mercoledì 27 aprile 2011

L'uomo medio di Quetelet: un equivoco della sociologia 6°

Nel pregevole saggio di Paola Dessì, "L'ordine e il caso" (1989), già ampiamente utilizzato nella sezione dedicata al rapporto probabilità-statistica del primo volume di Teoria della conoscenza, troviamo alcune interessanti informazioni sul concetto di "uomo medio", concetto sul quale la sociologia del Novecento, a cominciare da Weber, ha fondato le sue ideologiche concezioni del "tipo ideale", della "devianza", ecc.

Dessì ritrova l'origine storica del concetto di uomo medio nella medicina, che per prima concepì "l'uomo anatomico medio", che è "una riunione di medie anatomiche", e che quindi "non dà un'idea esatta di quello che si deve ritrovare nella dissezione" (Bubois D'Amiens, un avversario dell'uso della statistica in medicina). D'Amiens aveva ragione a sostenere che il medico nella dissezione avrebbe trovato qualcosa di diverso dalle medie anatomiche, -cosa questa rilevata anche da Darwin, il quale osservò ne "L'origine dell'uomo" che gli anatomisti non trovano mai un organo uguale a un altro.

Ma D'Amiens utilizzò una verità contro l'uso della statistica in medicina, che rappresenta un errore: errore che deriva, però, da una reale contraddizione della medicina stessa. Infatti, quando gli statistici utilizzano una pratica medica che tiene presente il complesso dei malati, trasformano i singoli malati in numeri casuali, abbandonandoli così ai capricci del caso. E se questo è un approccio valido nel caso di malattie epidemiche, approccio che ha permesso rilevanti risultati con le vaccinazioni, rimane però la contraddizione seguente: il singolo individuo risponde in maniera diversa alla medesima dose di medicinale. I contrari alla statistica, proprio partendo dalla convinzione della diversità con la quale i singoli reagiscono alle medesime cure per le medesime malattie, pensarono che per curare un malato si dovesse essere degli "artisti".

Potremmo dire che, riguardo ai complessi di malati, avevano ragione gli statistici, ma sia i favorevoli che i contrari alla statistica non erano in grado di intervenire sui singoli con i crismi della necessità e della certezza: i primi abbandonandoli al caso (statistico), i secondi affidandoli all'esercizio dell'arte medica, che non rappresenta una garanzia di necessità e certezza, essendo soggetta a molte casualità, tra le quali l'abilità del singolo medico.

Per poter curare ogni singolo malato con certezza scientifica, lo si dovrebbe considerare alla stregua di un complesso (di organi, cellule, ecc.) da sottoporre a indagine statistica. Sorge quindi una oggettiva contraddizione: la medicina è costretta a trattare il singolo malato contemporaneamente 1) come singolo elemento di un complesso di malati della stessa patologia, ad esempio tubercolotici, diabetici, ecc. (in quanto tale sottoposto al caso della sua diversa risposta alla dose media di medicinale, ecc.), 2) come, a sua volta, un complesso di organi, di cellule, ecc. (in quanto tale sottoposto alla cieca necessità derivata dal groviglio casuale della sua costituzione interna, dai grandi numeri delle sue cellule, ecc.). Va da sé che la statistica relativa ai complessi di malati della stessa patologia è molto più semplice della statistica relativa alle cellule, ai geni, ecc. del singolo malato (come da tempo si stanno rendendo conto i medici che confidano quasi unicamente sulla biologia molecolare). I medici, comunque, anche al giorno d'oggi, non hanno ben chiara questa contraddizione oggettiva della loro disciplina. 

Ci siamo dilungati su questo aspetto soprattutto per mostrare che la statistica ha un significato soltanto complessivo e che, di conseguenza, i risultati statistici non sono applicabili ai singoli numerosi individui, che costituiscono soltanto la base casuale di ogni frequenza statistica.

Ora, se la medicina aveva stabilito l'"uomo anatomico medio", la sociologia, con Quetelet, concepì l'"uomo medio sociale", oggetto di studio della cosiddetta "fisica sociale". Quetelet era rimasto stupito del fatto che fenomeni arbitrari, connessi al libero arbitrio, e perciò casuali, come il numero dei suicidi, dei matrimoni, delle nascite illegittime, dei delitti, ecc., invece d'essere imprevedibili, mantenevano nel complesso una notevole costanza. Ne dedusse, per conseguenza, che "anche i fenomeni morali, quando si osserva la massa, rientrano nell'ordine dei fenomeni fisici". Egli pensò, quindi, giustamente di poter applicare la statistica alla specie umana, considerando il singolo uomo come casuale, per ricavare risultati generali validi per l'intera specie. Scrisse infatti: "dobbiamo, prima di tutto perdere di vista l'uomo preso isolatamente e considerarlo soltanto come una frazione della specie. Spogliandolo della sua individualità elimineremo tutto ciò che è accidentale, e le particolarità individuali che hanno poco o nessuna azione sulla massa si cancelleranno da sole e permetteranno di scegliere i risultati generali".

