Il titolo del capitolo 8 "Costruttivismo radicale e autopoiesi" e il titolo del primo paragrafo di questo capitolo, "Nascita di un nuovo paradigma scientifico: la critica dell'ontologia" mettono in campo il tema principale di Soldani. Noi sappiamo da Khun che se ogni paradigma serve a risolvere dei rompicapi, esso è anche esoterico, è solo per iniziati, ossia è compreso soltanto da una stretta cerchia di adepti che accetta senza discutere le regole del gioco.
Ora, nel caso del paradigma costruttivistico la prima peculiarità non vale, perché non serve a risolvere rompicapi, semmai a crearli complicando la teoria della conoscenza; mentre vale la seconda, essendo roba per iniziati comprensibile soltanto a una stretta cerchia di adepti. Perciò eviteremo di addentrarci troppo, limitandoci a cogliere quegli aspetti che giustifichino storicamente le origini di questa concezione fallimentare.
Innanzi tutto, vien detto, si tratta di "un nuovo paradigma in merito all'acquisizione della conoscenza da parte del soggetto", ciò che rappresenta una rottura epistemologica col passato, rottura che si è consumata non contro l'epistemologia del passato, ma contro il guazzabuglio creato dagli autori del nuovo paradigma. E' vero che ognuno può interpretare come vuole, e in genere lo fa secondo la propria impostazione concettuale, ma se tutto dipendesse dal soggetto (e i soggetti sono tanti e tanti sono i modi di pensare), come si potrebbe pretendere un'interpretazione del passato così come esso è (stato), quando persino la possibilità di farlo è negata per principio?
Il punto principale del costruttivismo è che non si può rappresentare la natura (ma neppure la storia umana, il suo passato) "as it is", (così com'è), altrimenti sarebbe "realismo naive". Riflettere il mondo quale esso è sarebbe "una strana religione senza Dio" (Nicolescu). Perciò, questo nuovo paradigma non ritiene di dover rendere conto della natura così com'è. Il mondo non possiede una realtà data, strutturata; non esiste un mondo prestabilito (Glasersfeld). Secondo Forester, scrive Soldani: "Quando si osserva un evento, un fatto, un processo naturale o la realtà, ..., non si può infatti più intimare all'eventuale interlocutore "Descrivilo com'è". Piuttosto diventa ora obbligatorio ricorrere al criterio secondo il quale qualunque entità osservata "è come la si descrive"."
Poiché questa è l'essenza del nuovo paradigma, soffermiamoci, innanzi tutto, per poter dire che se "si osserva un processo naturale", si deve necessariamente presupporre l'esistenza di un mondo naturale esterno all'osservatore. Già questa semplice constatazione manda a gambe all'aria interi capitoli di raffinate complessità. Il fatto, poi, che i nostri occhi e la nostra mente possano, rispettivamente, vedere e concepire bene o male, compiendo errori anche madornali o trovando invece soluzioni anche geniali, è un'altra questione che non riguarda il mondo esterno, ma la capacità di conoscerlo raggiunta dall'uomo in una data epoca storica. Insomma, il mondo esterno esiste indipendentemente da come lo hanno descritto i vari Bohr ed Einstein dal punto di vista della fisica.
Allora fa sorridere chi ritiene di dover proibire l'intenzione di descrivere questo mondo in un'epoca che di suo è incapace di farlo realmente perché dominata da una scienza convenzionale e fittizia che, tra l'altro, è dal tempo del "caso Galileo", che ha perso ogni intenzione di conoscere la realtà. E fa ridere di gusto ... amaro che si voglia obbligare a considerare qualunque "entità osservata" "solo come la si descrive". Venendo a mancare il sostegno della certezza del mondo esterno, che cosa si può descrivere? Nulla, perché non ci sarebbero entità osservabili (neppure nella nostra mente che non avrebbe più alcun punto di riferimento).
Ma vediamo come Soldani racconta la nascita del costruttivismo radicale. Brevemente, si parte dalla nozione di "circolarità" tratta dalla cibernetica degli anni '50. Su questa base si crea qualcosa di assolutamente circolare, autoreferenziale, a cui si dà il nome di autopoiesi. Questo sostiene Glasersfeld, per il quale tutto "è una nostra costruzione"! Il costruttivismo nega di conseguenza che esista dell'altro al di fuori delle nostre costruzioni mentali. Quindi stabilisce il principio che "il mondo è generato dalla nostra concettualizzazione". In questo modo risolve facilmente il problema del rapporto soggetto-oggetto, facendo semplicemente scomparire l'oggetto della conoscenza e scivolando nella ridicola assurdità di attribuire al soggetto la capacità di costruire ciò che in mancanza della sua costruzione non potrebbe neppure esistere!
"Se il mondo in cui viviamo è sempre necessariamente il mondo che concettualizziamo" (Glasersfeld), allora per la maggioranza degli uomini che non hanno il tempo per, o la capacità di, o l'aspirazione a concettualizzare, il mondo nel quale viviamo non dovrebbe neppure esistere oppure dovrebbe ridursi a un'inezia; e per quei pochi professionisti della concettualizzazione, non ci potrebbe essere un solo mondo, ma tanti mondi quanti sono i loro "paradigmi". Non dimentichiamo che oggi prevale il "pluralismo".
