Costruttivismo e autopoiesi
Devo andare indietro nel tempo con la memoria: era l'estate del 2009, il libraio editore che aveva pubblicato, ad Agosto, il mio breve saggio "Chi ha frainteso Darwin?", appena dopo la pubblicazione, tentò ripetutamente di rifilarmi libri che i miei interessi di studio e le mie scarse risorse finanziarie mi facevano rifiutare. Ma quando, un giorno, mi mostrò i due grossi volumi di Soldani* si sorprese molto per il mio rapido acquisto. Non sapeva che in quei grossi tomi c'era il riassunto di molti fallimenti teorici sulla questione del caso e della necessità -che soltanto chi, come me, aveva dedicato un quarto di secolo al problema, poteva comprendere.
Devo andare indietro nel tempo con la memoria: era l'estate del 2009, il libraio editore che aveva pubblicato, ad Agosto, il mio breve saggio "Chi ha frainteso Darwin?", appena dopo la pubblicazione, tentò ripetutamente di rifilarmi libri che i miei interessi di studio e le mie scarse risorse finanziarie mi facevano rifiutare. Ma quando, un giorno, mi mostrò i due grossi volumi di Soldani* si sorprese molto per il mio rapido acquisto. Non sapeva che in quei grossi tomi c'era il riassunto di molti fallimenti teorici sulla questione del caso e della necessità -che soltanto chi, come me, aveva dedicato un quarto di secolo al problema, poteva comprendere.
Sebbene prolissi, i due volumi, avevano il pregio di trattare autori che avevano preso in considerazione, molto prima di me, la questione principale della teoria della conoscenza, il rapporto caso-necessità, senza però risolverlo. Affrontai questi volumi senza indugi. Risultato: un centinaio di pagine di sintesi dattiloscritte, con l'animo rappacificato come di chi aveva appena scoperto di non essere stato preceduto da nessuno nella soluzione dell'enigma.
Per puro caso, in questi giorni, ho ripreso in mano l'intero fascicolo e mi sono convinto che valesse la pena postarne almeno una piccola parte, però, significativa, e soprattutto abbastanza comprensibile e in grado di confermare che l'argomento del rapporto caso-necessità ha preoccupato parecchi studiosi, senza però essere stato risolto.
Comincerò da qui:
CAP. 3 COSTRUTTIVISMO E AUTOPOIESI: UNA CONCEZIONE SOLIPSISTICA
Roland Omnes (fisico della generazione di d'Espagnat)
Si tratta di un'altra variante del "realismo scientifico" che "ci fa capire -scrive Soldani- quale fitto intrico teorico di correnti di pensiero sia oggi la scienza occidentale". Omnes ritiene che la scienza sia "una rappresentazione della realtà", ma non si tratterebbe di un banale riflesso del mondo empirico perché è "la nostra percezione [che] traduce il mondo".
Soldani intitola così il suo paragrafo dedicato a Omnes: "V'è una sola realtà: la conoscenza oggettiva e il realismo". E scrive: "Alle origini della fisica c'è la realtà, l'esistenza dei fenomeni e la regolarità dei fatti". Kant (ma anche Berkeley) avrebbe approvato. Omnes ricorda "che una scienza oggettiva, secondo Kant, non si riferisce che a degli oggetti indipendenti dalla mente". Insomma, egli sembra respingere il soggettivismo a favore del mondo esterno preesistente e indipendente dal nostro intelletto. Però, poi, dichiara che il problema del carattere realistico della scienza è filosofico e non scientifico.
E qui iniziano le complicazioni, a cominciare dalla critica polemica contro il "realismo banale", quello che dovrebbe farci capire "ciò che è realmente il mondo", per continuare con l'affermazione che è il nostro intelletto responsabile della rappresentazione della natura, delle interazioni, ecc. Insomma, la scienza affermerebbe non "la natura intima delle cose, ma piuttosto la permanenza delle loro relazioni reciproche"; "così come le matematiche sono diventate una scienza delle relazioni astratte, anche la fisica è la scienza delle relazioni che si esercitano nella realtà".
