credere che le proprie manovre tattiche siano avvedute perché fondate sul binomio scopo-necessità, garantito dalla deterministica connessione di causa ed effetto. Ma, su questa base, quante delusioni!

Da qui nasce l'imbroglio inconsapevole: ritenere di aver non solo analizzato correttamente la realtà esistente, ma di aver compreso persino, esattamente, ciò che ci voleva per quella realtà, anche quando si dovrebbe sapere, ad esempio, che in politica di sicuro e certo non c'è mai nulla, perché la materia della politica non è assoggettabile a una precisa teoria scientifica. La politica si manifesta come pratica politica, e questa, al pari della pratica monetaria e della pratica militare, non essendo indipendente e incondizionata, non può fondarsi su una precisa teoria scientifica.

Questa è la vera difficoltà: che, essendo condizionata dall'economia e dalle conseguenze sociali prodotte da modificazioni economiche, la politica è soggetta alla cieca necessità fondata sul caso, che si manifesta mediante dispendio ed eccezioni statistiche. Allora, si reagisce affidandosi alla disciplina organizzativa per creare un "ordine" e una "necessità" artefatti, pur che siano, pur di non rimanere senza iniziativa. Ne derivano, come conseguenza, comportamenti compulsivi e ossessivi, continue preoccupazioni, diffidenze reciproche e paranoie, quando ne dovrebbe derivare, invece, un assunto molto più tranquillizzante: non solo quante azioni ottimali, ma soprattutto quanti errori, sono senza conseguenze! 

Perché preoccuparsi tanto, quando la maggioranza delle singole azioni si sistemano da sole nel tram tram quotidiano, essendo sufficiente un pò di tatto, un pò di sensibilità psicologica e un colpo d'occhio allenato? Invece, quando le cose vanno male e non si sistemano affatto -poiché nessuno può possedere la conoscenza scientifica degli eventi singoli imprevedibili, tra i quali le eccezionali sfortune (o fortune)- salta fuori la risposta etica, il rimprovero morale, là dove dovrebbe, invece, intervenire una rassicurazione contro il disagio di non aver ottenuto ciò che si voleva ottenere, e per il quale, magari, si era anche duramente lavorato.

Questo è il "risultato non voluto", teorizzato da Engels, che è sempre in agguato perché non segue alcuna regola, dipendendo soltanto dalla cieca necessità complessiva e dal puro e semplice caso singolare, che si manifesta ai singoli come fortuna o sfortuna. Infine, sul presupposto del risultato non voluto, il rimprovero morale acuisce proprio ciò che si vorrebbe contrastare: la delusione, la sfiducia, la rassegnazione per l'apparente sconfitta, infine la defezione per scoraggiamento.

E quando, in queste condizioni, qualcuno perde la testa per non aver voluto ammettere di avere sempre sognato (senza alcun fondamento) impossibili risultati, illudendosi di poter tutto controllare e gestire, dall'alto (o dal basso?) del proprio egocentrismo blandito da schiere di semiologi, filosofi, sociologi, psicologi, ecc., mantenuti dai mass media dell'era della globalizzazione, allora quanti ruzzoloni sulla strada scivolosa dell'etica, della protesta e, infine, del rancore personale!

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