lunedì 22 maggio 2017

"Melange" tra legge e caso: punto d'incontro tra litiganti

Che René Thom, teorico delle catastrofi, ne abbia fatto una questione personale con i teorici della Complessità e del Caos non deve apparire strano, perché era l'intera sua teoria (e la sua ostinazione a pretendere la causalità per spiegare "la tenuta e la longevità" degli oggetti naturali) che veniva messa in discussione. Per questo motivo egli detestava, soprattutto, gli "eccessi verbali" dei teorici del Caos.

Soldani, così, riassume la situazione che si era venuta a creare: "Ad avviso di Thom, infatti, la fascinazione per l'aleatorio, il caso e l'incerto si configurava come un'attitudine "antiscientifica per eccellenza" con una evidente "propensione al confusionismo". La "oltraggiosa glorificazione" del rumore e delle "fluttuazioni" nel dar vita all'organizzazione del mondo raggiungerebbe poi una sua vetta addirittura "mistica" nella filosofia di Henry Atlan, ed in ogni modo "l'ipostasi del caso" la si troverebbe anche nel "materialista Jacques Monod", il quale di fatto rinverdirebbe una tradizione "illegittima" che si fa risalire al Darwinismo".

Thom non aveva torto ad essere così critico nei confronti del "confusionismo" dei "caotici", perché il caso da solo è come la necessità da sola: entrambi, isolatamente, esistono soltanto nelle menti metafisiche: l'indeterminismo vede solo il caso dove il determinismo vede solo la necessità. Di conseguenza, il primo concepisce solo la probabilità e il secondo solo la causa. Ma ecco come si manifesta il pensiero metafisico del determinista Thom nella sintesi riassuntiva di Soldani: "se veramente le leggi della fisica avessero "un fondamento statistico" ci si troverebbe di fronte a una "bizzarra dialettica" davvero tra caso e necessità, in quanto "il caso, in sé negazione di qualsiasi ordine, andrebbe soggetto a leggi laddove spesso e volentieri il determinismo sfuma sotto una struttura statistica". In questo intreccio si ha a che fare, allora, solo con un "groviglio problematico" nel quale, per poter uscire, è meglio non entrare".

E' meglio non entrare proprio perché è un groviglio con le spine nei confronti del determinismo: è il "groviglio della natura" di Engels che chi scrive ha da tempo risolto mediante la dialettica caso-necessità. Ma, per rimanere nella metafora dell'entrata e dell'uscita, possiamo dire che Thom, attraverso lo spiraglio di una porta semichiusa, ha intravisto un luogo nel quale avrebbe potuto trovare la luce della "dialettica caso-necessità", certamente una "bizzarria" per lui, però in grado di mostrare che la "struttura statistica" è il complesso necessario nel quale si rovescia il singolo caso probabilistico.

Allora, se il determinismo sotto la "struttura statistica" non sfuma è perché sparisce letteralmente, spalancando la porta alla dialettica caso-necessità, liberandola dalla prigione nella quale era stata rinchiusa dal secolare predominio del determinismo fondato sulla causa; che di recente, però, è stato messo in crisi dall'indeterminismo fondato sul caso. Thom richiude inorridito la porta esclamando: "Che cosa ci si guadagna ad avvolgere lo scheletro del determinismo in uno strato di grasso statistico?" Anche questa metafora ci sta a pennello: il determinismo è infatti "magro" perché si fonda su meccanismi economici, la statistica è invece "grassa" perché si fonda su frequenze statistiche di grandi numeri, che è molto dipendiosa proprio come la natura.

Alla fine, però, anche Thom è costretto a fare concessioni al "confusionismo", accettando il compromesso di un "mondo esterno" che ci si presenti, in effetti, come un Melange di determinismo e indeterminismo. Morin lo interpretò come una accozzaglia, altri più benevolmente lo hanno concepito come miscuglio, miscela; ma il senso è più o meno il medesimo: una mescolanza di caso e necessità o, come spesso si dice, di "legge e caso". Thom non arriva fino al punto d'identificare la libertà con il caso come fece Epicuro. Si limita a sostenere: "In un universo completamente caotico non vi sarebbe alcuna libertà umana, giacché nessuna azione potrebbe avere conseguenze prevedibili ed ogni tentativo di utilizzare la causalità scomparirebbe". In effetti scomparirebbe la necessità deterministica, ma, esistendo la necessità statistica dispendiosa, l'universo non può essere che completamente caotico. 

Occorre anche chiarire, una volta per tutte, che il principio di causa-effetto non appartiene alla natura, e quindi dev'essere abbandonato nell'indagine sul mondo naturale (mondo che è indipendente dalla mente umana). Non deve però scomparire dal mondo artificiale dei prodotti del lavoro umano, al quale appartiene per diritto di nascita. Morin sostiene giustamente che dev'essere abbandonata l'idea di un universo o solo deterministico o solo aleatorio. E Soldani, nella sua ricostruzione, prosegue: "E' per questa ragione di fondo che è conveniente "abbandonare l'opposizione ontologica caso/necessità per esaminarne la compresenza", al fine di poterne immaginare "l'associazione e la cooperazione"."

