mercoledì 10 maggio 2017

La concezione deterministica di Rousseau sul rapporto individuo-comunità

Nel "Contratto sociale" e nell'"Emilio", J.J. Rousseau (1712-1778) ha teorizzato una soluzione del rapporto individuo-comunità, secondo la quale "ciascuno unendosi a tutti, non obbedisce tuttavia che a se stesso, e resti libero come prima". In questo modo egli ha creduto di costruire l'"io comune", mediante il contratto di associazione che produce la "persona pubblica". Il contratto sociale si riduce a questo: "Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e ogni suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale; e riceviamo inoltre ciascun membro come parte indivisibile del tutto". "Al posto della singola persona", "un corpo morale e collettivo".

Rousseau non ha potuto evitare di considerare il contrasto esistente tra la volontà (l'interesse) individuale e la volontà (l'interesse) collettivo; ma ha creduto di poterlo risolvere nel seguente modo: "ciò che l'uomo perde con il suo contratto sociale è la sua libertà naturale e un  diritto illimitato su tutto quello che lo tenta e che può essere  da lui raggiunto; ciò che egli guadagna  è la libertà civile e la proprietà di tutto quello che possiede".

Come abbiamo visto, Marx prese in considerazione l'"enigma" prodotto dalla rivoluzione francese. Questo enigma era già, in una certa forma, presente nella teoria di Rousseau per il quale il primato della comunità sull'individuo, della volontà generale sulla volontà individuale, con il conseguente sacrificio della libertà individuale, invece di tradursi nel primato dell'interesse dalla comunità su quello dell'individuo, diventa il mezzo per garantire all'individuo la sua libertà civile e la sua proprietà privata. Insomma, la necessità relativa al complesso degli uomini, alla comunità politica, dovrebbe garantire ciò che appartiene, di fatto, alla sfera del caso: e cioè l'interesse individuale, di qualunque genere esso sia e, comunque, sia acquisito.

Per Rousseau, "se l'opposizione degli interessi particolari ha reso necessaria la costituzione della società, è l'accordo di questi interessi medesimi che l'ha resa possibile. E' ciò che vi è di comune in questi differenti interessi che forma il vincolo sociale; e se non vi fosse qualche punto in cui tutti gli interessi si accordano nessuna società potrebbe esistere. Ora, è unicamente su questo interesse comune che la società deve essere governata". Ma, se vale questo principio di necessità per la comunità, come può esso valere anche per i singoli individui, per le loro singole proprietà, per le loro singole volontà, ecc., che sono soggette ai capricci del caso?

Se Rousseau non vede la contraddizione è perché il suo modo di pensare riduzionistico-deterministico lo porta a concepire la necessità complessiva come determinata dalla somma delle necessità individuali. Infatti, scrive: "Vi è spesso molta differenza tra la volontà di tutti e la volontà personale; questa non riguarda che l'interesse comune; l'altra riguarda l'interesse privato e non è che la somma di volontà particolari. Ma se togliete da questa volontà il più e il meno che si distruggono a vicenda, resta per somma delle differenze la volontà generale".

In definitiva, la somma algebrica delle volontà particolari produrrebbe la volontà generale che, a sua volta, produrrebbe la difesa della proprietà privata e della libertà civile individuali. L'errore deterministico di Rousseau consiste, dunque, in questo: che l'interesse comune, rappresentato dalla necessità della sopravvivenza della comunità politica, possa garantire nel contempo, anche, la necessaria sopravvivenza dell'individuo, ossia la difesa della sua proprietà privata e della sua libertà che sono, in realtà, soggette ai capricci del caso. 


Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)

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