Altro paradosso: per Soldani "La circolarità cognitiva del costruttivismo radicale" è "comprensiva persino di una "realtà immaginaria" costruita dal soggetto, senza che ciò comporti alcuna contraddizione. Invece, la contraddizione è tale da impedire una "realtà immaginaria costruita dal soggetto". Ma come si fa anche solo a pensarla una simile eventualità, quando non c'è alcuna possibilità di confronto con il mondo reale esterno? Come può il pensiero costruttivista distinguere l'immaginario dal suo opposto, il reale, se per principio esso nega l'esistenza indipendente di quest'ultimo?
Alla fine che cosa rimane al costruttivismo? Rimane solo un insieme di idee costruite, ma non dal nulla. Nessuno può costruire qualcosa dal nulla, ma sempre da qualcosa di altro, magari preso capovolto. Come diceva Marx, non solo l'uomo concepisce immediatamente le cose capovolte, come le immagini degli oggetti nella retina, ma può anche pensare il contrario di ciò che è. Perciò, le ideee dei costruttivisti, anche se non sono rappresentative della realtà, non sono neppure pure e semplici immaginazioni, bensì sono quell'accozzaglia di Morin che molti chiamano le "nostre conoscenze attuali"!
Ora, come fare ad evitare l'oggettivo solipsismo dei costruttivisti autopoietici, si chiede Soldani? Occorre accettare di fare qualche passo indietro: il primo passo per accogliere "il vaglio del mondo e dei suoi severi vincoli", il secondo, appropriandosi del preteso concetto darwiniano di Viability e stabilire che "l'idea di corrispondenza con la realtà è sostituita dall'idea di Adattamento" (Glasersfeld)".
Con i dietro front escono fuori cose vecchie, già udite, del tipo "è vero ciò che funziona", ossia ciò che ha funzionato, che "ha avuto successo, che ha cioè superato il vaglio del mondo e dei suoi severi vincoli" (ibid.) "Di fatto -scrive Soldani- Glasersfeld ritiene che le nostre teorie, i nostri modelli ipotetici e più in generale le nostre costruzioni cognitive incontrino un loro limite, qualcosa che in un certo senso "dice no", non appena si scontra con i divieti posti dal milieu circostante, la cui funzione è proprio quella di convalidare o meno quello che pensiamo".
Ma se c'è un milieu circostante che pone divieti, ecc. questo non può essere che il mondo esterno reale; dunque qui esso è esplicitamente ammesso, anche se poi per Glasersfeld il mondo reale "si manifesta solo nei fallimenti delle nostre azioni e/o dei nostri pensieri, e noi non abbiamo modo di descriverlo eccetto che in termini di azioni e pensieri che non hanno avuto successo". Paradossale conclusione questa, che concede l'esistenza del mondo esterno solo in un senso negativo e pessimistico, alla Popper, ossia solo dopo gli insuccessi e i fallimenti.
Soldani commenta: "Nonostante sia chiusa entro la sua virtosa forma riflessiva, non per questo dunque la nostra conoscenza può considerarsi completamente libera", ma neppure si può credere, egli aggiunge, che eventuali successi ci permettano di capire l'eventuale oggetto che si è incontrato. Insomma se la nostra conoscenza ha successo vuol dire che ha funzionato. E se non ha successo? Allora salta fuori il mondo "reale" che si "manifesta esclusivamente laddove le nostre concezioni falliscono".
A questo punto, Soldani difende il costruttivismo dall'ovvia accusa di solipsismo, ma lo fa con un complicato argomento che tutto permette e tutto concede, persino le contraddizioni. Citiamone solo un frammento: "Di fatto, nell'ambito della prospettiva costruttivista tanto si può (e si deve persino) presupporre la presenza e il ruolo selettivo e comunque discriminante di un universo reale e dell'intera Natura (!) quanto si può conseguentemente presumere il poterne ignorare la comprensione (sic!)".
In definitiva, per Soldani, "Ciò che salva il modello epistemologico [costruttivista] dal solipsismo assoluto è precisamente il fatto che il rapporto tra l'organizzazione circolare della mente e l'inconoscibile mondo ontologico, come si è visto, viene complessivamente mediato dal concetto di viabilità o "functional fit", in cui si esprime in definitiva la capacità dell'organismo di fronteggiare o meno le insidie dell'ambiente e la parallela attitudine delle nostre spiegazioni delle cose a "sopravvivere all'esperienza" e a superare le prove -gli ostacoli e gli insuccessi, i divieti e i vincoli- a cui il loro ambiente le assoggetta".
Come si vede è solo un arrampicarsi sugli specchi che non assolve il solipsismo, semmai contraddice la negazione del mondo esterno indipendente dalla mente umana. Se si ammette l'esistenza di un ambiente che assoggetta l'organismo con ostacoli, divieti, ecc. ciò significa ammettere l'esistenza del mondo esterno. Tutto il resto è solo una conseguenza del fatto che l'uomo è incapace di conoscerlo, soprattutto perché è stato convinto di non poterlo conoscere: da questa circostanza storica è sorta l'idea di negarne ontologicamente l'esistenza, finendo nel solipsismo.
