(Continuazione) III) Il logico formale A. De Morgan ripropone la distinzione tra conoscenza certa e conoscenza probabile: "All'ambito della conoscenza certa appartengono le verità evidenti della tradizione cartesiana, all'ambito della conoscenza probabile tutti i casi nei quali non si può arrivare a una conoscenza certa". (Dessì)
Per De Morgan, la probabilità è il grado di credenza razionale, non l'atteggiamento psicologico soggettivo di fronte a qualsiasi assunzione. Insomma, ed è sempre Dessì che riassume: "La credenza nei confronti di una proposizione contingente potrà assumere tutti i valori compresi tra gli estremi, dati dalla necessità che si traduce in certezza a favore e dell'impossibilità che si traduce in certezza contro. I gradi di credenza sono sempre suscettibili di misura...". La credenza è come il calore o la febbre, "si tratta di costruire una sorta di termometro per la credenza avendo a disposizione il punto di ebollizione costituito dalla certezza a favore e il punto di congelamento costituito dalla certezza contro".
Per questa via si arriva alla "definizione classica di probabilità come rapporto tra casi favorevoli e casi possibili, quando tutti i casi sono ugualmente possibili". Definizione dalla quale scompare ogni riferimento al caso, perché la probabilità diventa effettiva conoscenza, persino quantificabile come misura del grado di credenza. E questa probabilità assumerebbe un ruolo importante nella scienza, quello di guidare lo scienziato nella scelta delle ipotesi. Strumento principale, in questo senso, è per De Morgan, il teorema della probabilità inversa di Bayes, che egli riassume nella seguente formulazione: "vi siano due eventi successivi; la probabilità del secondo sia b/N e la probabilità di entrambi insieme sia p/N; se dall'essersi appreso che il secondo evento è accaduto io ipotizzo che il primo evento è anch'esso accaduto, la probabilità che io sia nel giusto è p/b".
De Morgan fornì in questo modo uno dei primi argomenti all'indeterminismo della conoscenza scientifica, perché, basando l'ipotesi sulla probabilità, comunque calcolata, finiva con l'accettare l'idea che un'ipotesi valida non dovesse essere necessariamente determinata, essendo sufficiente un buon grado di probabilità, rimanendo così un certo grado di indeterminazione. Dal punto di vista della teoria della conoscenza si potrebbe collegare De Morgan a Epicuro. Non a caso egli è considerato tra i fondatori di una teoria soggettivista della probabilità.
I soggettivisti tengono il calcolo delle probabilità separato dalla statistica, ossia dal concetto di frequenza, e se ne servono proprio in quanto previsione incerta, probabilistica. Essi così misurano la probabilità degli eventi come qualcosa che è più o meno possibile. Alla maniera di Epicuro possono quindi prendere in considerazione ogni possibilità. Ma, diversamente dal pensatore greco, essi hanno a disposizione, con il calcolo delle probabilità, un metro di misura. Possiamo, per concludere, sostenere che l'indeterminismo apre una breccia nel determinismo. Non a caso De Morgan non fa confusione tra probabilità e frequenza, ma chiarisce molto bene il significato e i limiti del calcolo delle probabilità.
IV) R. Leslie, in "On the foundations of the Theory of probabilities", sostiene che l'unico fondamento della nozione di probabilità è la frequenza, nel senso che "se la probabilità di un dato evento è determinata in maniera corretta, l'evento in una lunga serie di prove tenderà a presentarsi con una frequenza proporzionale (...). Mi sembra che questo sia vero a priori".
Dessì commenta: "Con "vero a priori" egli intende che l'idea di probabilità è così strettamente connessa all'idea di frequenza che non è possibile distinguere l'una dall'altra. Anzi l'idea di probabilità non ha alcun significato se viene separata dall'idea di frequenza". A nostro parere Leslie sottolinea che esiste un preciso rapporto vero tra la probabilità determinata matematicamente a priori e la verifica sperimentale della frequenza: la frequenza perciò conferma la probabilità se quest'ultima è stata determinata correttamente.
Infatti scrive: "Sono stato incapace di separare il giudizio che è più probabile che accada un evento piuttosto che un altro, o che esso debba essere atteso a preferenza dell'altro, dalla credenza che in una lunga serie esso si presenterà più frequentemente". In altre parole, Leslie non riesce a tenere separati la probabilità e la statistica nel senso che se pensa alla probabilità di un evento, pensa immediatamente alla serie di eventi che danno luogo alla frequenza. Insomma, se un evento è probabile secondo un dato valore, quel valore deve essere verificato come frequenza statistica. E questa di Leslie potrebbe apparire una concezione corretta, se non fosse che, denominata frequentista, non sfociasse nel determinismo più assoluto, negando che si potessero assimilare i fenomeni della natura al lancio della moneta o all'estrazione di una pallina da un'urna, in altre parole negando qualsiasi casualità per i fenomeni naturali.
