L'incomprensione dei concetti di probabilità e di frequenza da parte del determinismo ottocentesco
Nel suo saggio "L'ORDINE E IL CASO" (1989), che abbiamo già considerato, l'autrice, Paola Dessì, scrive: "Nel 1830 la British Association For The Advancement Of Science aveva costituito un comitato, sotto la presidenza di Malthus, allo scopo di stabilire se la statistica potesse essere considerata una scienza e perciò fosse opportuno accogliere la proposta di formare una sezione di Statistica all'interno dell'associazione. La risposta del comitato, fatta propria nel 1834 dalla Statistica Society of London (la futura Royal Statistical Society), fu che la statistica poteva essere considerata una scienza soltanto in quanto si limitava a raccogliere e ordinare dati; ogni interpretazione di questi dati non poteva essere considerata opera scientifica".
Questa sottovalutazione della statistica da parte della scienza, manifestata ufficialmente nel 1830, testimonia l'incomprensione della comunità scientifica, dominata dal determinismo, nei confronti del principale strumento d'indagine empirica della conoscenza. In quegli stessi anni, diverse furono le posizioni che si confrontarono sui concetti di probabilità e di frequenza, tutte però rimanendo entro l'ambito dell'impostazione deterministica dominante. Per questo motivo, nessuna di esse poté chiarire il rapporto tra il calcolo delle probabilità e la statistica, e se qualcuna lo intuì e qualcun altra lo sfiorò, la maggior parte lo complicò rendendolo inestricabile. Lo scopo di questo paragrafo è esaminare le diverse posizioni, e, per fare questo, utilizzeremo ancora il saggio di Dessì.
Nel suo saggio "L'ORDINE E IL CASO" (1989), che abbiamo già considerato, l'autrice, Paola Dessì, scrive: "Nel 1830 la British Association For The Advancement Of Science aveva costituito un comitato, sotto la presidenza di Malthus, allo scopo di stabilire se la statistica potesse essere considerata una scienza e perciò fosse opportuno accogliere la proposta di formare una sezione di Statistica all'interno dell'associazione. La risposta del comitato, fatta propria nel 1834 dalla Statistica Society of London (la futura Royal Statistical Society), fu che la statistica poteva essere considerata una scienza soltanto in quanto si limitava a raccogliere e ordinare dati; ogni interpretazione di questi dati non poteva essere considerata opera scientifica".
Questa sottovalutazione della statistica da parte della scienza, manifestata ufficialmente nel 1830, testimonia l'incomprensione della comunità scientifica, dominata dal determinismo, nei confronti del principale strumento d'indagine empirica della conoscenza. In quegli stessi anni, diverse furono le posizioni che si confrontarono sui concetti di probabilità e di frequenza, tutte però rimanendo entro l'ambito dell'impostazione deterministica dominante. Per questo motivo, nessuna di esse poté chiarire il rapporto tra il calcolo delle probabilità e la statistica, e se qualcuna lo intuì e qualcun altra lo sfiorò, la maggior parte lo complicò rendendolo inestricabile. Lo scopo di questo paragrafo è esaminare le diverse posizioni, e, per fare questo, utilizzeremo ancora il saggio di Dessì.
I] Esaminiamo la posizione di Herschel sul calcolo delle probabilità. L'autrice la sintetizza nei seguenti termini: "Come per Laplace anche per Herschel la probabilità ha significato in rapporto alla nostra ignoranza del vero succedersi dei fenomeni e delle loro cause e costituisce ancora il miglior modo di avvicinarsi da parte dell'uomo a una realtà supposta completamente determinata nella sua struttura". Herschel, riferendosi a Laplace, scrive infatti: "ciò che si chiama caso è ammesso nei suoi ragionamenti come espressione dell'ignoranza in cui ci troviamo relativamente agli agenti, alle disposizioni e ai motivi, ma con l'intento espresso di escluderlo dai risultati".
