venerdì 19 aprile 2013

2a) Caso probabilistico e necessità statistica

(Continuazione) Il fatto "sconvolgente", nel senso che "sconvolse" la probabilistica rovesciandola in statistica, si verificò quando si prese in considerazione non più il singolo lancio della moneta, non più la singola possibilità sul totale delle possibilità, ma un gran numero di lanci della stessa moneta nelle stesse condizioni. Se consideriamo con T il numero di uscite Testa, con C il numero di uscite Croce e con n il numero di lanci, si verifica sperimentalmente che T/n e C/n tendono, in un gran numero di lanci, ad un unico valore costante: la frequenza relativa f. Questo valore coincide con la misura della probabilità p: 1/2.

In altre parole, la sorte del singolo lancio, originaria preoccupazione deterministica dei matematici che impostarono il calcolo delle probabilità, rimane indeterminata, ossia soggetta al caso, nonostante si affermi che esso può avere una probabilità su due di dare testa o croce. Al contrario, per un gran numero di lanci, ossia per un insieme di casi, che sono un tipico oggetto di studio statistico, si perviene ad un dato certo e necessario: la frequenza 1/2. E la circostanza per cui lo stesso indice vale per la frequenza e per la probabilità, non modifica l'incertezza e l'indeterminazione del concetto di probabilità, il quale non fa che esprimere l'ambito della casualità inerente al singolo evento.

Fu così che, chi credette di poter determinare qualche regola per eliminare il caso dall'evento singolo, per renderlo finalmente determinato, si ritrovò a poter determinare l'insieme dei singoli eventi: i probabilisti si trovarono, involontariamente e contro ogni loro aspettativa e aspirazione, nella nuova veste di statistici. Il calcolo delle probabilità potè confluire nella statistica.

La delusione fu però cocente e lasciò il suo pungiglione avvelenato sempre diretto contro la statistica: se il calcolo delle probabilità fu costretto a servire la statistica, esso farà di tutto per avvelenare ogni pretesa certezza di quest'ultima: in primo luogo, partendo dalla circostanza che il valore della probabilità e della frequenza coincidono. Se coincidono, non è poi difficile far apparire la frequenza come probabilità e quindi toglierle ogni certezza. Non è difficile per il pensiero matematico, per il quale ciò che è quantitativamente identico non può differire.

E' ciò che possiamo verificare nella seguente proposizione tratta dal testo di Fraire e Rizzi già citato: "Supponiamo che un evento E abbia probabilità p(E) incognita. Si è osservato sperimentalmente che, su n prove indipendenti ed effettuate nelle medesime condizioni, l'evento si è presentato k volte (cioè la frequenza assoluta è k e quella relativa è f=k/n). Sperimentalmente si può notare che, al crescere del numero di prove, la frequenza relativa f (che è un numero compreso tra zero e uno) si avvicina sempre di più a una costante. Tale costante viene assunta come probabilità dell'evento".

Come si vede, qui si assume come probabilità, ossia come valore incerto e indeterminato, un valore certo e determinato, qual è appunto la frequenza relativa. Servirsi di un dato certo per assumerlo come dato incerto sembra una vera e propria assurdità. Se, però, non si tratta di un'assurdità, è perché si tratta di un equivoco: ciò che gli autori chiamano "probabilità dell'evento" è la possibilità del verificarsi di un singolo evento, mentre la frequenza relativa riguarda un gran numero di eventi che si verificano nelle stesse condizioni casuali. L'equivoco consiste appunto nel confondere tra di loro il singolo evento, oggetto del calcolo delle probabilità, e l'insieme degli eventi, oggetto dell'indagine empirica statistica.
   
Allora, chi pretende attribuire alla probabilità la capacità di determinare il caso, di imbrigliarlo (come si dice oggi), la confonderà con la frequenza relativa; chi, al contrario, pretende togliere ai fenomeni, considerati nel loro complesso, la loro necessaria determinazione statistica, confonderà la frequenza relativa con la probabilità.*

Naturalmente l'equivoco è favorito dalla circostanza che il valore della probabilità di un evento singolo coincide matematicamente con il valore della frequenza (relativa) della serie di eventi che si verificano nelle stesse condizioni. Perciò matematicamente, se:

                                                        p(E) = f = k/n

ci troviamo di fronte a una eguaglianza matematica. Ma se andiamo a vedere l'essenza di questa eguaglianza, vediamo che il valore k/n, inteso come probabilità, significa che il singolo evento ha k possibilità di verificarsi su n possibilità totali, e questo è un dato generico che rimane completamente nella sfera del caso; mentre il valore k/n, inteso come frequenza relativa, significa che per un gran numero di eventi nelle stesse condizioni, il risultato complessivo è proprio k/n; e questo valore rappresenta un dato certo che rientra completamente nella sfera della necessità scientifica.

