La soluzione scoperta da Marx
A conclusione del primo libro del Capitale, Marx scrive il famoso passo sul "regno della libertà": "L'effettiva ricchezza della società e la possibilità di un continuo allargamento del processo di riproduzione dipende quindi non dalla durata del pluslavoro, ma dalla sua produttività, e dalle condizioni di produzione più o meno ampie nelle quali è eseguito. Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si ritrova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria".
Marx afferma chiaramente che il regno della libertà comincia dove finisce il regno della necessità. Il regno della libertà si ritrova per sua natura oltre la sfera della necessità. Ma, subito dopo, aggiunge: "Come il selvaggio deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e riprodurre la sua vita, cosi deve fare anche l'uomo civile, e lo deve fare in tutte le forme della società e sotto tutti i possibili modi di produzione. A mano a mano che si sviluppa, il regno delle necessità naturali si espande, perché si espandono i suoi bisogni; ma al tempo stesso si espandono le forze produttive che soddisfano questi bisogni".
A conclusione del primo libro del Capitale, Marx scrive il famoso passo sul "regno della libertà": "L'effettiva ricchezza della società e la possibilità di un continuo allargamento del processo di riproduzione dipende quindi non dalla durata del pluslavoro, ma dalla sua produttività, e dalle condizioni di produzione più o meno ampie nelle quali è eseguito. Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si ritrova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria".
Marx afferma chiaramente che il regno della libertà comincia dove finisce il regno della necessità. Il regno della libertà si ritrova per sua natura oltre la sfera della necessità. Ma, subito dopo, aggiunge: "Come il selvaggio deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e riprodurre la sua vita, cosi deve fare anche l'uomo civile, e lo deve fare in tutte le forme della società e sotto tutti i possibili modi di produzione. A mano a mano che si sviluppa, il regno delle necessità naturali si espande, perché si espandono i suoi bisogni; ma al tempo stesso si espandono le forze produttive che soddisfano questi bisogni".
Marx dice che in tutte le forme della società e sotto tutti i possibili modi di produzione, l'uomo deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni che si espandono, e per conservare e riprodurre la sua vita. Quindi, al regno della necessità, la specie umana non potrà mai sottrarsi. Ma c'è necessità e necessità: c'è la necessità cieca, violenta e distruttiva, e c'è la necessità conosciuta e dominata dall'uomo. Perciò può scrivere: "La libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l'uomo socializzato, cioè i produttori associati regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il minor impiego possibile di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa".
C'è dunque una libertà che sorge al di là del regno della necessità, ma c'è anche una relativa libertà nell'ambito della necessità del lavoro. "Ma questa -scrive Marx- rimane sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero regno della libertà, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi di quel regno della necessità. Condizione fondamentale di tutto ciò è la riduzione della giornata lavorativa". La riduzione della giornata lavorativa è possibile grazie all'aumento della produttività del lavoro. Il singolo individuo potrà perciò spendere, nell'ambito del lavoro necessario, minor tempo: il tempo restante potrà essere dedicato allo sviluppo delle capacità umane fine a se stesse, e questo è il vero regno della libertà.
Il regno della necessità non scompare; quello che deve scomparire è il regno della casualità-necessità, dove l'uomo è dominato dalle forze cieche della natura e delle società naturali. Sulla base del lavoro necessario della totalità degli uomini (la specie) liberamente associati, eseguito in condizioni umane e mediante una giornata lavorativa corta, sorge il vero regno della libertà: la libertà fine a se stessa. Marx distingue chiaramente una libertà condizionata, relativa, nell'ambito della necessità del lavoro sociale, e una libertà vera, illimitata, completa, fine a se stessa, che sorge al di là della sfera della necessità, ma fondandosi su di essa. Le due forme di libertà non sono metafisicamente antagoniste, esse sono inscindibili: non può esistere l'una senza l'altra.
Ma che cosa è questa libertà fine a se stessa, e a chi va riferita? Possiamo dire che la mancata considerazione della distinzione tra il singolo individuo e il complesso degli individui (in questo caso la specie umana) non ha permesso di dare una risposta senza equivoci, anche per la scarsa considerazione dei marxisti nei confronti dell'individualismo piccolo borghese, identificato con l'individuo stesso, così che l'idea di libertà individuale poteva essere considerata solo un'illusione piccolo borghese. Ma in una società senza classi e senza Stato, in una società di uomini liberi associati, la questione dell'individualismo piccolo borghese non si pone più.
Nel suo brano sul "regno della libertà", Marx distingue chiaramente due forme di libertà, quella relativa alla necessità che fa riferimento all'uomo in quanto associazione, che potremmo chiamare libertà collettiva o libertà dell'intera specie umana, acquisibile soltanto nella sfera della necessità del lavoro; e quella che fa riferimento alla vera libertà, per ciascun membro della specie, che possiamo chiamare libertà individuale, e che può sorgere soltanto sul regno della necessità e manifestarsi al di fuori di esso, nella vita individuale.
