venerdì 12 aprile 2013

Lo scopo reale della scienza

La conoscenza della cieca necessità dei processi naturali e sociali

Affermando che la cieca necessità è la necessità non conosciuta, Hegel ha identificato due concetti affatto distinti: infatti, la "necessità non conosciuta" è la non conoscenza della necessità dei processi naturali e sociali, mentre la "cieca necessità" è proprio la necessità dei processi naturali e sociali che la scienza deve conoscere. Pertanto la "necessità non conosciuta" è la cecità che riguarda l'uomo, mentre la "cieca necessità" riguarda la natura e quei processi sociali che si svolgono in maniera naturale.

La "cieca necessità" appartiene quindi al mondo oggettivo, esterno alla coscienza umana, mentre la "necessità non conosciuta" appartiene all'uomo come soggetto cosciente. La conoscenza della "cieca necessità" significa, perciò, eliminare la "necessità non conosciuta", o non conoscenza della reale necessità che si manifesta nei fenomeni e nei processi naturali e sociali.

In relazione al mondo esterno naturale, conoscere la "cieca necessità", significa conoscere come la dialettica caso-necessità si manifesta nei fenomeni e nei processi naturali; ma la conoscenza umana non muta l'oggettiva cecità del modo di operare della natura, non ha il potere di dare la vista alla natura, la quale procede in maniera del tutto cieca senza alcuna "visione" deterministica e finalistica. Così la conoscenza della gravità non muta la cieca necessità della reciproca attrazione dei corpi cosmici e della conseguente evoluzione dell'universo.


La scienza, che è conoscenza della "cieca necessità", può solo dare la vista agli uomini, illuminandoli su come va il mondo, ma non può far nulla contro la cecità del movimento reale della natura, guidato dalla dialettica caso-necessità che si manifesta come legge universale del dispendio e della eccezione statistica. Va da sé che due cecità hanno più probabilità di entrare in collisione, e in ogni collisione chi ci rimette è sempre il più debole: perciò, finché l'uomo non vede il cieco operare della natura e della sua stessa società, né subirà il dominio; al contrario, la conoscenza della "cieca necessità" permetterà alla specie umana di trovare i mezzi per controllare e regolare i suoi rapporti sociali e il suo rapporto con la natura.*

Dicendo che la "cieca necessità" appartiene alla natura, ed è immutabile, noi sottintendiamo che la necessità della natura non è il risultato di meccanismi deterministici e/o finalistici, ma è il risultato di processi complessi guidati dalla dialettica caso-necessità. Ed è per questo motivo che la "cieca necessità" non può coincidere con la "necessità non conosciuta". Infatti conoscere un processo naturale sottoposto alla dialettica caso-necessità, significa conoscere una cieca necessità fondata sul caso. Tutto all'opposto avviene, invece, secondo il determinismo e il finalismo: per questo modo di vedere, la natura opera in maniera previdente, la natura non è cieca, cieco è l'uomo quando non vede il determinismo e il finalismo della natura. Quindi la "necessità non conosciuta" coincide, come nella formulazione di Hegel, con la "cieca necessità".

In un'epoca dominata dal determinismo assoluto, e ancora fortemente influenzata dal finalismo, come fu il secolo XIX, il riconoscimento della dialettica caso-necessità nei processi naturali e sociali non poteva essere agevole: soltanto Marx ed Engels, distinguendosi da tutti, non elusero la polarità caso-necessità. E, sebbene non fossero in grado di definire e sviluppare esplicitamente la dialettica di caso e necessità, ebbero però il coraggio scientifico per comprendere che i risultati dei processi sociali e della storia umana non potevano essere analizzati come effetti di cause dirette, né tanto meno come manifestazioni di un ordine finalistico provvidenziale, bensì, come risultati non voluti di una cieca necessità, analizzabili come medie statistiche o risultanti di forze, ecc.

Inoltre Marx ed Engels compresero che l'oggetto della scienza non poteva essere il singolo individuo, il singolo Robinson Crusoe, ma doveva essere il complesso degli individui, perché il singolo rientra nella sfera del caso e solo il complesso è necessario. E lo stesso accade per qualsiasi processo, come ad esempio la concorrenza** Essi compresero che ogni complesso segue la legge della cieca media statistica e, di conseguenza, che la necessità dei processi economici è, come la necessità dei processi naturali, una cieca necessità.

Lenin ha osservato giustamente che "Marx non ci ha lasciato una logica"***, con ciò intendendo una sintesi della logica dialettica. Potremmo anche aggiungere che Marx non ha scritto il capitolo sulle classi sociali, eppure sia la "logica dialettica" che le "classi sociali" rappresentano innovazioni rivoluzionarie riguardo, rispettivamente, al metodo e all'oggetto della conoscenza. Ma se Marx non ci ha lasciato una sintesi sulla dialettica e sulle classi sociali, un motivo ci dev'essere, e dev'essere un motivo serio e profondo. La serietà e la profondità del pensiero di Marx non poteva accontentarsi d'"insinuare al momento giusto una parola", "là dove mancano i concetti": mancandogli i concetti, egli è stato coerente, tacendo. Si tratta perciò di vedere quali concetti mancarono a Marx, e se c'è un nesso tra le due sintesi non scritte.

