lunedì 12 maggio 2014

3] La questione dei legami e l'equivoco della forza in biologia molecolare

(dal trattato di  "Biologia molecolare del gene", Watson e altri, 2009)

Il codice genetico

(Continuazione) Il dogma del codice genetico con il tempo è divenuto sempre più rigido e indiscutibile. Così lo hanno voluto, e lo hanno chiamato come lo volevano: dogma. Ma i dogmi sono cose di chiesa non di scienza. Come la teologia, infatti, anche la biologia molecolare continua a fare abbondante uso di metafore, la principale fra tutte quella del linguaggio-informazione: "Al cuore del dogma centrale c'è il concetto di trasferimento dell'informazione dalla sequenza lineare della catena polinucleotidica, formata da un alfabeto di quattro lettere, al linguaggio di 20 amminoacidi della catena polipeptidica".

Possiamo notare qui che la "teologia" biologica molecolare non si avvale soltanto del "verbo" in codice imposto dal dogma, ma anche della metafora dei linguaggi "in codice" da "decifrare". Infine, è come se anche la religione della biologia molecolare avesse il suo inferno e i suoi diavoli, nella forma del "codice degenerato".

Concepire un codice come qualcosa di divino che trasmette il verbo, il messaggio e poi scoprire che esso è degenerato è come ammettere che c'è qualcosa di diabolico da spedire all'inferno. In ultimo, il "vacillamento" del terzo codone è come ammettere che il primo verbo trasmesso sia stato, come dogma, un'eresia. D'altra parte, se la vera teologia, quella della religione, ha da sempre negato la possibilità della conoscenza umana della realtà, la teologia biologica molecolare, invece, ha affermato da tempo di essere riuscita a decifrare il "verbo", il proprio dogma: il codice genetico, nonostante la sua degenerazione. Quale contraddizione!

Comunque, i biologi molecolari hanno trovato un modo per cavarsela senza troppi problemi teorici: affidarsi completamente alla concezione meccanicistica, concependo i processi della biologia molecolare come meccanismi di precisione, con le loro regolazioni, riparazioni, ecc. E' sufficiente la seguente esposizione del trattato per ricordarlo:

"Il macchinario per la sintesi proteica è costituito da quattro componenti principali: l'mRNA, gli RNA adattatori, detti RNA transfer (tRNA); le amminoacil-tRNA sintetasi che attaccano gli amminoacidi ai tRNA; e il ribosoma, un complesso composto da subunità multiple di RNA e proteine che catalizza la formazione del legame peptidico.

L'mRNA contiene la sequenza codificante le proteine e gli elementi di riconoscimento per l'inizio e la fine della traduzione. La sequenza codificante è nota come fase di lettura aperta, open-reading frame (ORF), e consiste di unità, formate da triplette di nucleotidi, note come codoni, che sono in "fase" gli uni con gli altri. Ciascuna ORF comincia con un codone di inizio e termina con un codone di stop. L'anticodone tRNA è complementare al codone di mRNA, che viene riconosciuto mediante l'accoppiamento delle basi"
.

 (Per questo motivo, già nel 1998, chi scrive ha ipotizzato che, semmai, ciò che viene definito "messaggio" deriva dalla complementarità della doppia elica di DNA, che permette la complementarità tRNA-mRNA).

Sulla regolazione della differenziazione cellulare

Riguardo alla regolazione nel processo di differenziazione cellulare è qui confermata, sia pure nel linguaggio convenzionale tipico della biologia molecolare, l'ipotesi dell'autore di questo blog sulla preminenza dell'ambiente in relazione al cambiamento cellulare: "Il contatto cellule-cellula e le molecole secrete stimolano i cambiamenti dell'espressione genica nelle cellule vicine attraverso la produzione di segnali proteici extracellulari".

L'ipotesi di chi scrive considerava l'intero ambiente come necessità complessiva. Qui, invece, predomina l'impostazione riduzionistica, istruzionistica, pur dovendo ammettere il concetto di posizione: "Un tema ricorrente nello sviluppo è l'importanza della posizione di una cellula all'interno di un embrione o di un organo in via di sviluppo nel determinarne il destino". E sulla base di alcuni esempi, la seguente conclusione: "Quindi questi esempi illustrano il fatto che il destino di una cellula -quello che diventerà nell'adulto- è controllato dalla sua localizzazione nell'embrione".

Giusta conclusione, ma occorre precisare che la realtà della vita non si comprende avendo in mente come protagonista la singola cellula, bensì i complessi di cellule che nell'evoluzione si distinguono come colonie, organi, ecc. Con questa precisazione, si può confermare che è la localizzazione nell'embrione dei primi piccoli complessi di cellule a determinarne la differenziazione successiva. E con ciò è confermata la tesi di chi scrive, espressa in "Chi ha frainteso Darwin?", 2009, concepita, però, non come una forma di controllo sociobiologico delle cellule, ma come una sorta di inevitabilità ciecamente necessaria per le cellule il ritrovarsi singolarmente e casualmente in un particolare ambiente, invece che in un altro.

Per i biologi molecolari istruzionisti ammettere una simile realtà non poteva essere facile ne indolore, tant'è che, per non rinnegare il primato dell'informazione, preferiscono concludere così: "L'influenza di questa localizzazione nello sviluppo è chiamata informazione posizionale (sic!)". Ma se consideriamo che spesso un sistema di cellule e la loro posizione danno luogo a una cospicua eliminazione di esse, come capita alle cellule linfocitarie nel timo, che cosa si dovrebbe concludere riguardo all'"informazione posizionale"?

L'autore di queste riflessioni da molto tempo ha concluso che ci troviamo molto spesso di fronte a un grande dispendio statistico, unico modo per ottenere eccezioni vitali, senza dover scomodare i miracoli divini, respinti già da Leibniz, o i miracoli informazionali della biologia molecolare, inaugurati da Watson e Crick. Sono i grandi numeri delle cellule, delle proteine e la velocità degli enzimi a permettere l'apparente miracolo della vita e della vita cosciente su questo pianeta
      

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