Se consideriamo l'intera specie umana e la sua necessità di sopravvivenza e di sviluppo, vediamo che la libertà può consistere soltanto -come sostiene qui Marx, e come più volte abbiamo visto sostenere da Engels- nel dominio dell'uomo sulla società e sulla natura, ossia nella capacità di poter condurre l'associazione di uomini liberi nella direzione dei risultati voluti secondo un piano con fini predeterminati; nel saper tenere sotto controllo il ricambio organico con la natura; nella capacità di poter utilizzare le leggi della società e della natura per i fini di sviluppo della specie umana. Questa è la libertà della specie. Possiamo chiamare questo il regno della necessità-libertà, il regno in cui la libertà del volere si fonda sulla conoscenza della necessità e si realizza nella possibilità di agire, come specie, nella direzione prefissata ottenendo i risultati voluti. E' questo il regno in cui la specie umana domina la necessità, e nella misura in cui la domina, è libera.
Su questa base può sorgere e svilupparsi la libertà individuale, finalizzata allo sviluppo delle capacità umane individuali. Qui il singolo individuo è finalmente libero di essere, esprimersi, manifestarsi in senso umano.
Nell'associazione di uomini liberi non esistono più classi sociali. L'individuo può essere, quindi, soltanto due cose: membro della specie, individuo per gli altri, e individuo in sé e per sé. Allora la duplicità della libertà è comprensibile e non si presta ad equivoci. Essa è riferibile a due qualità distinte: l'individuo e la specie. C'è una libertà della specie e c'è una libertà dell'individuo. Ma la libertà individuale può esistere soltanto sulla base della libertà della specie. E' questa una condizione cui può aspirare soltanto la specie umana, rimanendo le altre specie animali sempre dominate dalla casualità dei singoli e dalla cieca necessità della specie.
Fino ad oggi, quanto più l'individuo è stato schiavo della casualità, che gli si è sempre presentata sotto la duplice maschera dell'agiatezza o della miseria, del capriccio o dell'arbitrio, della farsa o della tragedia, della sottomissione o della rivolta, ecc., tanto più la specie è stata schiava della necessità cieca, violenta e distruttiva. Il bilancio non si fa mai sugli individui, tutti diversi l'uno dall'altro non solo biologicamente, ma anche in relazione alla sorte. Diversamente toccati dal caso, sono diversamente toccati dalle conseguenze di ogni risultato non voluto della specie: potrà capitare ad uno di essere rovinato nel benessere generale, ad un altro di godere fortune insperate nelle peggiori disgrazie che possano toccare il l'umanità. Il bilancio si fa sempre sull'intera specie, per la quale, ad esempio, una guerra mondiale è sempre e senza eccezione cieca, violenta e distruttiva.
Ciò che vogliamo sottolineare è che l'individuo di una associazione di uomini liberi non è più l'individuo sociale appartenente ad una classe, che quindi dipende sia dalle necessarie condizioni della sua classe, sia dalle necessarie condizioni della nazione alla quale appartiene come cittadino, sia dalla casualità inerente al suo essere singolo individuo; ma è individuo finalmente libero, perché la sua libertà è fondata sulla solida base della libertà della specie.
Potremmo sintetizzare il tutto in una formula generale.
1) Quanto più ciecamente necessario sull'intera specie umana è il dominio della natura e della società, tanto più casuale è l'esistenza dei suoi singoli individui.
C'è dunque una libertà che sorge al di là del regno della necessità, ma c'è anche una relativa libertà nell'ambito della necessità del lavoro. "Ma questa -scrive Marx- rimane sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero regno della libertà, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi di quel regno della necessità. Condizione fondamentale di tutto ciò è la riduzione della giornata lavorativa". La riduzione della giornata lavorativa è possibile grazie all'aumento della produttività del lavoro. Il singolo individuo potrà perciò spendere, nell'ambito del lavoro necessario, minor tempo: il tempo restante potrà essere dedicato allo sviluppo delle capacità umane fine a se stesse, e questo è il vero regno della libertà.
Il regno della necessità non scompare; quello che deve scomparire è il regno della casualità-necessità, dove l'uomo è dominato dalle forze cieche della natura e delle società naturali. Sulla base del lavoro necessario della totalità degli uomini (la specie) liberamente associati, eseguito in condizioni umane e mediante una giornata lavorativa corta, sorge il vero regno della libertà: la libertà fine a se stessa. Marx distingue chiaramente una libertà condizionata, relativa, nell'ambito della necessità del lavoro sociale, e una libertà vera, illimitata, completa, fine a se stessa, che sorge al di là della sfera della necessità, ma fondandosi su di essa. Le due forme di libertà non sono metafisicamente antagoniste, esse sono inscindibili: non può esistere l'una senza l'altra.
