Il creatore della fortunata formula "Società dello spettacolo", che è anche il titolo di un suo breve saggio zeppo di aforismi, è un intellettuale francese, regista cinematografico. Guy Debord, questo il suo nome, era giunto alla paradossale conclusione che "Lo spettacolo è la principale produzione della società attuale", e che di conseguenza: "Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un'enorme accumulazione di spettacoli". In questo modo, scimmiottando Marx, egli ha sostituìto gli "spettacoli" alle merci, anticipando di un trentennio l'attuale rilevanza della produzione immateriale, denominata "industria culturale".
In particolare, Debord sottolineò la rilevanza dell'apparire nella società dello spettacolo: "La prima fase del dominio dell'economia sulla vita sociale aveva determinato nella definizione di ogni realizzazione umana una evidente degradazione dell'essere in avere. La fase presente dell'occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati dall'economia conduce a uno slittamento generalizzato dell'avere nell'apparire, da cui ogni "avere" effettivo deve trovare il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima".
In particolare, Debord sottolineò la rilevanza dell'apparire nella società dello spettacolo: "La prima fase del dominio dell'economia sulla vita sociale aveva determinato nella definizione di ogni realizzazione umana una evidente degradazione dell'essere in avere. La fase presente dell'occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati dall'economia conduce a uno slittamento generalizzato dell'avere nell'apparire, da cui ogni "avere" effettivo deve trovare il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima".
Secondo Debord l'avere cede il passo all'apparire, come l'essere aveva dovuto farlo con l'avere. L'avere è, in questo modo, subordinato al prestigio dell'apparire. Ma le cose non stanno proprio così. L'apparire nella società dello spettacolo si manifesta in duplice modo: l'apparire delle merci, funzionale all'incremento delle vendite (apparire per avere), e l'apparire degli uomini. Nel secondo caso, l'apparire, che oggi ha preso il nome di visibilità, non è in sé un'esigenza di prestigio primaria, essa è funzionale a vantaggi economici, sociali e politici. La visibilità non è fine a se stessa, essa rappresenta il mezzo più funzionale all'avere e a mantenere ciò che si ha: una posizione economica, una posizione sociale o politica di prestigio. In particolare, poi, per il professionista dello spettacolo, la visibilità, l'attuale modo di apparire, è un'attività economica ben retribuita.
La realtà è dunque questa: l'apparire è in funzione dell'avere; quindi, se l'avere ha sostituito l'essere, lo stesso ha fatto l'apparire; anzi, l'apparire ha accentuato la distanza tra l'uomo di spettacolo e l'essere dell'uomo. L'uomo di spettacolo, nella sua fittizia apparenza, è ancora più distante dall'essenza umana. E per uomo di spettacolo non intendiamo soltanto il professionista, il conduttore televisivo, il cantante, l'attore, ecc., ma anche, e soprattutto, l'uomo che vive irretito nella società dello spettacolo, "protagonista inconsapevole" dello show che lo circonda.
Se confrontiamo il periodo definito da Debord Società dello spettacolo con il periodo che Rifkin ha chiamato Era dell'accesso, la principale differenza che emerge dopo un trentennio (1970-2000) è l'estensione della produzione immateriale, della cosiddetta "industria culturale", nell'Occidente opulento. Secondo Rifkin si tratta di un "ipercapitalismo fondato sull'accesso a esperienze culturali". La formazione di colossi multinazionali del capitalismo "culturale" fa impallidire la "società dello spettacolo" di Debord: Viacom, Time Warner, Disney, Sony, Seagram, Microsoft, News Corporation, General Electric, Bertlsmann, PolyGram, queste sono le principali multinazionali dei "media" che, grazie alla rivoluzione tecnologica digitale, racchiudono l'intera esistenza umana entro la sfera commerciale.
Per Rifkin: "Il primo livello (dell'attività economica) sarà occupato con sempre maggior frequenza dalla compravendita di esperienze umane. L'industria cinematografica fa da apripista alla nuova era in cui le esperienze di vita del consumatore saranno mercificate e trasformate in una serie infinita di momenti teatrali, eventi drammatici e trasformazioni personali. Mentre il resto dell'economia comincia a migrare dai mercati geografici al ciberspazio e dalla vendita di merci e servizi alla mercificazione di intere aree di esperienza umana, il modello organizzato dello studio hollywoodiano sarà considerato sempre più spesso lo standard per l'organizzazione di attività economiche".
