La legge generale concepita per i singoli individui
Aristotele aveva sostenuto che la legge giuridica generale può non comprendere casi concreti particolari: "Quando dunque le leggi parlino in generale, ma in concreto avvenga qualcosa che non rientri nell'universale, allora è cosa retta correggere la lacuna là dove il legislatore ha omesso o errato, parlando in generale; e ciò direbbe anche il legislatore stesso se fosse presente colà, e se avesse previsto la cosa, l'avrebbe regolata nella legge".*
La legge ha valore generale in quanto vale universalmente, cioè vale per il complesso degli uomini e, in quanto tale, è legge di necessità e di ordine. Ma, poiché viene applicata sui singoli individui, interviene in una sfera che è sotto il dominio degli infiniti casi. Questa è la principale contraddizione della giurisprudenza: che la legge di necessità e di ordine, in quanto è applicata ai singoli individui, è applicata a una sfera nella quale domina, al contrario, il caso e il disordine.
Aristotele, in teoria, ammetteva questa contraddizione solo per i casi particolari, ma nella pratica l'ammetteva in tutti i casi, quando sosteneva che la gente "preferisce un arbitro che guarda all'equità piuttosto che un giudice che deve attenersi rigorosamente alla legge; anzi, è per questo che è stata inventata la figura dell'arbitro".**
Gli antichi romani, che erano degli spiriti pratici, si sottrassero a questa contraddizione evitando, nella loro attività giuridica, di formulare leggi generali e dedicandosi solo ai singoli rapporti tra le parti in causa. Infatti, concepirono la "casistica", concentrandosi soltanto su singoli casi concreti sui quali venivano consultati in qualità di esperti: da qui il nome di juris consulti, "persone consultate sul diritto"***
Nell'epoca moderna, invece, questa contraddizione della giurisprudenza trova la sua consacrazione in una forma giuridica che, sebbene concepita come espressione della volontà generale complessiva, ha per oggetto soltanto il singolo individuo, inteso come "caso" giudiziario. La contraddizione specifica dell'epoca moderna è che la legge generale è concepita soltanto per essere applicata ai singoli individui.
In ciò consiste la reale ingiustizia-contraddizione della giurisprudenza, perché la legge di necessità non può avere valore scientifico per i singoli individui, che sono tutti soggetti ai capricci del caso. L'applicazione della legge generale ai "casi giudiziari" è, perciò, soggettiva e arbitraria. In questo modo la giurisprudenza, o pretesa scienza del diritto, è caduta nello stesso errore della morale e dei precetti religiosi: quello di attribuire ai singoli individui qualità, caratteri e norme che valgono, invece, soltanto per i cittadini considerati nel loro complesso.
Errore questo, attribuibile al determinismo riduzionistico che domina sulle concezioni religiose, morali e giuridiche della civiltà occidentale, imponendo ai singoli individui l'applicazione della necessità e dell'ordine complessivi. E così, l'applicazione della legge -concepita come norma eguale per tutti- ai singoli individui tutti tra loro diversi, rappresenta il vero sopruso della giurisprudenza moderna.
Da notare che questa contraddizione è anche una conseguenza della contraddizione scoperta da Marx tra Stato, inteso come comunità politica, e società civile, reale aggregato casuale di individui egoistici: il primo soggetto alla necessità, la seconda dominata dal caso. Dal momento in cui la legge dello Stato riguarda l'individuo singolo, di fatto riguarda l'individuo della società civile. Allora che cosa rimane del cittadino dello Stato? Il cittadino come oggetto dello Stato è una formale astrazione, perché la vita reale appartiene solo all'individuo membro della società civile, nella quale egli esercita la sua attività economica e stringe relazioni sociali con altri individui.
E così, nella società moderna, l'individuo è scisso in due: come membro della società civile è abbandonato ai capricci del caso, come cittadino dello Stato è sottoposto alla cieca necessità della legge generale della comunità politica. Ora, se, come abbiamo visto, la legge giuridica rappresenta la necessità generale complessiva che si rovescia dialetticamente come caso relativo al singolo individuo, a ben guardare, anche ciò che si manifesta come casuale per il singolo membro della società civile non rappresenta altro che il rovesciamento dialettico della necessità collettiva: ossia la necessità dell'economia complessiva, dell'economia capitalistica.