Ma che cosa è questa libertà fine a se stessa, e a chi va riferita? Possiamo dire che la mancata considerazione della distinzione tra il singolo individuo e il complesso degli individui (in questo caso la specie umana) non ha permesso di dare una risposta senza equivoci, anche per la scarsa considerazione dei marxisti nei confronti dell'individualismo piccolo borghese, identificato con l'individuo stesso, così che l'idea di libertà individuale poteva essere considerata solo un'illusione piccolo borghese. Ma in una società senza classi e senza Stato, in una società di uomini liberi associati, la questione dell'individualismo piccolo borghese non si pone più.
Nel suo brano sul "regno della libertà", Marx distingue chiaramente due forme di libertà, quella relativa alla necessità che fa riferimento all'uomo in quanto associazione, che potremmo chiamare libertà collettiva o libertà dell'intera specie umana, acquisibile soltanto nella sfera della necessità del lavoro; e quella che fa riferimento alla vera libertà, per ciascun membro della specie, che possiamo chiamare libertà individuale, e che può sorgere soltanto sul regno della necessità e manifestarsi al di fuori di esso, nella vita individuale.
Se consideriamo l'intera specie umana e la sua necessità di sopravvivenza e di sviluppo, vediamo che la libertà può consistere soltanto -come sostiene qui Marx, e come più volte abbiamo visto sostenere da Engels- nel dominio dell'uomo sulla società e sulla natura, ossia nella capacità di poter condurre l'associazione di uomini liberi nella direzione dei risultati voluti secondo un piano con fini predeterminati; nel saper tenere sotto controllo il ricambio organico con la natura; nella capacità di poter utilizzare le leggi della società e della natura per i fini di sviluppo della specie umana. Questa è la libertà della specie. Possiamo chiamare questo il regno della necessità-libertà, il regno in cui la libertà del volere si fonda sulla conoscenza della necessità e si realizza nella possibilità di agire, come specie, nella direzione prefissata ottenendo i risultati voluti. E' questo il regno in cui la specie umana domina la necessità, e nella misura in cui la domina, è libera.
Su questa base può sorgere e svilupparsi la libertà individuale, finalizzata allo sviluppo delle capacità umane individuali. Qui il singolo individuo è finalmente libero di essere, esprimersi, manifestarsi in senso umano.
Nell'associazione di uomini liberi non esistono più classi sociali. L'individuo può essere, quindi, soltanto due cose: membro della specie, individuo per gli altri, e individuo in sé e per sé. Allora la duplicità della libertà è comprensibile e non si presta ad equivoci. Essa è riferibile a due qualità distinte: l'individuo e la specie. C'è una libertà della specie e c'è una libertà dell'individuo. Ma la libertà individuale può esistere soltanto sulla base della libertà della specie. E' questa una condizione cui può aspirare soltanto la specie umana, rimanendo le altre specie animali sempre dominate dalla casualità dei singoli e dalla cieca necessità della specie.
Fino ad oggi, quanto più l'individuo è stato schiavo della casualità, che gli si è sempre presentata sotto la duplice maschera dell'agiatezza o della miseria, del capriccio o dell'arbitrio, della farsa o della tragedia, della sottomissione o della rivolta, ecc., tanto più la specie è stata schiava della necessità cieca, violenta e distruttiva. Il bilancio non si fa mai sugli individui, tutti diversi l'uno dall'altro non solo biologicamente, ma anche in relazione alla sorte. Diversamente toccati dal caso, sono diversamente toccati dalle conseguenze di ogni risultato non voluto della specie: potrà capitare ad uno di essere rovinato nel benessere generale, ad un altro di godere fortune insperate nelle peggiori disgrazie che possano toccare il l'umanità. Il bilancio si fa sempre sull'intera specie, per la quale, ad esempio, una guerra mondiale è sempre e senza eccezione cieca, violenta e distruttiva.
Ciò che vogliamo sottolineare è che l'individuo di una associazione di uomini liberi non è più l'individuo sociale appartenente ad una classe, che quindi dipende sia dalle necessarie condizioni della sua classe, sia dalle necessarie condizioni della nazione alla quale appartiene come cittadino, sia dalla casualità inerente al suo essere singolo individuo; ma è individuo finalmente libero, perché la sua libertà è fondata sulla solida base della libertà della specie.
Potremmo sintetizzare il tutto in una formula generale.
1) Quanto più ciecamente necessario sull'intera specie umana è il dominio della natura e della società, tanto più casuale è l'esistenza dei suoi singoli individui.
2) Quanto più sotto controllo è la necessità, quanto più garantito è il dominio della specie umana sulla natura e sulla società, tanto più libera è la specie.
3) Infine, quanto più libera è la specie, tanto meno casuale e tanto più libera è l'esistenza dei suoi singoli individui.
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Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)
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