sabato 13 aprile 2013

L'incoscienza di "Truman" (Prima parte)

Indagando la società del Truman show ci imbattiamo in una contraddizione paradossale: mentre ogni individuo parte da se stesso pretendendo di vivere un'esistenza personalizzata -piena di beni materiali e immateriali fatti su misura, dominato da un immediatistico individualismo egogentrico, orientato verso i più diversi stili di vita che lo distinguano dagli altri-, tutti gli individui si trovano accomunati dalla medesima esigenza dello shopping senza limiti, che li trasforma in un unico shopper collettivo, rinchiuso dal marketing spettacolarizzato in un mondo fittizio e immaginario, dal quale nessuno può sfuggire.*

Così, il reale "comunismo dello shopping", funzionale alla sopravvivenza del capitalismo senescente, si concretizza contraddittoriamente nella esistenza di centinaia di milioni di individui che, pur vivendo nella finzione del Truman show, vengono accuditi dal marketing come da una madre che cerca di andare incontro alle diverse esigenze dei propri figli, ognuno differente dall'altro.

La conseguente "personalizzazione" dei prodotti offerti dal marketing si manifesta nel proliferare dei modelli, delle fogge, dei gusti per ogni prodotto materiale e immateriale; perciò, nel proliferare delle mode e dei diversi stili di vita. In questa anarchia pluralista, l'individuo o diventa proteiforme oppure svilupperà inevitabilmente una sensazione di inadeguatezza, di incompiutezza, con il risultato che nessuna attività giornaliera di shopping potrà minimamente appagare la sua individualità personale.

Il paradosso è, quindi, che la pretesa personalizzazione della produzione materiale e immateriale crea una offerta così vasta di prodotti diversi che l'individuo non può evitare d'esserne sommerso. Allora, ciò che si realizza non è la soddisfazione personale, ma la generale insoddisfazione, e questa generale insoddisfazione, accomunando gli individui, li spinge a uno shopping continuativo che rappresenta lo scopo realizzato del marketing.

In simili circostanze che forma di coscienza si potrà mai sviluppare? Ogni individuo è diverso dall'altro in quanto soggetto a differenti circostanze casuali, perciò la sua coscienza, intesa qui nel senso degli atteggiamenti, dei comportamenti, dei modi di pensare e di esprimersi, in relazione ad altri individui, contiene molto di soggettivo, e rappresenta, per così dire, la sua individualità personale. Ma ogni individuo possiede anche una forma di coscienza che rappresenta un riflesso delle sue relazioni sociali, che rappresenta la sua individualità sociale, alla quale molto deve sacrificare della sua individualità personale.

E' di questa forma di coscienza che dobbiamo rendere conto
. Marx aveva distinto l'individualità personale dalla condizione di individuo appartenente ad una classe sociale, ma aveva osservato che la prima non può sottrarsi alla seconda, neppure con tutta la buona volontà. Ad esempio, nell'"Ideologia tedesca", egli osserva criticamente che il borghese identifica se stesso in quanto borghese con se stesso in quanto individuo: "egli crede di essere un individuo solo in quanto è un borghese". Perciò Marx ridicolizza Stirner, il quale vorrebbe, invece, che gli individui avessero tra loro relazioni puramente personali: vorrebbe, cioè, che il borghese e il proletario entrassero in un rapporto puramente personale, che stessero tra loro in relazione come semplici individui.

Insomma, la contraddizione tra l'individuo personale e l'individuo in quanto membro di una classe non può essere superata né con la buona volontà né idealmente, immaginando di dimenticare che l'appartenenza a una classe sociale (ma anche, l'appartenenza a una etnia, a una religione, a uno Stato, ecc.) condiziona la coscienza individuale e conseguentemente le relazioni sociali dell'individuo.