Secondo Omnes, alla fine dell'Ottocento è andato in crisi il paradigma newtoniano e si è assistito alla "irresistibie irruzione" del formale nell'ambito del sapere, in cui ormai il suo potere "fa premio su ogni altra forma del comprendere". Ed è a Maxwell che attribuisce il prevalere della fisica formale, i cui princìpi sono fortemente matematizzati. "Le vecchie categorie a priori del pensiero sono ormai sostituite dalla natura della logica matematica", riassume Soldani. Ormai, per Omnes, "Le matematiche hanno scoperto che non trattano in fondo alcun oggetto, ma soltanto delle pure relazioni indipendenti da ogni contenuto specifico. Oggi esse non hanno più alcun contatto filiale [maternel] con la realtà". Ormai il loro contenuto "è ben più formale che descrittivo: ciò che conta, nelle matematiche, non è in alcun modo quello che sono le cose, ma le relazioni che esistono tra di loro".
Paradossale conclusione: si nega alle matematiche ogni rapporto con le cose, ma non con le relazioni che esistono tra le cose! Come se le relazioni non facessero parte della natura delle cose. Sarebbe stato più coerente se avesse detto che le relazioni le costruiamo noi, a nostro piacimento. Infatti, solo su questa base è possibile concludere che le matematiche hanno ormai rotto anche "gli ultimi ormeggi che le vincolavano alla realtà e sono diventate autonome, puro gioco di relazioni, Logos rinnovato in cui le Forme non sono più forme di niente di tangibile bensì disponibili a tutto".
Nonostante ciò, o forse proprio per questo, Omnes vede nella fisica una "scienza delle leggi fondamentali della materia". Così, egli giustifica la nuova concezione affiancandola a quella di Einstein: si tratta di una "rivoluzione concettuale" cominciata proprio con la relatività einsteiniana. Sempre secondo Omnes, interpretato da Soldani, il successo di queste due concezioni ci avrebbe reso consapevoli "dei limiti del senso comune e della fallibilità di certi princìpi filosofici essenziali quali intelligibilità, localita, causalità, identità e discernibilità".
Però, aggiunge Soldani, "Omnes non è disponibile a sbarazzarsi del senso comune: nonostante la contraddizione tra il vecchio e il nuovo modo di vedere, egli ritiene necessario trovare una soluzione che li contempli entrambi. E' così che salta fuori il termine beance o "scarto essenziale" tra il mondo del pensiero quantistico e il mondo del pensiero teorico". Se il significato di beance richiama un "insostenibile clivage" tra teoria e realtà, tanto che, scrive Soldani, "la distanza che separa e demarca il pensiero dal mondo empirico, il formale dal concreto, dà la sua impronta non soltanto alla logica quantistica, bensì ad "ogni teoria"", come uscirne fuori?
Digressione. Si potrebbe anche dire che Einstein è stato acclamato genio, perché nessuno ha compreso quella sua vena di autismo che gli permetteva di esibire il suo senso comune come forma di genialità. Nessuno ha mai osservato che il suo metodo di ragionamento era basato soltanto sul senso comune, e che i suoi paradossi venivano da lui esibiti, giocando sul doppio binario della denuncia del senso comune e del suo uso continuo. Einstein ha scritto poco di teoria della conoscenza e di filosofia, a parte "I pensieri degli anni difficili" (cito a memoria), dove mostra il suo metodo, quello di partire da un'idea del senso comune, per poi mostrarne l'errore con un altro senso comune... come l'esempio del treno che si muove, dando la sensazione ai passeggeri che sia la stazione a muoversi, allontanandosi, mentre il treno, invece, rimanga fermo; quindi giungere alla conclusione della relatività dei sistemi di riferimento.
Ma torniamo a Omnes, secondo la versione di Soldani. Intanto, può aiutare a comprendere il concetto di beance la significativa metafora del suo autore: "Come osate, mortali, di fronte al reale, a ciò che è, a ciò che scorre entro un fiume in cui niente è mai allo stesso posto, a ciò che incessantemente genera e si trasforma, come osate voi farne un inserto nel logos delle vostre matematiche, chiuse al tempo e dimora dell'eterno immobile?" Insomma, Omnes vede da un lato il movimento della materia in senso dialettico, dall'altro vede l'astratto e statico pensiero matematico. Ma non sa darsi per vinto: pretende in un modo o nell'altro di metterli in comunicazione, di riconciliarli.