L'esigenza del profitto impone la mercificazione totale dell'esistenza umana sociale. Questa mercificazione avviene in forme spettacolari, nella forma "circenses" moderna che interessa principalmente la società dell'opulenza dove il "panem" è assicurato, e dove è aumentata la quota di popolazione che vive di attività parassitarie e di rendite finanziarie. Ora, se il modello hollywoodiano rappresenta lo standard per l'attuale produzione immateriale della società dello spettacolo, che trasforma tutta la sfera dell'esistenza umana in "esperienze culturali", vendute come merci, lo stesso modello permette il capovolgimento della produzione materiale, trasformando la vendita delle reali merci nella vendita di fittizie "esperienze culturali".
La società dello spettacolo dètta quindi la sua legge anche alla circolazione delle merci traformando il consumo pagante in shopping, che appare consumo di un valore d'uso aggiuntivo, lo "stile di vita", ma che è realmente shopping per lo shopping. L'apparire è diventato così il reale modo d'esistere delle masse dell'Occidente, trasformate in comunità di shopper. La società dello spettacolo può quindi essere definita con il termine appropriato di società del Truman show, dove Truman è il nome dell'individuo collettivo, dello shopper collettivo che vive in un mondo fittizio di pure apparenze.
Scrive Rifkin "Il futurologo James Ogilvey osserva che "la crescita dell'industria culturale è il segnale che il mercato è saturo di roba prodotta dalla rivoluzione industriale". Sempre Ogilvey afferma inoltre che "i consumatori di oggi non si domandano più "Cosa vorrei possedere che ancora non ho?", ma invece "Cosa voglio provare che non ho ancora provato?""
Ogilvey parla evidentemente di quella parte della società dell'Occidente parassitaria e dedita alla sfera "circenses" perché è "ipersazia" e possiede tutta la "roba" (sinonimo dispregiativo di merce) prodotta industrialmente. Ma questa narrazione non tiene conto di un'altra realtà, quella narrata dai 60 milioni di famiglie americane che si indebitano solo per rispondere alla prima domanda e anche nell'illusione di poter rispondere qualche volta alla seconda.
Il segnale che il mercato è saturo riflette semplicemente il limite della capacità di spesa degli "shopper imperfetti", e di conseguenza la necessità di spremere gli "shopper perfetti", inventando nuovi prodotti culturali, nuovi spettacoli, nuovi "circenses". Poiché, però, non esistono barriere che separino gli shopper perfetti da quelli imperfetti, anche questi ultimi cercano di accedere qualche volta ai nuovi prodotti culturali, aumentando il proprio indebitamento, e avvicinandosi sempre più al giorno in cui devono dichiarare bancarotta.
Stando così le cose, si comprende perché Rifkin concepisca ogni business come "show business", nel senso della ""prospettiva drammaturgica" che si fonda sulla convinzione che tutta l'interazione umana sia una recita e segua sempre princìpi simili a quelli usati in teatro" . A tal punto la concezione di vita teatrale si impone all'esistenza umana che "Kenneth Burke ha frammentato l'interazione tra individui in cinque categorie teatrali generali: l'"atto", ossia ciò che accade fra le persone che interagiscono; la "scena", ossia l'ambiente in cui l'interazione si svolge; gli "attori", ossia gli agenti che interagiscono l'uno con l'altro; Burke definisce poi "agenzia" il modo in cui l'atto viene eseguito; infine, lo "scopo", ovvero la ragione per cui l'atto viene eseguito".
Insomma, si tratta di "categorie teatrali" che riguardano l'attuale società del Truman show. Rifkin è forse l'unico che abbia avuto il merito di riconoscere nel film, "The Truman show", uscito nel 1998, il carattere dell'attuale società, anche se lo ha fatto con un capovolgimento tipico della sua "retina" mentale. Secondo lui "il protagonista è un personaggio immaginario che, cresciuto in un ambiente televisivo completamente simulato, è del tutto inconsapevole delle proprie condizioni di prigioniero. Quando, alla fine, Truman scopre la verità, cerca disperatamente di fuggire per rientrare nel "mondo reale", al di fuori del circoscritto, sebbene vasto, set televisivo. Per ironia della sorte, mentre Truman tenta con ogni mezzo di sottrarsi all'ambiente artificiale che lo imprigiona, la maggioranza di noi sta compiendo un viaggio in direzione opposta".
