sabato 6 aprile 2013

III] La missione storica della specie umana

Il passaggio dal dominio della cieca necessità fondata sul caso alla libertà fondata sulla necessità conosciuta

Nell'Antiduhring Engels scrive: "Hegel fu il primo a rappresentare in modo giusto il rapporto di libertà e necessità. Per lui la libertà è il riconoscimento della necessità. "Cieca è la necessità solo nella misura in cui non viene compresa"."

Abbiamo già considerato questa affermazione nel volume sulla teoria della conoscenza.* Qui ci limitiamo a ribadire che la "cieca necessità" è intrinseca alla natura e alla società umana fino ad oggi, e quindi è indipendente dalla "necessità non conosciuta". Occorre sottolinearlo: la "necessità non conosciuta"  significa semplicemente che l'uomo non conosce la necessità naturale e sociale, mentre la "cieca necessità" significa che i processi naturali e sociali sono ciecamente necessari.

Dunque, se questi processi fossero guidati dalla connessione deterministica di causa ed effetto, allora sì che la conoscenza della loro necessità equivarrebbe per l'uomo alla libertà, perché egli saprebbe dove mettere le mani, ma essi sono guidati dalla dialettica caso-necessità, ossia dalla cieca necessità fondata sul caso. La conoscenza di questa cieca necessità non è quindi, di per sé, sufficiente per la libertà.


Del resto, Engel non si è limitato a citare Hegel sulla identificazione della cieca necessità con la necessità non conosciuta, ma ha aggiunto: "La libertà non consiste nel sognare l'indipendenza dalle leggi della natura, ma nella conoscenza di queste leggi e nella possibilità, legata a questa conoscenza, di farle agire secondo un piano e per un fine determinato". E ciò vale tanto "in riferimento alle leggi della natura esterna, quanto a quelle che regolano l'esistenza fisica e spirituale dell'uomo stesso".

Sebbene sia sfuggito a Engels l'equivoco della cieca necessità = necessità non conosciuta, ciò non gli ha impedito di comprendere che la libertà non può consistere soltanto nella conoscenza della necessità naturale e sociale. Esistono due forme di libertà. La libertà è innanzi tutto conoscenza delle cieche leggi naturali e sociali: possiamo chiamarla libertà teorica. La libertà è poi la possibilità di fare agire le leggi conosciute secondo un piano e per un fine determinato: possiamo chiamarla libertà pratica. La libertà teorica rappresenta quindi il fondamento della libertà pratica, ma di per sé non è sufficiente a garantirla.

Tanto è vero che, riguardo alla volontà umana, Engels ha affermato: "La libertà del volere non significa altro perciò che la capacità di poter decidere con cognizione di causa". Se egli avesse inteso unicamente la libertà teorica, avrebbe scritto "capacità di decidere con cognizione di causa". Se, invece, avesse inteso solo la volontà, avrebbe scritto: "capacità di voler decidere". Scrivendo "capacità di poter decidere", egli ha posto in primo piano la sfera della possibilità pratica, della libertà pratica. Non si tratta, infatti, di sognare l'indipendenza dalle leggi di necessità, si tratta della conoscenza di queste leggi e soprattutto della possibilità, sulla base di questa conoscenza, di agire secondo un piano per un fine determinato.

A mio avviso, Engels ha voluto correggere due forme opposte di inganno della coscienza: la prima è l'illusione di poter agire liberamente senza il sostegno della conoscenza delle leggi naturali e sociali; la seconda è l'illusione di poter ottenere i risultati voluti, programmati, grazie all'intelligenza delle cose, ossia soltanto sulla base della conoscenza scientifica. La realtà della storia umana mostra invece che i risultati dell'agire umano sono sempre stati, nel lungo periodo, imprevedibilmente opposti ai fini prefissati, inattesi e da nessuno voluti.

Rispetto al primo punto, egli afferma: "Quindi, quanto più libero è il giudizio dell'uomo per quanto concerne un determinato punto controverso, tanto maggiore sarà la necessità con cui sarà determinato il contenuto del giudizio, mentre l'incertezza poggiante sulla mancanza di conoscenza, che tra le molte possibilità di decidere, diverse e contradditorie, sceglie in modo apparentemente arbitrario, proprio perciò mostra la sua mancanza di libertà, il suo essere dominato dall'oggetto che esso doveva dominare". Rispetto al secondo punto, risponde: "La libertà consiste dunque nel dominio di noi stessi e della natura esterna fondato sulla conoscenza delle necessità naturali, esso è perciò necessariamente un prodotto dello sviluppo storico".

La conoscenza è dunque il fondamento della libertà, ma non è ancora la libertà stessa. La libertà, dice Engels, è il dominio di noi stessi e della natura, che è necessariamente un prodotto dello sviluppo storico. Partendo da Hegel, egli collega il concetto di libertà al concetto di necessità conosciuta e al concetto di possibilità di decidere e di agire sulla base della conoscenza stessa della necessità.

