sabato 10 maggio 2014

Spunti di critica gnoseologica al concetto di gene

suggeriti da "Filosofia e scienze della vita" (a cura di Giovanni Boniolo e Stefano Giaimo) -2008-

Nel capitolo 1, dal titolo "Il concetto di 'gene'", gli autori, Giaimo e Testa, affermano giustamente: "Gene: uno dei concetti più pervasivi della biologia e allo stesso tempo uno dei più evasivi. Introdotto agli inizi del XX secolo nel dibattito tra i sostenitori di differenti teorie dell'ereditarietà dei caratteri biologici, il concetto di 'gene' ha attraversato e sta attraversando da protagonista pressoché tutte le discipline biologiche e biomediche dell'ultimo secolo, dalla genetica di popolazione all'oncologia molecolare, senza mai essere catturato da un'unica definizione che soddisfi tutte le esigenze".

I due autori sembrano, però, valutare positivamente il fatto che il concetto di "gene" non sia catturato da un'unica definizione, tanto è vero che, aggiungono subito dopo, il concetto di gene si è adattato ai molteplici cambiamenti successivi: "Anzi, si può dire che la forza del concetto di "gene" sta proprio nella sua estrema duttilità". Segue poi una breve sintesi storica su Lamark, Darwin, Galton, e poi Mendel che scoprì il carattere dominante e quello recessivo; e ancora, Weismann e William Bateson che introdusse il termine "genetica" per indicare la disciplina che studia la fisiologia della discendenza, che ha per concorrente la biometria; infine, la citologia o studio dei cromosomi.

Quindi, gli autori fanno notare: "E' allora nel 1909, quando le tre diverse discipline interessate all'ereditarietà si mostrano più isolate l'una dall'altra, che il botanico danese Wilhem Johansen, per riferirsi ai fattori mendeliani, conia il termine gene (...). Di esso più tardi dirà: "una parola piccola e molto duttile, che si combina facilmente con le altre". Ma oltre all'azione del gene occorreva considerare l'azione dell'ambiente. "Per questo motivo, Johansen conia altri due concetti da affiancare a quello di 'gene': il concetto di 'genotipo', per indicare l'insieme dei geni in un gamete o in uno zigote, insieme che viene trasmesso da una generazione all'altra, e il concetto di 'fenotipo', per riferirsi al complesso (...) delle caratteristiche medie di una linea pura (genotipicamente stabile) di organismi emersi in diverse condizioni ambientali".

A questo punto, abbandoniamo la ricostruzione storica per prendere in considerazione la critica di Giaimo e Testa al concetto di "gene", critica che inizia con le seguenti parole: "Se la funzione di un gene è specificare la sequenza di una proteina o di un acido nucleico, allora questa funzione non può essere espletata dal solo gene, ma per essere portata a termine è richiesto il ruolo fondamentale del complesso macchinario* di proteine e acidi nucleici coinvolto nella trascrizione e nella traduzione del DNA, il quale si mostra passivo e strumentale rispetto ai meccanismi e ai processi cellulari".

Dopo aver ripreso la critica di Lewontin (di altri, e persino dello stesso Griffith) sul DNA che in pratica non fa nulla, limitandosi a fornire solo la materia prima da "lavorare", i due autori concludono molto giustamente: "Oltre a non poter rendere conto di alcune delle scoperte sulla natura e la funzione degli acidi nucleici, il concetto molecolare di 'gene' è criticabile anche da un punto di vista più squisitamente filosofico per via della metafora testuale contenuta in esso. I geni sono "letti", "trascritti", "tradotti", "codificano per un prodotto funzionale" e "contengono il programma per la costruzione del fenotipo". Ancora oggi, il lessico in uso per parlare di geni è intriso di discutibili riferimenti al concetto di informazione (...)".

Ben detto! Finora, non si erano mai lette affermazioni di un simile tenore critico nei confronti delle metafore meccanicistico-informazionali della genetica. Ma, subito dopo, gli autori, per rispondere alla domanda "che entità è un gene?" forniscono una proposta in cinque punti che riporta la questione da capo: 1) Il DNA è solo un punto di partenza, 2) il gene semplicemente descrive i processi di codifica, 3) i geni vanno intesi come segmenti esteri di acidi nucleici "che acquisiscono significato funzionale  quando entrano in processi di codifica di proteine e di RNA funzionali. Dunque possono essere considerati entità funzionali che sono parti di questi processi".