Nella seguente indagine, noi prenderemo in considerazione la comunità degli shopper della società occidentale, i quali sebbene appartenenti a diverse religioni, Stati e, in parte, a diverse classi sociali, appartengono, nella frazione più rilevante e trainante, alla classe improduttiva, parassitaria e alla aristocrazia operaia. In comune questi individui hanno la funzione sociale che qualcuno ha definito "forza-consumo",  che preferiamo chiamare attività di shopping, attività richiesta e promossa dal marketing per sostenere la vendità di merci e servizi.

Partiamo dal marketing, che secondo Rifkin ("L'era dell'accesso...", 2000), avrebbe contribuito al sorgere di un nuovo concetto relativo all'individualità: la "personalità". Questa idea di personalità fu partorita nell'America degli anni Venti, per indicare una qualità personale legata all'autostima, qualità che permetteva di attirare l'attenzione, di uscire dall'anonimato, di influenzare gli altri, ecc. Poiché, nello stesso tempo, partì una prima campagna di marketing contro il "fai da te", a favore del consumo di prodotti di fabbrica, che divennero di moda, si può concludere che la "personalità" e la "moda" entrarono in connubio sotto lo sguardo indiscreto del paraninfo marketing. E così  la personalità non rappresentò altro che la predisposizione a vivere alla moda, acquistando i prodotti di fabbrica.

Ma decenni prima della personalità, sostiene Rifkin, fu concepita un'altra qualità dell'individuo personale: il "carattere". La persona di carattere era rappresentata dall'austero borghese, intento a far fortuna: "Più impegnata ad accumulare proprietà e ricchezza, la borghesia dell'Ottocento manteneva un approccio ascetico alla vita, che si manifestava in un aperto e deciso rifiuto al consumo fine a se stesso".

L'antica "austerità"borghese ha potuto turlupinare un Rifkin, ma non poteva fare lo stesso servizio a Marx, il quale, sempre nell' "Ideologia tedesca" osservò che solo quando la borghesia è entrata in conflitto con il proletariato, essa è diventata "austeramente moralista e rigida nelle sue teorie", senza però dimenticare di ufficializzare il suo "lusso" in forma economica. La realtà è dunque questa: l'uomo di "carattere" rappresentava il borghese duro di cuore, che non si lasciava affatto intenerire dalla vita miserabile del proletariato, anzi la pretendeva come "approccio ascetico alla vita", del quale si faceva garante egli stesso con il suo austero moralismo.

Scrive Rifkin: "Ma, negli anni Venti, l'America era già sommersa di beni e aveva bisogno di un nuovo tipo di uomo più disponibile ad adottare uno stile di vita consumistico; un uomo meno serio e più giocoso; meno controllato e più avventuroso; un individuo ansioso di "fare buona impressione". Seguire la moda (avere stile, essere moderni e all'avanguardia) diventò un modo per dichiararsi, per esprimere l'unicità della propria personalità in maniera visibile". Insomma, per essere unici, tutti dovevano, paradossalmente, seguire la moda, accodarsi, apparire alla stessa maniera, ansiosi d'essere ciò che imponeva il marketing. Era iniziata, con qualche decennio in anticipo, l'epoca delle apparenze coltivate dal marketing.

Oggi, sostiene Rifkin, assistiamo a un'altra trasformazione indotta dal marketing "Oggi, mentre l'economia globale attraversa l'ennesima fase di transizione -dal consumo di beni e servizi a quello di cultura ed esperienza- il nuovo uomo proteiforme dell'era dell'accesso ha una percezione di se stesso e del proprio mondo abbastanza diversa da quella dei suoi genitori e dei suoi nonni. Se le generazioni del passato pensavano a se stesse come a gente "di carattere", o di "forte personalità", -in conformità ai dettami dei valori della produzione, prima, e del consumo, poi- la nuova generazione si percepisce come composta di "interpreti creativi" che si mostrano con disinvoltura fra trame e palcoscenici, recitando le diverse rappresentazioni messe in scena dal mercato culturale".