Egli coglie, quindi, perfettamente la motivazione di fondo del calcolo delle probabilità: l'esclusione del caso; ma non precisa, e neppure Dessì precisa, che esistono due livelli distinti di determinazione: quello che riguarda il singolo evento, per il quale è sorto il calcolo delle probabilità, e quello che riguarda un gran numero di eventi, che è sempre stato oggetto della frequenza statistica. Ora, il fatto che Dessì ci assicuri che per Herschel, così come per Laplace, il valore vero è la frequenza non contribuisce a chiarire il rapporto probabilità-frequenza.
Scrive l'autrice che per Herschel "Il calcolo probabilistico deve essere guardato principalmente come ausiliario pratico della filosofia induttiva. Esso permette di fare previsioni laddove la concomitanza di un numero molto alto di cause dà luogo ad avvenimenti che presi singolarmente appaiono irregolari e incerti." Infatti, egli afferma: "Non vi è nessuno che, nei casi in cui ciò che chiamiamo contingenza entra largamente, non sia sorpreso di trovare non solamente che i risultati medi di differenti serie di prove si accordano tra loro in maniera veramente straordinaria, ma che gli stessi errori di prove individuali si raggruppano intorno alla media con una regolarità che si direbbe l'effetto di una intenzione deliberata".
In parole povere, per un determinista come Herschel è sorprendente e straordinario che là dove domina il caso si possa trovare una regolarità, una necessità, che sembra l'effetto di una intenzione deliberata. Insomma, ciò che sorprende il determinista è il rovesciamento del caso in necessità. La sorpresa è però accompagnata dal rifiuto: infatti, egli pone come centrale il concetto di frequenza in quanto determinato, ma solo in quanto esso permette di ipotizzare connessioni su possibili cause che sono ignote. Insomma, poiché la frequenza è un dato regolare, costante, determinato, si può affermare, in senso deterministico, che essa è un effetto della causalità.
Scrive Dessì: "Herschel si chiede: "perché alla lunga gli avvenimenti si conformano alle leggi di probabilità (sic!)? Qual è la causa di questo fenomeno considerato come un fatto?" Sotto al fatto degli avvenimenti che si conformano alla legge della frequenza ci deve essere una causa, e questa è la solita pretesa deterministica, che soltanto la necessità possa determinare un'altra necessità, che soltanto una causa necessaria possa determinare un effetto necessario.
Ma Herschel compie un altro errore di un tipo nuovo, non strettamente deterministico, errore che deriva dalla confusione tra un concetto "deterministico" come la frequenza e un concetto "indeterministico" come la probabilità, errore reso possibile però soltanto dal fatto di non voler riconoscere il caso come base del calcolo delle probabilità. E così egli non si rende conto che soltanto il singolo avvenimento si conforma alle leggi di probabilità, le quali stabiliscono, per ogni singolo evento, il suo ambito di casualità, ma non possono determinarlo in alcun modo. Mentre "alla lunga", (ossia, ogni serie di numerosi eventi nelle stesse condizioni) si conforma a una legge statistica, quella della frequenza.
Già, esaminando questa prima posizione sul rapporto probabilità-frequenza, possiamo giungere alla conclusione che il rifiuto del caso precluderà al determinismo ogni comprensione del concetto di probabilità, come concetto che, per così dire, non può far altro che inquadrare l'ambito della casualità singolare. Ma, non essendo in grado di comprendere la relazione esistente tra il concetto logico di caso e il concetto matematico di probabilità, il determinismo non avrebbe potuto comprendere la relazione esistente tra il concetto logico di necessità e il concetto statistico di frequenza.
La probabilità e la frequenza si sarebbero, perciò, confuse, scambiandosi le parti, esattamente come è sempre avvenuto tra il caso e la necessità, per cui il determinismo ha finito sempre con l'elevare il caso a necessità e l'indeterminismo con l'abbassare la necessità a casualità. Così la frequenza viene abbassata a probabilità e la probabilità viene elevata a frequenza. L'indagine delle prossime posizioni espresse da vari autori ce ne darà una precisa conferma.