Insomma, in luogo di una opposizione ontologica, che si credeva certa, tra caso indeterministico e necessità deterministica, ci si accontenta di "convenire! su una "immaginazione", che viene chiamata, ora "associazione", ora "cooperazione", ora "mélange", ora, persino, "complementarità" tra il caso e la necessità.

Incontrando, nello studio per il mio Primo Volume di Teoria della conoscenza, questo pensiero incerto, ma accomodante, sostenni che esso rappresentava soltanto una prima idea, ancora confusa, che poteva passare per la testa di chi avesse riflettuto sulla necessità dei processi naturali. Quindi, rappresentava soltanto l'inizio e significava soltanto porre la questione non certo risolverla: tanto è vero che molte "repentine giravolte della logica" di tipi come Morin, Prigogine e anche Thom ne costituirono l'inevitabile conseguenza.

In quel volume ho sottolineato il fatto che Engels aveva chiamato "groviglio della natura" il risultato della dialettica naturale caso-necessità, senza però approfondire la questione (per diversi motivi che qui sono ininfluenti). Il suo è, comunque, stato un punto di partenza dal quale iniziare a comprendere che la sfera del caso è la sfera dei singoli, numerosi elementi di un complesso, il quale, a sua volta, appartiene all'opposta, polare, sfera della necessità complessiva.

Possiamo, dunque, affermare che ciò che oggettivamente rappresentava, soltanto, un punto di partenza, è stato, per una cospicua parte di comunità scientifica che si è occupata di complessità e caos, un punto d'arrivo e d'incontro, o meglio, per usare una vecchia metafora della politica, di incontro "in mezzo al guado". Ed è così che possiamo valutare la seguente sintesi di Soldani: "Il fatto che Thom, senza tema di contraddirsi, ritenga giusta l'affermazione secondo la quale: il nostro mondo è un insieme di ordine e disordine, un ibrido di Caos e di Cosmo" -punto in merito al quale "non si può che dare ragione a Morin"- ci riporta d'un colpo al concetto di mélange con cui sia lui che Prigogine avevano cercato di indicare  il rapporto per niente semplice tra legge e caso".

Per niente semplice, infatti, se per risolverlo all'autore della Dialettica caso-necessità ci sono voluti quasi venti anni (1985-2002). Ma i sostenitori della complessità e del caos che cosa hanno fatto nel frattempo, se non rimanere in mezzo al guado, a bordo di una barchetta rabberciata da un melange di caso e necessità?

Possiamo ormai concludere questo post e possiamo farlo con un passo che illustra molto bene il convenzionalismo scientifico del Novecento. Scrive Soldani: "Quando da parte di famosi biologi alla guida dei rinomati istituti scientifici si afferma che nello studio del mondo reale qualcosa "si deve assumere per forza" (Boncinelli), quando da parte di eminenti matematici, del pari, si sostiene che "prima o poi tutti dobbiamo accettare qualcosa come dato, sia esso Dio, oppure la logica, o un insieme di leggi, o qualche altro fondamento dell'esistenza" (Davies), quando neuroscienziati a livello internazionale e premi Nobel per la medicina confessano che è necessario "presupporre la realtà del mondo materiale", tra l'altro -così ci viene detto- in accordo con "le assunzioni metateoriche della fisica moderna" (Edelman), e quando infine lo stesso Thom ci spiega che di fronte alla "struttura dell'essere abbiamo "bisogno di un punto di partenza fornitoci dalla nostra conoscenza naive" per poter comprendere i fenomeni, cosa fanno tutti questi discorsi se non asserire la natura stipulativa e dunque negoziale -di fatto, essenzialmente convenzionale- dei loro postulati di base?"

Sono completamente d'accordo, ma con un'accentuazione negativa che Soldani non ritengo vorrà certo concedere: è infatti questa la mia tesi principale, la quale associa al termine "convenzionale" anche i termini quali "fittizio" e "falso". La teoria della conoscenza del Novecento è stata, appunto, una falsa conoscenza, in quanto convenzionale e fittizia. I grandiosi progressi tecnologici (quelli sì reali) non sono stati accompagnati da una altrettanto grandiosa teoria della conoscenza (realistica). E il primo decennio*, ormai quasi interamente trascorso, del XXI secolo, ha accentuato il divario esistente tra una grandiosa realtà tecnologico-pratica e una meschina irrealtà teorico-epistemologica.


* "LE RELAZIONI VIRTUOSE. L'epistemologia scientifica contemporanea..." 2007,  di Mario Soldani

2 commenti:

  1. Credo che in questa frase ci sia un refuso.Andrebbe tolto il "che" davanti a "completamente caotico": "In effetti scomparirebbe la necessità deterministica, ma, esistendo la necessità statistica dispendiosa, l'universo non può che essere completamente caotico."

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  2. Ma solo la necessità deterministica... economica può stabilir un universo non caotico, mentre la necessità statistica, essendo dispendiosa, può essere solo conseguenza di un universo caotico. (Il ritardo nella risposta è dovuto a una dimenticanza tipica della vecchiaia; talvolta faccio anche errori sui tasti: così ho cancellato un recente commento di Olympia... che mi consigliava non ricordo cosa...

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