Insomma, Rifkin, distinguendo tre forme di coscienza di sé, di tre epoche successive; l'uomo di carattere, l'uomo di forte personalità e l'uomo interprete creativo, descrive quadretti idilliaci privi di contraddizioni. Non riflette sul fatto che, a cominciare dall'"uomo di carattere" per finire con "l'interprete creativo", siamo di fronte a categorie kantiane, che rappresentano l'ideale cui tendere senza poterlo raggiungere, sempre accompagnato dal "dover essere" e dalla "buona volontà".

Per quanta buona volontà ci mettesse, per quanti doveri si ponesse, l'individuo non poteva raggiungere l'ideale socialmente imposto, soprattutto dal momento in cui l'ideale scaturì dalla cieca necessità del marketing. Prendiamo l'ideale della "forte personalità", già il fatto che presupponesse l'ansia di fare buona impressione, di apparire alla moda, costituisce un ossimoro psicologico. Del resto ci ha pensato la cinematografia americana a costruire questo ossimoro nella persona dell'apparentemente "duro" Humphry Bogart, realmente debole con il bicchiere di wisky sempre in mano e l'immancabile sigaretta tra le labbra.

Quanto consumo di sigarette e alcol ha prodotto l'ideale irraggiungibile della forte personalità! E se guardiamo all'uomo "creativo" di oggi, questo ideale irraggiungibile quanto consumo di stupefacenti ha prodotto! Insomma, sigarette, alcol e droga hanno rappresentato e continuano a rappresentare l'infernale lastrico nel quale si sono bruciate vite "inadeguate" all'ideale fittizio imposto dagli esperti di marketing per la cieca necessità della realizzazione del plusvalore. Del resto, l'esaltazione da parte del marketing di ideali irraggiungibili è sempre stata la via kantiana per creare caratteri e personalità ansiose, fragili, insicure che, per lenire la propria inadeguatezza, si sono date agli acquisti.

Volendo riassumere: poiché nulla si perde per strada, o viene completamente abbandonato, il passaggio da una fase all'altra del marketing non ha eliminato il precedente ideale irraggiungibile, lo ha solo subordinato all'ideale successivo. Così, prima, il dover essere kantiano, sorto dalle esigenze della produzione, parlava il seguente linguaggio: devi avere carattere, lavora, produci; in seguito, il marketing ha aggiunto: devi avere personalità, datti da fare, vestiti alla moda, consuma prodotti di fabbrica (e continua a produrre per poter consumare); oggi, il marketing aggiunge: devi essere creativo, fai shopping, acquista i tuoi stili di vita, sii proteiforme (ma non dimenticare di continuare a produrre reddito per poterti permettere una vita opulenta). Risultato, falliti senza carattere, caratteri senza personalità, personalità senza creatività: alienati, alcolizzati e drogati, sempre in riga agli ordini del marketing, che li convince d'essere liberi di scegliere diversi stili di vita. (Continua)


*"Nessuno può sfuggire": nel senso che la vita sociale è ormai incentrata nello shopping collettivo. Ciò non vuol dire che singoli individui non possano sottrarsi a questa necessità collettiva: di certo vi si sottraggono infelicemente i poveri, assolutamente nullatenenti. Quanti sono invece quelli che possono sottrarsi alla finzione del "Truman show" perché coscienti di questa finzione? Infine, quei pochi che coscientemente o meno vi si sottraggono, devono anche sapere che la cieca necessità del "Truman show" rappresenta la cieca necessità della sopravvivenza della società capitalistica, nell'era del capitalismo senescente.

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Tratto da "La fase senescente del capitalismo chiamata globalizzazione" (2005-2007)


Post Scriptum 13/4/12. Questa è la realtà sociale prevalente sulla quale Rifkin ha cucito addosso una veste idilliaca e apologetica, senza immaginare che di lì a poco l'Occidente avrebbe perso il suo primato capitalistico nella società dell'opulenza e dello shopping.

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