martedì 9 aprile 2013

VI] Delle due, l'una: o un'elevata origine per un'umile esistenza o un'umile origine per un'elevata esistenza

Come conseguenza dei risultati del nostro studio, si può ricavare che soltanto due grandi concezioni possono contendersi, nella reciproca opposizione, la supremazia nella teoria della conoscenza, senza possibilità di alternativa: o è vera l'una o è vera l'altra. Profondamente asimmetriche dal punto di vista della loro affermazione storica, l'una riguarda il passato e il presente di una specie umana divisa, dipendente e sottomessa, l'altra riguarda il futuro di una specie umana finalmente indivisa, libera e padrona di se stessa.

Se non consideriamo rilevanti le molteplici concezioni di piccolo cabotaggio che sono sorte sul terreno economico, politico, sociale e culturale dell'epoca capitalistica, quindi anche le recenti concezioni scientifiche, denominate paradigmi, è solo perché queste riflettono semplicemente quel pluralismo relativistico senza fine che il modo capitalistico di produzione ha creato per le proprie esigenze particolari e contingenti.

Le due grandi concezioni della natura e della società sono I) la concezione teologica metafisica, II) la concezione  materialistica dialettica. 

I) La prima, che si è sempre avvalsa del modo di pensare metafisico (in quanto separa la necessità dal caso), deterministico (in quanto concepisce la necessità come causalità), riduzionistico (in quanto attribuisce la necessità al singolo individuo, evento, oggetto), teologico (in quanto attribuisce tutte le cause a una causa prima divina). 

II) La seconda, che si avvale del pensiero materialistico (che attribuisce la necessità soltanto ai complessi materiali); che concepisce la necessità come cieca (in quanto rappresenta il rovesciamento del caso relativo ai singoli numerosi costituenti i complessi stessi). Questa concezione si avvale della polarità dialettica caso-necessità (come chiave di volta delle polarità dialettiche che riflettono  l'evoluzione della materia nel cosmo).

Allora, delle due, l'una: I) o una concezione della creazione della materia, delle sue forme, della vita e dell'uomo che presuppone l'intervento di un essere supremo, di una suprema volontà cosciente ma imperscrutabile; II) o una concezione evolutiva dell'automovimento della materia, eterna e increata, ma capace di creare le sue forme materiali, fino a quella più matura: l'uomo.

I) La prima concezione può anche accettare l'evoluzione, ma pretende per l'origine della vita e soprattutto per l'origine dell'uomo una superiore necessità. L'uomo non può essere, in questa concezione, soltanto un risultato inconsapevole e ciecamente necessario della evoluzione: l'uomo deve essere creato da Dio, concepito a sua immagine e somiglianza. Questa visione superba, che pretende per l'uomo un'origine più elevata e nobile di quella di ogni altra specie animale, si rovescia, però, nel suo opposto: nell'umile dipendenza della coscienza umana dalla superiore e imperscrutabile coscienza divina creatrice.

L'uomo si vede, così, preclusa la coscienza libera e indipendente. In questa concezione l'uomo non è il prodotto più maturo della evoluzione, è il sottoprodotto di una superiore esistenza che rimane infinitamente al di sopra della natura e della specie umana. L'umile coscienza dell'uomo non potrà perciò conoscere mai, realmente, la natura prodotta da un essere supremo; potrà solo inchinarsi di fronte alla imperscrutabile creazione divina, attribuendo ad essa l'impenetrabilità dei misteri della natura. E' questa la concezione che da millenni domina la specie umana.

II) Nella seconda concezione, l'uomo è solo uno dei risultati dei processi naturali incoscienti e ciechi, però l'ultimo e più maturo. Questa modesta origine della specie umana, che Darwin ha posto nella scala dell'evoluzione subito dopo le scimmie sue cugine, si rovescia nel suo opposto: in una posizione più elevata e nobile rispetto alle altre specie animali; ma solo perché l'uomo è in grado di rendersi indipendente, di creare gli strumenti della propria esistenza, e con essi di creare la propria coscienza libera e indipendente.

Con l'uomo la natura ha creato, senza premeditazione, con quella necessità che ha per fondamento il caso, ossia in maniera ciecamente necessaria, la propria coscienza: l'uomo è la natura che prende coscienza di sé. Questa concezione, nella sua formulazione più consapevole, è recente e appartiene a Marx ed Engels.

E' una concezione per il futuro, non per il presente della specie umana. Per questo motivo, possiamo considerare la storia della nostra specie, nonostante i suoi progressi tecnologici, una preistoria della umanità, e per questo stesso motivo possiamo concepire la scienza umana una prescienza. Fino ad oggi essa è stata, bene o male, la scienza "divina e veneranda" concepita da Aristotele, ossia una scienza dipendente dalla tradizione teologica.

Solo il futuro dirà alle generazioni che verranno se la specie umana sarà finalmente in grado di fare la sua storia e la sua scienza, debitrice solo verso se stessa della propria esistenza. Nel frattempo la concezione dialettica e materialistica della natura e della società dovrà accontentarsi di sopravvivere in qualche interstizio del mondo, ravvivata, si spera, dagli "studi e riflessioni di un autodidatta".

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Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)

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