e il suo sbocco nel piccolo cabotaggio teorico del pluralismo democratico
(Continuazione) Può essere interessante, a questo punto, leggere la quarta parte della "Concezione scientifica del mondo", perché ci fornisce alcuni elementi storici per comprendere sia la nascita di una componente del neoempirismo logico, sia lo sbocco di questa tendenza in quello che abbiamo chiamato piccolo cabotaggio teorico nell'epoca del pluralismo democratico.
Il manifesto del Circolo di Vienna nasce in opposizione all'"incremento delle tendenze metafisiche e teologizzanti, che oggi si avvertono in molti gruppi e sétte, in libri e periodici, in conferenze e lezioni accademiche". Per capire il soggetto al quale allude questa frase un pò reticente occorre considerare il momento storico: l'anno 1923 è l'anno in cui il riflusso rivoluzionario cominciava a delinearsi chiaramente, mentre le dittature fascista e nazista cominciavano a sviluppare i loro strumenti propagandistici e le loro violente azioni di piazza. Ma, nonostante tutto, le masse in Europa erano ancora prevalentemente orientate verso la rivoluzione e il socialismo.
A giudizio del Circolo di Vienna, in parecchi paesi europei, le masse si mostravano "inclini, nel loro orientamento socialista, a una concezione empiristica e immanentistica. In precedenza, il materialismo costituiva l'espressione di una concezione siffatta; ma, via via, l'empirismo moderno si è liberato di alcune carenze formali (sic!), acquisendo notevole portata all'interno della concezione scientifica del mondo".
Come si vede qui, sia pure in maniera reticente, dati i tempo che correvano, il Circolo di Vienna manifestava l'intenzione, o meglio la pretesa, di correggere il materialismo in senso neoempirista. Pertanto, si può ipotizzare che la principale preoccupazione del Circolo fosse di carattere riformistico: l'aspirazione a stemperare il materialismo rivoluzionario, riducendolo a un innocuo materialismo empiristico e positivistico.
Questa aspirazione si trasformò in una vera e propria operazione ideologica, favorita dalla particolare situazione del sistema di stati europeo degli anni'20, entro il quale si contrapponevano la democrazia anglo-francese, il nazifascismo italo-tedesco e il contrastato comunismo sovietico. Dapprima, i neoempiristi trovarono una certa attenzione presso alcuni ambienti della cultura americana, così vediamo, ad esempio, l'americano Nagel recarsi in Europa all'inizio degli anni '30. Successivamente, con l'affermarsi del nazismo, nella seconda metà degli anni '30 ci fu un esodo in massa dei neoempiristi europei (principalmente austriaci e tedeschi) in America, accolti a braccia da parte dei democratici statunitensi.
Riguardo alla loro immediata influenza nel nuovo mondo, nel 1940, Feigl, un ex allievo di Schlick, fece un bilancio nel quale indicò i numerosi protagonisti della cultura americana di formazione neoempirista e neopositivista. Ne riportiamo i nomi più noti come testimonianza della vastità del fenomeno: tra i filosofi e i logici, troviamo Benjamin, Goodman, Hook, Margenau, Morris, Nagle, Quine; tra gli scienziati, Bloomfield, Bridgman, Hull, Tolman, Skinner, Stevens.
Ora, quale effetto, sconvolgente, sulla teoria della conoscenza, abbia prodotto l'esodo in massa dei neoempiristi europei negli Stati Uniti, possiamo appurarlo da Hook, "La filosofia contemporanea in USA", edito nel 1958, dove l'autore annuncia: "I filosofi americani non perseguono più, salvo qualche notevole eccezione, lo stabilimento di vedute onnicomprensive della natura umana, della esistenza e della eternità. Ispirandosi ai risultati delle scienze, essi rinunciano a fare della filosofia nei modi grandiosi del passato, per dedicarsi, piuttosto, alla paziente analisi dei problemi specifici, con l'intento di attingere conclusioni senza dubbio limitate, ma in pari tempo meglio adatte a sostenere il vaglio delle prove (!)".
Che quattro anni dopo, Kuhn abbia legittimato questa tendenza con la sua concezione dei "paradigmi per risolvere rompicapi", non stupisce affatto! Stupisce, invece, che questo piccolo cabotaggio teorico, pur considerato limitato nei suoi risultati, sia stato preferito alla filosofia del passato. L'unica giustificazione di questa preferenza sembra essere stata quella del timore del "vaglio delle prove"!
Questa è la conclusione alla quale gli studiosi e gli scienziati americani sono pervenuti grazie al neoempirismo logico o neopositivismo: non diversamente dai criminali che temono di compiere grandi delitti solo per il timore di lasciare dietro di sé prove, non esistendo nessuno delitto perfetto, essi hanno temuto di compiere grandi imprese teoriche perché, persuasi dal neoempirismo, hanno temuto il "vaglio delle prove" dell'analisi logico formale, non esistendo nessuna teoria perfetta!
Eppure, ironia della pseudoconoscenza, il "vaglio delle prove" è, ed era, più una minaccia formale che una possibilità reale. Resta il fatto che il neoempirismo logico, di origine europea, è riuscito a scoraggiare qualsiasi interesse che superasse l'orizzonte ristretto dei "paradigmi per risolvere rompicapi". E ancora oggi se ne scontano le conseguenze con la mancanza di un'unica, vera, teoria della conoscenza.
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Primo volume Teoria della conoscenza" (1993- 2002)
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