Soldani cerca di sintetizzare il "programma epistemologico di Omnes": per lui, dice, "è indispensabile riuscire a delineare una "sintesi" organica delle due tendenze, cercando di "conciliare" quegli aspetti del problema che si presentano come veri e propri contrari: il formale e l'empirico, la causalità e il determinismo imperanti alla nostra scala di osservazione e il "puro caso" e l'aleatorio dominanti invece nel livello più profondo della materia". Ma, prima, l'autore cade nel solito equivoco ripetuto da tutti e in tutte le salse fino alla nausea: e cioè che la fisica quantistica sarebbe una "nuova specie" di sapere dominato dal caso, in contrapposizione alla fisica classica dominata dal determinismo.
Nonostante la contrapposizione, Omnes continua a pensare che si tratti di "due visioni d'un solo mondo", di due diverse accezioni "del medesimo reale". Occorre, perciò, per lui, unificare le due prospettive, trovare una terza via. Dapprima, la soluzione passa attraverso una formale distinzione tra fenomeni e fatti, i primi solo possibili in senso teorico, i secondi quando sono riscontrabili nella realtà; poi, attraverso una nuova concezione che egli definisce di "realismo totale".
"E' totale nella misura in cui ascrive uno status di realtà a un supposto logos oggettivo, esplorato dalla logica umana e dalla matematica" sostiene Omnes, che pone come fondamentale una doppia realtà: "l'esistenza oggettiva della realtà fisica e del logos matematico". "Della prima -dice- ne facciamo esperienza diretta, mentre della seconda no, anche se quando si cerca di capire che cosa si conosca di entrambi si ha una buona rappresentazione di ciascuno. La scienza è la nostra rappresentazione della realtà, mentre la nostra logica e la nostra matematica sono una rappresentazione del logos". In definitiva, la pretesa soluzione di Omnes consiste nella visione metafisica di un doppio realismo, potremmo dire complementare (proprio secondo la moda quantistica).
E per concludere Soldani scrive: "Si può ora assumere che esista una sola "forma di realtà" e che questa "totalità della realtà" sia divisibile in "due aspetti profondamente distinti": la natura e la logica matematica. La prima concreta, multipla, sperimentale; la seconda sintetica, compatta e persino ascetica, priva di qualunque ambiguità, un puro oggetto formale. Ovviamente, si potrebbe assumere anche l'esistenza di "una forma superiore di realtà, in cui entrambe le istanze potrebbero essere pensate come suoi "due lati", sì da superare la loro "dualità", ma una simile mossa ci farebbe nuovamente entrare nella metafisica. Se ci si attiene alle distinzioni sopra fissate, invece, la concezione delineata -che secondo Omnes "si afferma come la più verosimile"-può allora ben essere definita "birealism" o "doppio realismo"."
E per concludere Soldani scrive: "Si può ora assumere che esista una sola "forma di realtà" e che questa "totalità della realtà" sia divisibile in "due aspetti profondamente distinti": la natura e la logica matematica. La prima concreta, multipla, sperimentale; la seconda sintetica, compatta e persino ascetica, priva di qualunque ambiguità, un puro oggetto formale. Ovviamente, si potrebbe assumere anche l'esistenza di "una forma superiore di realtà, in cui entrambe le istanze potrebbero essere pensate come suoi "due lati", sì da superare la loro "dualità", ma una simile mossa ci farebbe nuovamente entrare nella metafisica. Se ci si attiene alle distinzioni sopra fissate, invece, la concezione delineata -che secondo Omnes "si afferma come la più verosimile"-può allora ben essere definita "birealism" o "doppio realismo"."
Questa forzatura logica, questo sdoppiamento che non risolve nulla, conferma soltanto l'impossibilità della connessione logica tra una realtà naturale, ammessa a malincuore, e una matematica astratta che produce i suoi modelli indipendentemente da questa realtà, con l'aiuto soltanto delle libere creazioni della mente. (continua)
* "LE RELAZIONI VIRTUOSE. L'epistemologia scientifica contemporanea..." 2007, di Mario Soldani
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