domenica 21 maggio 2017

Le ragioni del costruttivismo nella controversia tra determinismo e caso (Le Moigne)

Nell'ultimo capitolo del primo volume di Franco Soldani, possiamo trovare le ragioni che sostengono il "paradigma" del Costruttivismo. Il paragrafo che ci indirizza verso queste ragioni ha un titolo molto significativo: "La controversia tra determinismo e caso: i princìpi epistemologici della complessità e dell'ordine del mondo". E qui troviamo subito una proposizione rivelatrice che vale la pena  di prendere in considerazione, perché giunge fino a coinvolgere anche Marx nel costruttivismo per via di una parabola...

Scrive Soldani: "Si deve a Jean-Louis Le Moigne una prima sintesi organica dei princìpi guida di tale pensiero. A suo avviso, intanto la nascita del "nuovo paradigma" -il Costruttivismo, "inteso come un discorso sui fondamenti della conoscenza scientifica- ha origini multiple e antiche e risale perlomeno alle opere racchiuse in quello che lo studioso francese definisce "un triangolo d'oro": da Leonardo da Vinci a Vico e Valery, da Piaget a Simon e Morin. D'altro canto, in questa illustre genealogia storica "settimo tra cotanto senno", verrebbe da dire con Dante, viene incluso sintomaticamente anche Marx, che con la sua celebre parabola dell'ape e dell'architetto avrebbe dato "la più soddisfacente definizione" della nuova impostazione".

L'allusione all'ape e all'architetto concederebbe a Marx l'onore d'essere settimo in tale superba compagnia! Ma se Soldani, che in genere è molto prolisso, in questo caso si è accontentato soltanto di alludere alla "parabola", l'autore di questo blog preferisce, invece, andare a rivedere che cosa essa veramente insegna. A tale scopo è stato sufficiente prendere il Primo libro del Capitale e leggere la seconda pagina del primo paragrafo del quinto capitolo, dedicato al "Processo lavorativo e processo di valorizzazione". Vediamolo.

Dopo aver affermato: "il nostro presupposto è il lavoro in una forma nella quale esso appartiene esclusivamente all'uomo", Marx prende come paragone l'attività del ragno e dell'ape: "Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera". Il confronto tra ape e architetto serve a Marx per distinguere il lavoro umano dal "lavoro naturale", il primo cosciente e guidato da scopi, il secondo puramente cieco e privo di scopi razionali. Così può scrivere: "Ma ciò che fin da principio distingue il peggior architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo  emerge un risultato che prima era già presente Idealmente". E conclude: in questo modo "egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, che egli conosce..."

Queste precisazioni servirono a Marx per definire la prima caratteristica del processo lavorativo umano: l'essere una "attività conforme allo scopo", cosa che non si può dire affatto dell'opera della natura e dei suoi prodotti, vita animale e umana compresa. Dunque, la parabola dell'ape e dell'architetto avvalora soltanto la tesi del "costruttivismo" artificiale dell'uomo, del suo modo di  sviluppare la propria capacità cosciente di creare forme artificiali, prodotti tecnologici, ecc. Al contrario i 6 personaggi, tra i quali Marx è stato invitato ad essere "settimo tra cotanto senno", hanno attribuito all'attività conoscitiva e alla teoria della conoscenza un falso e pretenzioso costruttivismo.

In definitiva, l'analogia tra la concezione di Marx e quella dei costruttivisti è falsa perché, se l'architetto costruisce realmente un prodotto come una casa, che prima stava solo nella sua testa come progetto da mettere sulla carta, lo scienziato si trova di fronte a prodotti della natura già dati che, perciò, non possono essere nella sua testa prima ancora che la natura li abbia creati ed egli li abbia conosciuti e soprattutto compresi.

Il problema dello scienziato è sempre stato quello di conoscere la realtà della natura, ma, immaginando che la natura operasse come l'uomo e che quindi ci fossero di mezzo dei progetti, egli ha spesso ritenuto che ci fosse di mezzo anche un architetto, un essere superiore, un dio. Infine, diversamente da ciò che pensano i costruttivisti, l'uomo cosciente deve prima comprendere il diverso modo di operare della natura per poter, poi, ricostruire, nella sua mente, i prodotti naturali e il modo in cui si sono originati e continuamente si rigenerano.

Ma c'è ancora da sottolineare che Soldani deve ammettere che il "costruttivismo", come paradigma, è un "arcipelago" di tendenze diverse, come sostiene Le Moigne: comunque, il nocciolo teorico intorno al quale "ruota un intero sistema di concetti satellite, è racchiuso in un enunciato fondamentale di Jean Piaget (uno dei "pionieri" di questa scuola di pensiero): "L'intelligenza, organizzando il mondo, organizza se stessa".

Frase molto ambigua questa, a meno che egli non volesse alludere a una divinità creatrice, frase che comunque sottolinea il termine "organizzare". Abbiamo già analizzato, nel primo volume di Teoria della conoscenza, il determinismo olistico che, in opposizione al determinismo riduzionistico, si appoggia al concetto di "organizzazione". Ma abbiamo anche stabilito che la vera questione riguarda il nesso dialettico tra caso-singolo e necessità-complesso.