L'apparente paradosso però non è attribuibile alla natura che, anzi, in tal modo, rivela una proprietà che occorre comprendere, ma alla matematica, strumento validissimo se non si dimentica il suo principale limite: le quantificazioni matematiche non rendono ragione delle differenze qualitative; la matematica misura, non riflette, perciò può accadere che un'uguaglianza matematica mascheri, come nella situazione che stiamo trattando, una fondamentale differenza qualitativa. E' la differenza che passa tra la casualità e la necessità, è la differenza tra il caso, la cui ampiezza è definita col calcolo delle probabilità, e la necessità che può essere determinata statisticamente come frequenza.

Il fatto che esista uno stesso valore matematico per la probabilità e per la frequenza ha però un significato più profondo e mai considerato: è la natura che manifesta in questo modo una sua proprietà specifica. Questa proprietà si manifesta nel fatto indubitabile e assolutamente verificabile che, se un evento ha k possibilità su n possibilità di avverarsi, quando consideriamo un gran numero di singoli eventi di quel tipo la loro frequenza relativa risulta proprio k/n, ossia coincide con il valore della probabilità del singolo evento. La probabilità allora che cosa misura realmente? Misurando tutte le possibilità di un singolo evento, misura l'ampiezza della casualità del fenomeno composto di numerosi eventi dello stesso tipo. Quindi misura il valore necessario per la frequenza specifica di quel fenomeno.

In definitiva, nell'identità matematica di probabilità e frequenza (relativa), noi vediamo riflesso, come in uno specchio, il rovesciamento dialettico del caso nella necessità. Ma ciò che non vuole entrare nella testa dei probabilisti è che la chiave scientifica consiste nel dato statistico, in quanto conoscenza della necessità dei fenomeni intesi nel loro complesso, rimanendo i singoli eventi sotto la sfera d'influenza naturale del caso.
   
Occorre comprendere che il calcolo delle probabilità, nonostante sia sorto per determinare il singolo evento, in realtà non solo non può determinarlo, ma, a ben guardare, non ha nulla a che farci. Per comprendere quest'altro paradossale equivoco, riprendiamo l'esempio del lancio della moneta. Punto di partenza è che ogni singolo lancio ha una possibilità su due di dare Testa oppure Croce. Quindi p=1/2 è l'ipotesi matematica. sottoponiamola a verifica. Se la verifica riguardasse il singolo lancio, che cosa risulterebbe? Se esce Testa, p(testa) = l, p(croce) = 0. Viceversa, se esce Croce, p(Testa) = 0, p(Croce) = 1. Il singolo lancio non può mai verificare p = 1/2.

Ogni singolo lancio può dare casualmente o solo Testa o solo Croce, quindi solo una di queste due possibilità. L'ipotesi di probabilità indica soltanto l'ampiezza della casualità: ogni volta in maniera affatto casuale uscirà o solo Testa o solo Croce. Ma, intanto, si osserva che per un gran numero di lanci della stessa moneta, nelle stesse condizioni casuali, la frequenza relativa di uscita di Testa e Croce sarà sempre 1/2, ossia verificherà sempre l'ipotesi di probabilità.

Se tutto ciò ha un senso, lo ha nel senso che, per un insieme di eventi dello stesso tipo, noi possiamo stabilire che il numero frazionario relativo alla probabilità fornisce, contemporaneamente, l'ampiezza della casualità del singolo evento e la frequenza relativa del comportamento necessario dell'insieme di eventi. Se, al posto del lancio di una moneta, noi ponessimo un fenomeno naturale, allora potremmo verificare l'importanza del rapporto probabilità-frequenza per la misura contemporanea dell'ampiezza della casualità dei singoli elementi di quel fenomeno e della frequenza relativa del complesso di elementi che lo costituisce.**

* Non si può -dice il matematico Mises- parlare della probabilità che ha, ad esempio, un individuo qualsiasi di morire entro l'anno, anche quando si conosce il limite di frequenza della mortalità del gruppo cui egli appartiene. Un altro matematico, Reichenbach, è ancora più esplicito: "L'asserzione concernente la probabilità di un caso singolo ha un significato fittizio, costruito attraverso il trasferimento di significato dal caso generale a quello particolare". (Citazioni tratte da Abbagnano, "Dizionario filosofico", 1963.) Ma queste sono voci isolate  rispetto alla maggioranza di coloro che credono corretto confondere i concetti di probabilità e di frequenza, e utile rovesciare il dato della frequenza, che vale per una serie di eventi, nella probabilità fittizia che riguarda il singolo evento. Ma, anche gli stessi autori sopra nominati non hanno compreso le loro stesse affermazioni, come appureremo in seguito.

** Da notare che più ampia è la casualità, più bassa è la frequenza: ad esempio, nel lancio della moneta (p=1/2), la frequenza f dell'uscita di Testa (o Croce) è alta = 1/2 (il 50%). Mentre, nel lancio del dado (p=1/6), la frequenza di uscita f di un numero (da l a 6) è più bassa = 1/6 (il 16,6%).

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume Primo Teoria della conoscenza" (1993-2002).

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