II] Prendiamo in esame la posizione espressa da Mill nel "Sistem of logic" del 1843. "Nel lancio di un dado -scrive Mill- la probabilità dell'uscita di un asso è 1/6 non, come direbbe Laplace, perché vi sono sei tiri possibili di cui l'asso è uno, e noi non conosciamo alcuna ragione per la quale dovrebbe uscire l'uno piuttosto che l'altro, ma piuttosto perché sappiamo che in un centinaio o in un milione di lanci, l'asso uscirà circa 1/6 di quel numero o una volta su sei".
Come si vede, Mill eleva la probabilità a livello della frequenza, sbarazzandosi così del concetto aprioristico, matematico, di probabilità e di ogni connessione con il caso. Il suo errore è duplice: in primo luogo, perché nega che possa essere concepito un rapporto P=1/n, ossia una possibilità su n possibilità, definito probabilità; in secondo luogo, perché afferma che la probabilità può essere definita soltanto mediante il valore che l'esperienza determina come valore certo: la frequenza. Ma se noi sappiamo che in un gran numero di lanci di un dado un numero uscirà una volta su sei, il dato 1/6 rappresenta una certezza e non più una probabilità. Dunque che cosa può significare il concetto di probabilità se non un concetto matematico a priori? E a che cosa può servire determinare sperimentalmente una frequenza per poi considerarla alla stregua di una probabilità?
Secondo Mill, se noi sappiamo che in una foresta la metà degli alberi sono querce, la probabilità che un albero preso a caso sia una quercia è 1/2. Ma che bisogno abbiamo di utilizzare un dato determinato per rovesciarlo in un dato indeterminato? Che senso ha negare a qualcuno una conoscenza certa: ad esempio che la metà degli alberi di una determinata foresta sono querce, e costringerlo a prendere un albero a caso? La conoscenza serve all'uomo come guida all'azione, e quindi per eliminare il caso, non per trastullarsi con esso in senso probabilistico.
Dice Dessì che Mill cambiò parere dopo le critiche rivoltegli da Herschel, quindi fornì un'altra definizione di probabilità che l'autrice così riassume: "La probabilità non è una proprietà dell'evento, ma semplicemente la misura del grado di fondamento che abbiamo per aspettarci che l'evento si verifichi; è una grandezza soggettiva che può mutare da individuo a individuo e da momento a momento a seconda delle informazioni a disposizione di chi giudica, ed è suscettibile di misura anche nel caso di totale assenza di informazioni".
Questa nuova definizione di tipo soggettivistico è utilizzata da Mill per mettere in ombra la probabilità e lasciare campo libero alla sola frequenza. Secondo Dessì: "Mill si rende conto che ammettere la frequenza come unico fondamento del calcolo significa dare alla probabilità una valenza oggettiva che egli non è disposto a riconoscere", perché anche per lui in natura vige il più completo determinismo. infatti scrive: "Ogni evento è in se stesso certo, non probabile, se noi fossimo a conoscenza di tutto sapremmo positivamente che si verificherà o sapremmo positivamente che non si verificherà".
Si potrebbe dire che, con Mill, il determinismo oscilla tra il riconoscimento oggettivo della probabilità, identificata con la frequenza, per poter eliminare ogni considerazione sul caso, e il riconoscimento della oggettiva frequenza come il dato fondamentale collegabile deterministicamente ad una causalità ammessa, anche se sconosciuta, nel qual caso la probabilità viene messa in ombra, e considerata come terzo incomodo.
Mill cambierà parere sulla probabilità, nel senso che non la identificherà più con la frequenza, e imiterà Herschel, collegando la frequenza alla causalità. La connessione tra frequenza e causalità è però soltanto una questione di ragionamento formale di nessun valore teorico, come si può vedere dall'esempio da lui prodotto: l'assicuratore fa affidamento sulle tavole della mortalità dalle quali risulta ad esempio che il 5% degli individui raggiunge il settantesimo anno di età. Per Mill questo rapporto indica "la proporzione relativa a quel luogo e a quel tempo, che esiste tra le cause che prolungano la vita sino a settanta anni e quelle che tendono a farla finire prima". Ma questa è soltanto una semplice dichiarazione di fede determinista che si commenta da sola. (Continua)
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume primo Teoria della conoscenza" (1993-2002)
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