Allora, mentre il determinismo riduzionistico, da sempre, ha concepito il singolo come effetto di una causa così che, di conseguenza, la necessità del complesso poteva essere considerata come necessità del composto determinata dai singoli componenti, il determinismo olistico ha rovesciato il rapporto: la necessità è determinata dal composto, inteso come organizzazione entro la quale i singoli componenti sono connessi.

Come ricorda Le Moigne, scrive Soldani: "in pieno XX secolo la scienza era ancora dominata da una visione positivista e realista dell'impresa scientifica", la cui idea basilare era il principio di oggettività che genera una concezione ontologica della realtà, "in cui tanto il mondo è concepito come un oggetto esterno ed assolutamente indipendente rispetto all'osservatore, quanto come un contesto governato da leggi naturali eterne ed invarianti che tessono una trama necessariamente deterministica nei rapporti tra le cose ed i processi visibili dell'universo materiale (determinismo che secondo Le Moigne trova "la sua forma più familiare" nella causa efficiente)". Ma non bisogna neppure dimenticare che il principio di causalità in fisica e anche in biologia ha sempre preteso di essere sostenuto dalla presenza di un essere supremo, divino.

Ora, secondo Le Moigne, i tempi sarebbero maturi per sostituire il paradigma positivista di Comte, ammantato di teologia, con una assunzione opposta. Scrive Soldani: "Invece di presumere di dover scoprire o disvelare degli oggetti naturali indipendenti -esterni o anteriori- rispetto all'osservatore, come se la nostra mente dovesse semplicemente riflettere nei suoi sistemi d'idee una "realtà oggettiva" già data, delle "cose in sé" di natura assoluta, le moderne "scienze dell'artificiale" propongono di mettere al centro della nostra comprensione del mondo l'attività costruttiva del soggetto".

Con questo nuovo "paradigma", i processi di pensiero non devono più avere come scopo la verità oggettiva dell'universo e della materia, ma devono, secondo Le Moigne, "inventare, costruire, concepire e creare una conoscenza progettuale, una rappresentazione dei fenomeni, in modo da creare del senso, immaginare l'intelligibile in riferimento a un progetto". La confusione teorica umana non ha limite: non c'è più un universo con le sue leggi: c'è invece una materia bruta, senza senso, che l'uomo trasforma a suo piacimento, come quando, ad esempio, interveniamo sull'ambiente costruendo una diga. Infatti quale altro senso può avere l'affermazione della "conoscenza del reale tramite la sua costruzione"?

Per i sostenitori di questo "paradigma", "finalmente" "tra il pensiero e il mondo -scrive Soldani- esiste una correlazione di tipo altamente specifico, che non ha più niente a che vedere con le precedenti visioni del problema. Esso si basa su altre premesse: "L'interazione cognitiva tra l'oggetto o il fenomeno da conoscere e il soggetto conoscente forma simultaneamente la conoscenza dell'oggetto ("organizzando il mondo") e il modo di elaborazione della conoscenza da parte del soggetto"."

Soffermiamoci sul senso concreto, pratico della seguente affermazione: il soggetto (uomo) avrebbe con l'oggetto (la natura) un'interazione così rapida da permettergli di conoscerla all'istante. Nella pratica ciò significa che qualsiasi castroneria partorita da singole menti umane avrebbe il diritto di partecipare al "costruttivismo" e di meritarne l'affiliazione. Per Le Moigne "La conoscenza che costruisce il soggetto tramite la sua esperienza organizza allo stesso tempo il modo di costruzione di questa conoscenza". "Il soggetto non conosce delle "cose in sé" (ipotesi ontologica), bensì l'atto attraverso il quale percepisce l'interazione tra le cose".

Questa logica è stata chiamata "ricorsiva" o "logica autoreferente". Insomma, tutto dipende dalla nostra mente. Allora anche la pretesa complessità, per le Moigne "non è forse nella natura, ma nello spirito degli uomini". Insomma, si tratta di soggettivismo esasperato e idealistico. Forse è per questo che, spesso, i costruttivisti sembrano soltanto arrampicarsi sugli specchi. Soldani li giustifica così: "La forma riflessiva della conoscenza, nonostante la sua chiusura autoreferenziale entro i processi mentali del soggetto, non ha alcun bisogno di eliminare qualunque riferimento alla realtà per poter legittimare il suo punto di vista. Oltretutto, se lo facesse si priverebbe da solo del suo oggetto, giacchè la complessità fenomenica vedrebbe allora scomparire la sua causa più profonda. Quello che le interessa, piuttosto, è fare definitivamente a meno di ogni mondo indipendente dal nostro intelletto".