Rifkin non deve aver riflettuto sul fatto che, in genere, questo tipo di filmografia USA presenta situazioni che nella realtà sono impossibili da superare, ma che nella finzione scenica sono superate dall'eroe, solitario e individualista. In questi film è proprio l'eccezione rappresentata dal protagonista che illumina sulla regola vigente nella società reale. Anche in "The Truman show", la formidabile impresa del protagonista, quella di sfuggire al set televisivo, allo show che lo avvolgeva fin dalla nascita, ci illumina sul fatto che nel mondo reale nessun americano può sfuggire alla società dello spettacolo che lo avvolge ormai da quando è nato. Il Truman collettivo, la massa degli shopper, non può sfuggire alla società del Truman show funzionale allo shopping; e nessun singolo Truman può farlo per la semplice ma decisiva ragione che non esiste al mondo una realtà non fittizia, se non quella dove la penuria e il degrado fanno rimpiangere d'esservi nati.
Insomma, questo film, come tutti i film americani di questo genere, rivela una realtà alla quale nessuno può sfuggire, se non il protagonista della finzione cinematografica la quale costituisce la finzione della finzione. Nella fiction cinematografica, la finzione è il set del Truman show. Ma nella società reale, la finzione esemplificata dal film rappresenta la realtà fittizia della società dello spettacolo, perché il "set televisivo" avvolge realmente tutta la società: è la reale società del Truman show, il cui contrassegno è la pura fittizia apparenza, la finzione assoluta.
Quindi Rifkin non è riuscito a (o non ha voluto) liberarsi della finzione reale, quando ha concluso che tutti stanno compiendo oggi un viaggio in direzione opposta, verso la finzione del set televisivo. Non vedendo che, in realtà, tutti sono da tempo dentro il set della società dello spettacolo finalizzata allo shopping, egli ha generalizzato una tendenza accessoria: si tratta del fatto che nel mondo reale, divenuto fittizio, gli individui, schiavi inconsapevoli del Truman show sociale, desiderano sollevarsi dalla condizione di semplici spettatori alla condizione di professionisti degli show; quindi, aspirano ad accedere alla notorietà nella finzione esplicita dei set televisivi.
Il viaggio in direzione opposta non è il viaggio dalla realtà alla finzione, come pretende Rifkin, ma è quello dalla reale finzione del Truman show, della quale nessuno è consapevole, alla finzione dei set televisivi ben nota a tutti, ma che presenta l'indubbio vantaggio di una professione ben remunerata.
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Tratto da "La fase del capitalismo senescente chiamata globalizzazione" (2005-2007)
Post scriptum. Oggi, aprile 2013: meno di una decina d'anni dopo aver scritto questo paragrafo, siamo in una situazione nuova, ma prevista allora: lo slittamento dello shopping da ovest a est. In altre parole, il forte aumento di shopper in Asia e il crollo di shopper in Europa e negli Stati Uniti. Ma non è che ci si possa adattare tanto facilmente a un ritorno indietro così improvviso e drastico. Perciò, la coscienza di Truman sta oscillando tra il vecchio, che indagheremo nel prossimo post, e il nuovo, imprevedibile, che ha già cominciato a manifestarsi in varie forme di protesta, tra le quali, ad esempio in Italia, il Movimento 5Stelle. E' forse solo un caso che alla testa del nuovo movimento ci sia un ex "Truman" di professione che ha calcato per due decenni i set televisivi?
Tratto da "La fase del capitalismo senescente chiamata globalizzazione" (2005-2007)
Post scriptum. Oggi, aprile 2013: meno di una decina d'anni dopo aver scritto questo paragrafo, siamo in una situazione nuova, ma prevista allora: lo slittamento dello shopping da ovest a est. In altre parole, il forte aumento di shopper in Asia e il crollo di shopper in Europa e negli Stati Uniti. Ma non è che ci si possa adattare tanto facilmente a un ritorno indietro così improvviso e drastico. Perciò, la coscienza di Truman sta oscillando tra il vecchio, che indagheremo nel prossimo post, e il nuovo, imprevedibile, che ha già cominciato a manifestarsi in varie forme di protesta, tra le quali, ad esempio in Italia, il Movimento 5Stelle. E' forse solo un caso che alla testa del nuovo movimento ci sia un ex "Truman" di professione che ha calcato per due decenni i set televisivi?
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