E così, in entrambe le sue figure sociali, di membro della società civile e di cittadino dello Stato, l'individuo è soggetto al caso, ma con una differenza fondamentale: nella società civile, se l'individuo devìa dalla necessità economica perché gli accidenti della vita lo conducono alla povertà, lo gettano nel lastrico, ecc., le conseguenze si limitano alla perdita del benessere economico, dello status e del riconoscimento sociale. Ma, nella sfera dello Stato, in quanto cittadino, se l'individuo devìa dalla necessità giuridica perché gli accidenti della vita lo pongono fuori legge, le conseguenze sono molto più pesanti: alla perdita del benessere economico, dello status e del riconoscimento sociale, si aggiunge la durezza del tribunale che lo attende per stritolarlo e del carcere che lo accoglie per dargli il colpo di grazia.
Paradossalmente, occorre aggiungere che chi è punito realmente dal tribunale e dal carcere non è l'astratto cittadino, ma il reale individuo, membro della società civile. Allora, com'è possibile che l'individuo reale, posto tra l'incudine economica della società civile e il martello politico-giudiziario dello Stato, soggetto in entrambi i casi all'imprevedibile caso, che si rovescia sulla sua vita come cieca necessità, abbia qualche forma di libertà reale? L'unica forma che possa apparirgli come libertà è solo la fortuna, il caso favorevole.
Se le manifestazioni delle contraddizioni fin qui esaminate non sono immediatamente evidenti, ciò dipende dalla seguente circostanza: che le conseguenze del caso la maggior parte delle volte si presentano come neutrali, ossia, non hanno conseguenze rilevanti sull'individuo, riducendosi a qualche innocua seccatura e passando persino inosservate. Ma quando producono conseguenze eccezionalmente rilevanti, allora l'individuo reagisce domandandosi come sia potuto accadere proprio a lui.
Aristotele aveva sostenuto che la legge giuridica generale può non comprendere casi concreti particolari: "Quando dunque le leggi parlino in generale, ma in concreto avvenga qualcosa che non rientri nell'universale, allora è cosa retta correggere la lacuna là dove il legislatore ha omesso o errato, parlando in generale; e ciò direbbe anche il legislatore stesso se fosse presente colà, e se avesse previsto la cosa, l'avrebbe regolata nella legge".*
La legge ha valore generale in quanto vale universalmente, cioè vale per il complesso degli uomini e, in quanto tale, è legge di necessità e di ordine. Ma, poiché viene applicata sui singoli individui, interviene in una sfera che è sotto il dominio degli infiniti casi. Questa è la principale contraddizione della giurisprudenza: che la legge di necessità e di ordine, in quanto è applicata ai singoli individui, è applicata a una sfera nella quale domina, al contrario, il caso e il disordine.
Aristotele, in teoria, ammetteva questa contraddizione solo per i casi particolari, ma nella pratica l'ammetteva in tutti i casi, quando sosteneva che la gente "preferisce un arbitro che guarda all'equità piuttosto che un giudice che deve attenersi rigorosamente alla legge; anzi, è per questo che è stata inventata la figura dell'arbitro".**
Gli antichi romani, che erano degli spiriti pratici, si sottrassero a questa contraddizione evitando, nella loro attività giuridica, di formulare leggi generali e dedicandosi solo ai singoli rapporti tra le parti in causa. Infatti, concepirono la "casistica", concentrandosi soltanto su singoli casi concreti sui quali venivano consultati in qualità di esperti: da qui il nome di juris consulti, "persone consultate sul diritto"***
Nell'epoca moderna, invece, questa contraddizione della giurisprudenza trova la sua consacrazione in una forma giuridica che, sebbene concepita come espressione della volontà generale complessiva, ha per oggetto soltanto il singolo individuo, inteso come "caso" giudiziario. La contraddizione specifica dell'epoca moderna è che la legge generale è concepita soltanto per essere applicata ai singoli individui.
In ciò consiste la reale ingiustizia-contraddizione della giurisprudenza, perché la legge di necessità non può avere valore scientifico per i singoli individui, che sono tutti soggetti ai capricci del caso. L'applicazione della legge generale ai "casi giudiziari" è, perciò, soggettiva e arbitraria. In questo modo la giurisprudenza, o pretesa scienza del diritto, è caduta nello stesso errore della morale e dei precetti religiosi: quello di attribuire ai singoli individui qualità, caratteri e norme che valgono, invece, soltanto per i cittadini considerati nel loro complesso.