Perché è fodamentale questa asserzione per i costruttivisti? Quale significato sostanziale ha questo rifiuto dell'indipendenza del mondo dal nosto intelletto? Forse perché l'universo ha bisogno del nostro intelletto per esistere? No certamente! Non è questa la pretesa dei costruttivisti. Loro si accontentano  del fatto che se la natura è indipendente dal pensiero umano, la sua esistenza è solo un'ipotesi che ha bisogno di rappresentazioni artificiali, di simboli creati da noi. In questa forma il soggettivismo è una dichiarazione di impotenza: significa che noi costruiamo il mondo a nostro piacimento, quindi in maniera pluralistica solo perché non siamo in grado di conoscerlo così com'è. E' questo il punto fondamentale del costruttivismo.

Allora, affermare che non è più possibile prescindere dal "primato assoluto" e dal "ruolo decisivo" del soggetto, è lo stesso che dire ad esempio, di fronte ai terremoti, che non è più possibile prescindere dal primato dei soggetti deceduti tra le macerie! Ovvero si tratta del primato di uno smacco, del primato di una debolezza, cioè dell'incapacità di conoscere realmente il mondo esterno e quindi anche i vantaggi o i danni che ne possono derivare.

Perciò, affermare con un enunciato ricorsivo circolare, come fa Le Moigne, "noi abbiamo accesso alla conoscenza solo per mezzo delle rappresentazioni che ne costruiamo" è una forma di resa, che tra l'altro è anche una menzogna, perché troppi litigano tra loro sulle "rappresentazioni che ne facciamo", perché, in realtà, ognuno costruisce la sua rappresentazione e ci si affeziona così tanto da provare profonda irritazione verso tutte le altre (vedere il contrasto fra Thom e Prigogine).

Tutti presi dalla nuova moda costruttivista, i vari Thom, Prigogine, Morin, ecc. non si sono preoccupati più, neanche, di ricadere in vecchie aporie. Ad esempio, Soldani, come nulla fosse, ammette che c'è la lunga mano dell'idealista Berkeley dietro il seguente asserto di Le Moigne: "La conoscenza che possiamo costruire del reale è quella della nostra esperienza di quest'ultimo", trovando "ovvio che l'elemento determinante in questo processo di pensiero diventa l'attività creativa -a disegno e deliberata- dell'osservatore".

E qui Soldani sintetizza efficacemente l'essenza del costruttivismo: "E' quest'ultimo a prefigurare e programmare, in un certo senso a creare in maniera premeditata e seguendo un proprio intento, i propri fini conoscitivi, il processo cognitivo da realizzare in dati artefatti simbolici, cosa che gli consente  di tratteggiare un ventaglio di alternative in cui il regno del virtuale e del contingente, al cui interno dunque si può scegliere, tra i molti disponibili, il sistema dei fenomeni di cui render conto, ci mette in grado di avvicinare "il mondo conoscibile" avendo nelle nostre mani un modello preventivo della realtà da spiegare". Capisca chi può!

Le Moigne è ancora più sintetico: "Costruire nella propria testa prima di costruire nella realtà, detto altrimenti: deliberare al fine d'inventare delle strategie d'azione adeguate ai progetti del modellizzatore". Ora si comprende il significato dell'ape e dell'architetto, dal punto di vista dei costruttivisti: la teoria della conoscenza ormai riguarda il progetto dell'architetto (non divino, ma umano), che pretende costruire non cellette di cera, ma l'universo intero. Ma costruire non è il compito della pratica tecnologica, svolto del resto molto bene da tecnici, ingegneri (e anche architetti)? Non si tratta qui di sconfinamento dei teorici sul terreno dei pratici? Infine, è mai possibile che, dopo aver litigato per secoli su come rappresentare, spiegare, in una parola conoscere il mondo naturale senza riuscirci, qualcuno abbia, persino, pensato come soluzione di progettarlo?

Insomma, l'ultimo passo citato da Le Moigne è assolutamente calzante per la pratica scientifica e tecnologica.- Concepirlo, invece, come fondamento gnoseologico significa mettere al primo posto il metodo della pratica umana che assume dalla natura tutto quello che serve per i suoi scopi, ma anche ciò che presto o tardi li danneggerà, perché privo di una teoria che comprenda la natura stessa.

Questa mancanza viene confermata dal seguente raro passo sintetico di Soldani, in genere molto prolisso: "Giacché "nessuno potrà mai assicurarsi" dell'esistenza effettiva "dell'eventuale ordine reale o vero della Natura", sembra più logico allo studioso francese riconoscere che "un tale ordine forse non esiste". D'altro canto, anche se ne esistesse uno "potrebbe essere molto differente dalla rappresentazione cognitiva che l'osservatore e l'interprete s'immagina "."

Insomma, a fondamento del costruttivismo c'è lo scetticismo  e la delusione sulla capacità umana di conoscere il preteso ordine della natura, fino al punto di pensare che questo ordine possa anche non esistere. Dunque o l'uomo non è capace di trovarlo o non esiste; allora non resta che costruirlo inventandolo.


*Tratto da: "LE RELAZIONI VIRTUOSE. L'epistemologia scientifica contemporanea..." 2007,  di Mario Soldani

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