Allora, se la conoscenza della necessità fosse la principale determinazione della libertà, avremmo un solo problema: il problema dello sviluppo della scienza. Ma le determinazioni della libertà sono due: la conoscenza della necessità e la possibilità del suo utilizzo per scopi voluti. Ai fini dello sviluppo storico della specie umana è la seconda determinazione che conta. Occorre ripeterlo con Marx: la conoscenza di una legge scientifica non cambia la realtà di un fenomeno naturale o sociale.

Possiamo, così, considerare tre termini in rapporto tra loro: 1) libertà del volere, 2) libertà teorica o conoscenza della necessità, 3) libertà pratica o possibilità sulla base della conoscenza della necessità. La scienza, garantendo la libertà del giudizio fondato sulla necessità, pro tanto è condizione di libertà teorica; poiché, però, la libertà teorica non muta la realtà oggettiva, resta il problema della libertà del volere e della possibilità della sua realizzazione. Finché non c'è libertà pratica, o capacità di poter decidere con cognizione di causa, non c'è libertà del volere perché non si ottengono i risultati voluti. I risultati voluti rappresentano la dimostrazione della libertà del volere e della reale possibilità di metterla in pratica.

Abbiamo imparato da Hegel che è, invece, l'impossibilità (di ottenere i risultati voluti) la motivazione più profonda del sorgere delle idee morali: ciò che l'uomo non è in grado di ottenere, come risultato voluto della sua azione pratica, diventa un astratto e irraggiungibile valore etico. La storia dell'uomo fino ad oggi è stata una lunga storia di risultati non voluti e, conseguentemente, di grandiose quanto vane visioni filosofiche. Soltanto Marx ed Engels non sono caduti in questa trappola, quando le aspettative della loro giovinezza sulla brevità dei tempi della rivoluzione furono deluse. La stessa cosa non si può dire per molti marxisti, soggetti come singoli a scivolare nel moralismo impotente.

La conclusione di Engels è che la libertà, nella sua accezione più ampia, consiste nel dominio di noi stessi e della natura, fondato sulla conoscenza della necessità naturale e sociale. Ora, questa libertà è negata nella maniera più assoluta nell'attuale epoca capitalistica, mentre la libertà teorica, la libertà della conoscenza della necessità esiste da tempo, sebbene limitata da varie circostanze.

Possiamo, a questo punto, riassumere indicando due fasi storiche opposte di relazioni. La prima, che appartiene al passato e al presente, può essere sintetizzata con la seguente formula: caso -risultati non voluti- cieca necessità sconosciuta. La seconda, che appartiene, come obiettivo, al futuro, può essere sintetizzata con quest'altra formula: cieca necessità conosciuta -possibilità dei risultati voluti- libertà.

Se consideriamo i termini estremi, possiamo vedere il passaggio dal caso alla libertà, per realizzare il quale occorre superare due passaggi intermedi: quello dalla cieca necessità sconosciuta alla cieca necessità conosciuta (o conoscenza scientifica della cieca necessità), e, infine, quello dai risultati non voluti alla possibilità dei risultati voluti. E' qui che si gioca il futuro dell'umanità: la realizzazione della sua reale libertà pratica.

La teoria marxista ha posto le basi per realizzare il primo passaggio; la rivoluzione bolscevica ha tentato di porre le basi per superare il secondo passaggio. Il risultato non voluto è sotto gli occhi dell'intera specie umana: il capitalismo moltiplica il suo grado di imputridimento che raggiunge tutte le classi e non risparmia neppure la scienza. Perciò, sebbene esistano le condizioni economiche per attuare il passaggio alla sponda della libertà per la specie umana, non esistono ancora le possibilità per attuarlo, né per l'immediato né per un periodo inevitabilmente lungo, anche se non predeterminabile.

Tra le due sponde c'è una terra di nessuno che può essere occupata soltanto dalla lotta, che non è libertà ma costrizione per non soccombere e per mantenere aperto il primo fondamentale passaggio, quello dalla cieca necessità sconosciuta alla conoscenza della cieca necessità. Oggi si tratta soprattutto di questo: mantenere la libertà teorica, ossia la reale conoscenza delle leggi della natura e della società. Ma, come abbiamo dimostrato in altra sede, anche questa possibilità è affidata, attualmente, soltanto agli interstizi del mondo.

Del resto non sta scritto da nessuna parte che la specie umana, per necessità, debba essere in grado di realizzare la sua libertà, ponendo fine a una millenaria oppressione fondata sulla sua divisione. Ciò che possiamo affermare è che la specie umana è l'unica specie vivente che può essere in grado di superare la schiavitù della cieca necessità fondata sul caso, realizzando la libertà fondata sulla conoscenza della necessità: cosa che si potrà manifestare soltanto attraverso il binomio scopo-necessità: dunque, risultati voluti, ottenuti mediante un'azione pianificata per scopi predeterminati. Ma esserne in grado non significa ancora poterlo realizzare.

*  Presto verrà postato il paragrafo, nel quale è stata fissata, in teoria della conoscenza, la differenza concettuale esistente tra la cieca necessità specifica della natura e la necessità non conosciuta specifica dell'uomo.

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Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)

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