Errore questo, attribuibile al determinismo riduzionistico che domina sulle concezioni religiose, morali e giuridiche della civiltà occidentale, imponendo ai singoli individui l'applicazione della necessità e dell'ordine complessivi. E così, l'applicazione della legge -concepita come norma eguale per tutti- ai singoli individui tutti tra loro diversi, rappresenta il vero sopruso della giurisprudenza moderna.
Da notare che questa contraddizione è anche una conseguenza della contraddizione scoperta da Marx tra Stato, inteso come comunità politica, e società civile, reale aggregato casuale di individui egoistici: il primo soggetto alla necessità, la seconda dominata dal caso. Dal momento in cui la legge dello Stato riguarda l'individuo singolo, di fatto riguarda l'individuo della società civile. Allora che cosa rimane del cittadino dello Stato? Il cittadino come oggetto dello Stato è una formale astrazione, perché la vita reale appartiene solo all'individuo membro della società civile, nella quale egli esercita la sua attività economica e stringe relazioni sociali con altri individui.
E così, nella società moderna, l'individuo è scisso in due: come membro della società civile è abbandonato ai capricci del caso, come cittadino dello Stato è sottoposto alla cieca necessità della legge generale della comunità politica. Ora, se, come abbiamo visto, la legge giuridica rappresenta la necessità generale complessiva che si rovescia dialetticamente come caso relativo al singolo individuo, a ben guardare, anche ciò che si manifesta come casuale per il singolo membro della società civile non rappresenta altro che il rovesciamento dialettico della necessità collettiva: ossia la necessità dell'economia complessiva, dell'economia capitalistica.
E così, in entrambe le sue figure sociali, di membro della società civile e di cittadino dello Stato, l'individuo è soggetto al caso, ma con una differenza fondamentale: nella società civile, se l'individuo devìa dalla necessità economica perché gli accidenti della vita lo conducono alla povertà, lo gettano nel lastrico, ecc., le conseguenze si limitano alla perdita del benessere economico, dello status e del riconoscimento sociale. Ma, nella sfera dello Stato, in quanto cittadino, se l'individuo devìa dalla necessità giuridica perché gli accidenti della vita lo pongono fuori legge, le conseguenze sono molto più pesanti: alla perdita del benessere economico, dello status e del riconoscimento sociale, si aggiunge la durezza del tribunale che lo attende per stritolarlo e del carcere che lo accoglie per dargli il colpo di grazia.
Paradossalmente, occorre aggiungere che chi è punito realmente dal tribunale e dal carcere non è l'astratto cittadino, ma il reale individuo, membro della società civile. Allora, com'è possibile che l'individuo reale, posto tra l'incudine economica della società civile e il martello politico-giudiziario dello Stato, soggetto in entrambi i casi all'imprevedibile caso, che si rovescia sulla sua vita come cieca necessità, abbia qualche forma di libertà reale? L'unica forma che possa apparirgli come libertà è solo la fortuna, il caso favorevole.
Se le manifestazioni delle contraddizioni fin qui esaminate non sono immediatamente evidenti, ciò dipende dalla seguente circostanza: che le conseguenze del caso la maggior parte delle volte si presentano come neutrali, ossia, non hanno conseguenze rilevanti sull'individuo, riducendosi a qualche innocua seccatura e passando persino inosservate. Ma quando producono conseguenze eccezionalmente rilevanti, allora l'individuo reagisce domandandosi come sia potuto accadere proprio a lui.
Non riuscendo a capacitarsi, cercherà cause inesistenti, perché questa società (le sue istituzioni, la scuola, la religione, la scienza, ecc.) gli ha "insegnato" che esiste la sua libera volontà di scelta, che esistono leggi generali valide per tutti e, quindi, anche per lui, senza alcuna contraddizione, anzi per deterministica necessità. Questo è l'imbroglio inconsapevole che nessuno vorrebbe subire, ma che la dialettica caso-necessità impone, come cieca legge della natura, della società e della storia.
* Citazioni tratte da John M. Kelly: "Storia del pensiero giuridico occidentale" (1992)
** Ibid.
*** Ibid.
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