Se, ora, poniamo a confronto la concezione soggettivista con la concezione frequentista possiamo cogliere la differenza di fondo nel fatto che, se i soggettivisti tentano di determinare l'indeterminabile, illudendosi di poter attribuire ad ogni ipotesi un valore di probabilità, i frequentisti considerano principalmente il valore statistico della frequenza e ritengono che ogni fenomeno deterministico presenterà una determinata frequenza, senza alcuna considerazione del caso probabilistico.
V) La critica di S. Forbes si rivolge al cattivo uso del calcolo delle probabilità, in primo luogo, riguardo al concetto di distribuzione casuale e, quindi, riguardo al principio di indifferenza sul quale il precedente concetto è fondato. Secondo Forbes dire "sparpagliate a caso" significa una sfera di possibilità più ampia di quella del lancio del dado, per il quale sappiamo che la sequenza più probabile dei dadi equilibrati è quella simmetrica. Insomma, secondo lui, l'idea del caso deve sfuggire a ogni possibilità di previsione. "Pertanto -osserva Dessì- il caso non è il corrispettivo di non causato, ma causato in modo tale da non poter esser fatto oggetto di alcuna aspettativa reale, in quanto non può essere sottoposto ad alcuna condizione determinata".
Per Forbes, in sostanza, il principio di indifferenza rappresenta già un certo grado di conoscenza perché ci permette di dire che nel lancio di un dado equilibrato ogni faccia ha la stessa possibilità di uscire. Quindi non c'è completa ignoranza: tra le proprietà del dado vi è anche la simmetria che giustifica l'uso del principio di indifferenza. Secondo Dessì, per Forbes, il caso è, come per Laplace e Herschel, l'ignoranza della cause e non ha perciò alcun significato oggettivo.
Per il determinismo il caso è l'assoluto caso, ossia l'assoluta ignoranza, perciò il caso è opposto alla necessità: come ciò che non è possibile, ancora o mai, conoscere come necessità. Perciò Forbes, portando alle estreme conseguenze la logica deterministica, giunge all'interessante osservazione che il caso probabilistico non è assoluta assenza di conoscenza. E su questo siamo completamente d'accordo: la simmetria, o il principio di indifferenza, permette al dado di dare una frequenza relativa "assoluta" in una serie numerosa di lanci.
Ma supponiamo che una asimmetria sconosciuta privilegiasse alcune facce rispetto alle altre, che cosa succederebbe? Si verificherebbe una deviazione dalla frequenza relativa, che ci informerebbe sulla mancata simmetria, e anche questa sarebbe una forma di conoscenza. Non si scappa: sebbene la conoscenza non sia in grado di determinare il singolo evento casuale, essa può ben determinare l'ambito della casualità, e può farlo perché la casualità ci informa della sua esistenza e finisce col volgersi nel suo contrario, nella necessità dei fenomeni collettivi, sia in termini assoluti: la frequenza relativa certa e costante, sia in termini relativi: le deviazioni dalla frequenza, che sono calcolabili come approssimazioni.
Dice Dessì che, "dichiarata illegittima l'analogia tra eventi simmetrici e fenomeni naturali, cessa la speranza che il calcolo della probabilità, da solo, ci metta in grado distinguere tra fenomeni dovuti al caso e fenomeni risultanti da una legge o da una volontà di produrli".
Questa conclusione non coglie il punto fondamentale: e cioè che anche il lancio della moneta, sebbene sia un movimento voluto, segue la legge dei fenomeni naturali. Tutto ciò che non è diretta connessione di causa ed effetto, che troviamo soltanto nelle macchine prodotte dall'uomo, e solo raramente nelle relazioni sociali umane, appartiene alla fondamentale legge dei fenomeni naturali. Ed è questa legge che va compresa. Qui non si tratta più di calcolo della probabilità e di statistica, considerate come metodologie separate; qui si tratta di logica dialettica, per la quale la principale legge dei fenomeni naturali stabilisce che essi avvengono in maniera cieca e incosciente, senza alcuna predeterminazione.
I fenomeni naturali e i fenomeni che seguono modalità naturali sono la conseguenza ciecamente necessaria del movimento di numerosi elementi costituenti un complesso. Perciò la legge che li guida può essere compendiata con le seguenti parole: i nessi tra i singoli elementi sono praticamente infiniti, quindi sono casuali, indeterminabili; al contrario, il fenomeno complessivo presenta una regolarità, una necessità determinabile. Nel primo caso l'indeterminazione prende il nome di probabilità, nel secondo la determinazione prende il nome di frequenza statistica.
Il fatto che in natura non si osservino sempre simmetrie, significa soltanto che aumenta la difficoltà di impostare una indagine statistica, ma non può significare la confusione tra "fenomeni dovuti al caso" e "fenomeni dovuti alla necessità", perché è solo il caso che permette la necessità naturale: è il caso degli infiniti, singoli elementi che si rovescia nella necessità dei fenomeni e dei processi complessivi. Ogni fenomeno naturale ha il suo ambito di casualità inerente i singoli elementi che lo costituiscono. Si tratta di riconoscerlo per poter impostare una indagine di carattere statistico.
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume Primo Teoria della conoscenza" (1993-2002).
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume Primo Teoria della conoscenza" (1993-2002).
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