giovedì 11 aprile 2013

La difficile questione caso-necessità nella storia

Come vedremo, Marx ed Engels avevano compreso il ruolo del caso, opposto dialettico della necessità; ma, come abbiamo appurato nel primo volume sulla teoria della conoscenza, essi non arrivarono a definire e risolvere una volta per tutte la dialettica caso-necessità. I tempi non erano ancora maturi: la loro opera teorica appartiene al centro dell'Ottocento, secolo dominato totalmente dal determinismo riduzionistico.

Come ha giustamente osservato Lenin, Marx non ci ha lasciato una logica che chiarisse il suo metodo. La ragione, a nostro avviso, va cercata nel mancato riconoscimento definitivo del rovesciamento dialettico del caso (relativo alle singole cose) nella necessità (relativa ai loro complessi). Anche per questo motivo Marx non si è mai deciso a scrivere il capitolo sulle classi sociali, non avendo del tutto chiarito, dal punto di vista della necessità, il rapporto esistente tra i singoli individui e la loro classe di appartenenza. L'ostacolo principale a una nuova logica è sempre stato in Marx il suo punto di partenza riduzionistico, imposto dal determinismo ottocentesco. E' ciò che possiamo appurare riprendendo il primo capitolo dell'Ideologia tedesca.

Volendo stabilire il reale punto di partenza della storia, dovremmo scrivere oggi, sulla base della dialettica caso-necessità: i presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari: sono presupposti reali. Essi sono i complessi umani reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, ecc. Marx, invece, scriveva: "I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell'immaginazione. Essi sono gli individui (!) reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione. Questi presupposti sono dunque constatabili per via puramente empirica. Il primo presupposto di tutta la storia umana è naturalmente l'esistenza di individui (!) umani viventi".

Come si vede il "presupposto" metodologico di Marx è riduzionistico, perché pone come punto di partenza i singoli individui. Ma, poco dopo, egli scriveva il passo divenuto famoso: "Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale".

Questo passo che distingue l'umanità dalla animalità non può avere altro soggetto che la specie umana. Dunque, il punto di partenza fondamentale, reale non è più l'individuo ma il complesso di tutti gli uomini: la specie. Allora, se Marx non ha ritenuto opportuno distinguere tra singolo e complesso, parlando indifferentemente degli individui e della specie umana come si trattasse della stessa cosa, è perché dava per scontato il determinismo riduzionistico, per il quale la medesima necessità vale sia per il complesso che per i singoli.

In realtà è la specie umana che produce la sua esistenza producendo i suoi mezzi di sussistenza, non i singoli individui. Perciò è un errore affermare: "Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione", perché ciò vale necessariamente solo per la società nel suo complesso e per le classi sociali. Per i singoli, ciò che "sono" dipende piuttosto dai capricci del caso che dalla necessità.

Per il determinismo riduzionistico la necessità del complesso deriva dalla necessità dei singoli; per la dialettica caso-necessità, invece, la necessità riguarda i complessi, le classi, i popoli, ecc. e ha per fondamento il caso individuale. Poiché Marx ed Engels hanno spesso sostenuto questa tesi, è evidente una certa incoerenza. E' ciò che si può osservare nel comportamento teorico di Marx, il quale parte sì dagli individui, ma poi scopre che ciò che conta sono le generazioni che si succedono nella storia; sono le classi, i popoli, ecc.; infine, che esiste una contraddizione oggettiva tra individuo e collettività.

Basta leggere quest'altro passo dell'Ideologia tedesca: "Inoltre con la divisione del lavoro è data altresì la contraddizione fra l'interesse del singolo individuo o della singola famiglia e l'interesse collettivo di tutti gli individui che hanno rapporti reciproci; e questo interesse collettivo non esiste puramente nell'immaginazione, come "universale", ma esiste innanzi tutto nella realtà come dipendenza reciproca degli individui fra i quali il lavoro è diviso".

Se gli individui "cercano soltanto il loro particolare interesse, che per loro  non coincide con il loro interesse collettivo", vuol dire che ciò che si scopre valido per la collettività non lo è necessariamente per i singoli e viceversa. Così, Marx è riuscito a cogliere la soluzione distinguendo la condizione casuale dei singoli individui dalla condizione necessaria della media statistica complessiva. Insomma, egli è giunto a risultati che presupponevano la polarità dialettica caso-necessità, pur non rompendo definitivamente con il determinismo riduzionistico.

L'Ottocento è stato forse il secolo che più si è caratterizzato per un pensiero assolutamente certo della connessione di causa ed effetto fra le singole cose. Perciò Marx ed Engels non poterono evitare d'esserne influenzati. Non è questo, quindi, che deve stupire: stupisce invece che, nonostante la pesante influenza deterministica, essi riuscissero a venirne fuori giungendo a risultati che restano ancor oggi validi, e che allora scontentarono la maggior parte dei loro seguaci, resi ciechi dal determinismo riduzionistico.

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Tratto dalla Introduzione alla Prima parte del 4° volume "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)

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