Interessante il commento della Dessì: "Da questo passo è già evidente il modello di ricerca che Quetelet assume e, in qualche misura, sono anche prevedibili i risultati cui questa ricerca porterà. L'assunto fondamentale è che, siccome non è possibile arrivare a scoprire la legge del comportamento del singolo, del tutto imprevedibile, dobbiamo sostituire allo studio dell'individuo lo studio di una gran massa di individui in modo da mettere in evidenza un comportamento che può essere considerato il comportamento tipo dell'uomo in società. Ma già questa possibilità suggerisce evidentemente la credenza nell'esistenza di un uomo tipo dal punto di vista morale".

Quetelet è, come tutti gli studiosi dell'Ottocento, un determinista che, osservando l'impossibilità della determinazione riduzionistica del singolo individuo, si "accontenta" della determinazione complessiva; ma poi attribuisce all'individuo le qualità scoperte sul complesso, credendo in questo modo d'aver trovato il tipo di uomo astratto con cui confrontare ogni individuo concreto. Come arriva a definire questo tipo come "uomo medio"?

"Quetelet -scrive la Dessì- era partito dalla considerazione delle caratteristiche fisiche dell'uomo, e proprio dall'osservazione delle tavole relative alla misura toracica di 5.738 soldati scozzesi, era arrivato alla sua scoperta fondamentale: queste misure si distribuiscono intorno alla media secondo una legge che è uguale alla legge degli errori. Questa legge era in uso nelle scienze di osservazione per ottenere la misura corretta tra un gran numero di misure della stessa grandezza. Per uno scienziato come Laplace essa rappresentava il mezzo per arrivare a una corretta determinazione del dato sperimentale attraverso la moltiplicazione delle osservazioni. Quetelet capovolge il ragionamento laplaciano: poiché la distribuzione che si ottiene misurando migliaia di persone è uguale alla distribuzione fornita dalla legge degli errori, ciò significa che la grandezza media rappresenta un oggetto reale, l'uomo medio, portatore di tutte le caratteristiche medie, che diventa così il tipo rappresentativo di tutta la società umana".

Questo "capovolgimento" è viziato da un ben determinato equivoco, perché, se è vero che la media di molteplici misurazioni attorno a un singolo oggetto è un'approssimazione più precisa della misura oggettiva, reale dell'oggetto in questione, è anche vero che in questo modo si migliora la qualità della misurazione. Quando invece ricaviamo, da una distribuzione che si ottiene misurando il torace di migliaia di uomini, la convinzione di aver ottenuto un'approssimazione più precisa del torace tipico dell'uomo, ossia dell'uomo medio, noi siamo in tutt'altro ordine di idee: qui non si tratta più della misura, ma dell'oggetto della misura.

Prima, la distribuzione statistica era solo un mezzo per ottenere una misura più corretta, migliore, dell'oggetto; ora, la distribuzione statistica diventa un mezzo per definire l'oggetto più corretto, migliore. Prima, l'oggetto era un dato di fatto e il problema da risolvere era ricavare la sua misura migliore; ora, la misura è un dato di fatto e il problema da risolvere è stabilire l'oggetto migliore. Prima, la deviazione dalla media era una misurazione peggiore; ora, la deviazione dalla media è un oggetto peggiore. Grazie a questo qui pro quo, è sorto l'assurdo equivoco secondo il quale la misura media di una qualità fisica o morale rappresenta la qualità normale e ogni deviazione da essa l'anormalità.

Ma gli uomini sono tutti diversi tra loro, per quanto riguarda  le qualità fisiche misurabili, come circonferenza toracica, altezza, peso, ecc., e per quanto riguarda quelle sociali, come reddito, stato civile, ecc. La realtà dei singoli uomini consiste nella loro estrema varietà, e questa varietà dipende solo dal caso. Quindi, il senso delle medie statistiche non ha nulla a che vedere con la determinazione del tipo ideale o normale. Se le medie statistiche hanno un senso, questo senso consiste nella misurazione di qualità proprie di complessi di uomini, cosa che lo stesso Quetelet aveva inizialmente presupposto.

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Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)
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