Inoltre gli autori auspicano "un certo pluralismo epistemologico", così "ciascun singolo scienziato ha una certa libertà di specificare meglio il processo considerato". Insomma, essi sostengono la piena libertà di concepire un gene all'interno di singole sperimentazioni particolari. Quindi avremo un "gene" onnipresente, in ogni forma, da quella più particolare a quella più generale. Ma continuiamo:

"4) In base ai processi considerati, i geni possono comprendere o meno segmenti continui della molecola di DNA". "Quindi, tali geni sono entità "sparpagliate" nello spazio, composte da parti non spazialmente contigue" (un pò come il linfociti B sparpagliati in tutto l'organismo). 5) Su questo punto occorre pensarci un pò sopra: si tratta di geni che si sovrappongono pur appartenendo a processi diversi. Per fare un esempio: "la maniglia della porta di una casa è una parte funzionale della porta, ma non è una parte funzionale della casa cui indubitabilmente appartiene dal punto di vista fisico".

Se, ora, consideriamo che anche in un manufatto come una casa possono sorgere simili problemi per ogni "aggeggio": porta, finestra, water, scala, pavimento, ecc., basta avere solo un pò di immaginazione per comprendere la difficoltà di paragonare quella infinità di elementi fondamentali alla vita degli organismi pluricellulari con l'opera di ciò che è stato chiamato semplicemente gene. E, invece, anche qui troviamo tentativi di semplificazione in forma di vuoti formalismi che pretendono rendere elementare ciò che è complicatissimo, come ad esempio il Gene-P e il Gene-D citati qui di seguito.

"Nel 2003 Lenny Moss "ha proposto di distinguere due concetti di "gene", che risultano di matrici storiche differenti e che si prestano a usi diversi". Il gene-P è di tipo preformatico: "a un gene corrisponde una certa caratteristica dell'organismo". "Nel gene-P non è però insita alcuna conoscenza della biologia che porta alla presenza del tratto fenotipico". Invece "Il gene-D è anzitutto una sequenza molecolare": "Un esempio di gene-D è la sequenza di DNA usata come stampo per produrre un'intera classe di proteine come la N-CAM, molecola di adesione tra cellule neuronali espresse a stadi differenti dello sviluppo che dànno luogo a un ampio spettro di caratteristiche fenotipiche".

Secondo Giaimo e Testa questa distinzione operata da Moss "non si rivela esaustiva"! Così, bisogna considerare altri due tipi di geni, per così dire, formalizzati. 1) "Gene sperimentale: una pratica quotidiana nei laboratori di biomedica consiste nell'uso di vettori che permettono l'introduzione, all'interno di organismi modello, di sequenze di DNA di interesse scientifico". 2) "Gene evoluzionistico: la biologia evoluzionistica costruisce modelli di selezione e deriva genetica per spiegare la distribuzione di certi caratteri nelle popolazioni naturali. Qui il concetto di 'gene' non è impiegato né come stampo per le proteine o la sintesi dell'RNA (Gene-D), né in senso predittivo dei fenotipi individuali (Gene-P)".

In definitiva, per gli autori: "E' certamente un errore leggere la storia del 'gene' come un progressivo avvicinamento a un concetto unitario che possa rendere conto di ognuno dei significati attribuiti al concetto delle diverse discipline biologiche che lo hanno adottato nel corso della loro evoluzione. E' invece opportuno riconoscere l'esistenza di più concetti di 'gene', raramente riducibili l'uno all'altro, portatori di diversi carichi teorici e chiamati a giocare un ruolo distinto all'interno di differenti contesti di spiegazioni e di descrizioni".

In conclusione, vince di nuovo l'eclettismo, il permessivismo, il relativismo. Insomma, nella lunga storia della della scienza, anche di quella biologica, ci sono cose che, pur essendo decisamente invecchiate nel loro passato significato, non vengono buttate via: anzi, è proprio perché non hanno più una chiara e specifica collocazione che possono essere ancora utilizzate, nei più diversi ambiti, da una scienza che continua a crescere, senza sosta, come una torre di Babele.


* Qui è il solito meccanicismo che viene invocato anche per i prodotti della natura.

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