Riguardo alla logica dialettica, possiamo affermare che, per poter generalizzare i princìpi della dialettica, occorreva ricavarli come concetti universali, validi per ogni ramo della conoscenza. Per questo motivo, Marx non si limitò soltanto allo studio della economia politica e della storia umana, ma s'interessò anche delle scienze della natura, favorendo l'interesse che Engels aveva sempre manifestato per questo campo di studio. A nostro avviso, nonostante lo sviluppo delle scienze naturali nell'Ottocento, il loro vuoto empirismo e, soprattutto, la scarsità dei fatti accertati, non potevano permettere alcuna generalizzazione definitiva della logica dialettica.

Marx ebbe la profonda intuizione che il modo di produzione capitalistico si svolgesse come un cieco processo naturale, perciò egli avrebbe potuto beneficiare dei risultati delle scienze naturali, se queste fossero state più progredite. Non è un caso che salutasse con soddisfazione l'uscita del libro di Darwin sull'origine delle specie: sperava di trovarvi dei riscontri che permettessero di ricavare princìpi validi universalmente. La sua delusione, a questo proposito, fu così grande, che egli ebbe per un momento persino il desiderio di sostituire la teoria darwiniana con le trovate di un illustre sconosciuto. Ma fu dissuaso decisamente da Engels. In definitiva, non trovando nelle scienze naturali materiale sufficiente ad una generalizzazione della dialettica, Marx si limitò a svilupparla e a verificarla nella scienza della economia politica e, per quanto possibile, nella storia umana.

Ma perché non poté trarre una sintesi neppure sulle classi sociali che rappresentano, pur sempre, un oggetto di studio particolare di una particolare scienza a lui ben nota? Invece, è proprio qui che troviamo la chiave per comprendere la vera difficoltà della teoria della conoscenza. Marx ha sempre ribadito che gli uomini partono da sé stessi come singoli individui, ma poi si è dovuto rendere conto che la necessità non appartiene a loro come individui singoli: in quanto tali, sono dominati dal caso. Ma essi si ritrovano "annullati" nelle classi. Per dirla alla Hegel: come singoli, tramontano nel complesso. E la necessità appartiene al complesso.

La necessità appartiene, dunque, alle classi; ma come si arriva a questa determinata necessità? Che ruolo ha l'individuo? E una classe sociale che cosa rappresenta? Per Marx, una classe sociale non poteva essere qualcosa di essenzialmente diverso da ogni altro complesso naturale, ciecamente necessario, come ad esempio le specie animali di Darwin. Perciò da Darwin si aspettava qualcosa di meglio delle variazioni casuali: si aspettava la determinazione della necessità. Ma l'opera del grande evoluzionista non poteva fornirgli alcuna risposta per il semplice motivo che, come vedremo nel volume sulla biologia, si era impigliato nel "terribile pasticcio" del caso, senza riuscire a districarsi.

A nostro avviso, Marx ha avuto sufficientemente chiara la distinzione qualitativa tra la singolarità individuale e la totalità complessiva, distinzione che, come riteniamo, egli riprese da Hegel, sebbene quest'ultimo non ne volle trarre le giuste conseguenze a ragione del suo idealismo. Ma questa distinzione, che si presenta come polarità dialettica, può avere significato per la teoria della conoscenza soltanto se è riferita alla fondamentale polarità caso-necessità: il caso per il singolo individuo, la necessità per il complesso degli individui; il caso rappresenta il molteplice, vario e casuale movimento dei singoli, che si rovescia nella cieca necessità del risultato complessivo, necessità questa, che a sua volta si impone ai singoli come occasione dominata dal caso.

Marx fu molto vicino a trarre una conclusione del genere non solo, come fece, riguardo allo studio de "Il capitale", ma come principio universale della conoscenza umana: mancò a lui come a Engels la conferma da parte delle scienze della natura. Per questo motivo, le osservazioni dei due geniali maestri della dialettica materialistica a questo riguardo, che sono sparse in tutta la loro opera, devono essere considerate come anticipazioni teoriche per il tempo futuro: tempo che ormai è venuto a scadenza, e poco importa chi, e per quali vie traverse, dominate dalla casualità individuale, ha raccolto il testimone per portarlo alla meta.


* L'espressione "dominio dell'uomo sulla natura", usata spesso anche da Marx e da Engels, non è del tutto esatta, perché l'uomo non ha il potere di intervenire sull'evoluzione della materia. La specie umana può soltanto, conoscendo le reali leggi che guidano questa evoluzione, limitarsi a controllarne parzialmente le conseguenze, e soltanto per quella parte che riguarda i fenomeni naturali come si presentano nel suo minuscolo globo terrestre. Può farlo, in questo caso, volgendo le leggi naturali a proprio vantaggio e neutralizzando in parte le conseguenze più dispendiose e nocive, come le catastrofi naturali, le malattie, ecc.

** Nel Terzo libro del Capitale, capitolo quarantottesimo, "La formula trinitaria", Marx, parlando della sfera della circolazione, scrive: "Nella realtà però questa sfera è la sfera della concorrenza che, considerata nei suoi singoli avvenimenti, è dominata dal caso; in cui dunque la legge interna che si attua in questi casi, e che li regola, è visibile solo quando questi casi sono riuniti in gran numero;". Ecco una delle prime formulazioni "statistiche" che permettono di concepire il caso relativo ai singoli elementi di un complesso, caso che si rovescia nella  necessità relativa al complesso stesso.

*** Lenin, "Quaderni filosofici".

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Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)

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