Ma questo è stato l'ennesimo trucco di una teoria della conoscenza ormai alla deriva, che ha lasciato tutto esattamente come prima, soltanto con l'aggiunta di ulteriori paradigmi nella babele del pluralismo relativistico. In fin dei conti i costruttivisti non potevano partire dal nulla, dovevano necessariamente rimasticare argomenti del vecchio convenzionalismo kantiano, popperiano, ecc. Anzi, si potrebbe, persino, "scoprire" che il costruttivismo altro non è che una propaggine della concezione di Kant. Ma ciò qui è inessenziale.
* "LE RELAZIONI VIRTUOSE. L'epistemologia scientifica contemporanea..." 2007, di Mario Soldani
Ora, nel caso del paradigma costruttivistico la prima peculiarità non vale, perché non serve a risolvere rompicapi, semmai a crearli complicando la teoria della conoscenza; mentre vale la seconda, essendo roba per iniziati comprensibile soltanto a una stretta cerchia di adepti. Perciò eviteremo di addentrarci troppo, limitandoci a cogliere quegli aspetti che giustifichino storicamente le origini di questa concezione fallimentare.
Innanzi tutto, vien detto, si tratta di "un nuovo paradigma in merito all'acquisizione della conoscenza da parte del soggetto", ciò che rappresenta una rottura epistemologica col passato, rottura che si è consumata non contro l'epistemologia del passato, ma contro il guazzabuglio creato dagli autori del nuovo paradigma. E' vero che ognuno può interpretare come vuole, e in genere lo fa secondo la propria impostazione concettuale, ma se tutto dipendesse dal soggetto (e i soggetti sono tanti e tanti sono i modi di pensare), come si potrebbe pretendere un'interpretazione del passato così come esso è (stato), quando persino la possibilità di farlo è negata per principio?
Il punto principale del costruttivismo è che non si può rappresentare la natura (ma neppure la storia umana, il suo passato) "as it is", (così com'è), altrimenti sarebbe "realismo naive". Riflettere il mondo quale esso è sarebbe "una strana religione senza Dio" (Nicolescu). Perciò, questo nuovo paradigma non ritiene di dover rendere conto della natura così com'è. Il mondo non possiede una realtà data, strutturata; non esiste un mondo prestabilito (Glasersfeld). Secondo Forester, scrive Soldani: "Quando si osserva un evento, un fatto, un processo naturale o la realtà, ..., non si può infatti più intimare all'eventuale interlocutore "Descrivilo com'è". Piuttosto diventa ora obbligatorio ricorrere al criterio secondo il quale qualunque entità osservata "è come la si descrive"."
Poiché questa è l'essenza del nuovo paradigma, soffermiamoci, innanzi tutto, per poter dire che se "si osserva un processo naturale", si deve necessariamente presupporre l'esistenza di un mondo naturale esterno all'osservatore. Già questa semplice constatazione manda a gambe all'aria interi capitoli di raffinate complessità. Il fatto, poi, che i nostri occhi e la nostra mente possano, rispettivamente, vedere e concepire bene o male, compiendo errori anche madornali o trovando invece soluzioni anche geniali, è un'altra questione che non riguarda il mondo esterno, ma la capacità di conoscerlo raggiunta dall'uomo in una data epoca storica. Insomma, il mondo esterno esiste indipendentemente da come lo hanno descritto i vari Bohr ed Einstein dal punto di vista della fisica.
Allora fa sorridere chi ritiene di dover proibire l'intenzione di descrivere questo mondo in un'epoca che di suo è incapace di farlo realmente perché dominata da una scienza convenzionale e fittizia che, tra l'altro, è dal tempo del "caso Galileo", che ha perso ogni intenzione di conoscere la realtà. E fa ridere di gusto ... amaro che si voglia obbligare a considerare qualunque "entità osservata" "solo come la si descrive". Venendo a mancare il sostegno della certezza del mondo esterno, che cosa si può descrivere? Nulla, perché non ci sarebbero entità osservabili (neppure nella nostra mente che non avrebbe più alcun punto di riferimento).
Ma vediamo come Soldani racconta la nascita del costruttivismo radicale. Brevemente, si parte dalla nozione di "circolarità" tratta dalla cibernetica degli anni '50. Su questa base si crea qualcosa di assolutamente circolare, autoreferenziale, a cui si dà il nome di autopoiesi. Questo sostiene Glasersfeld, per il quale tutto "è una nostra costruzione"! Il costruttivismo nega di conseguenza che esista dell'altro al di fuori delle nostre costruzioni mentali. Quindi stabilisce il principio che "il mondo è generato dalla nostra concettualizzazione". In questo modo risolve facilmente il problema del rapporto soggetto-oggetto, facendo semplicemente scomparire l'oggetto della conoscenza e scivolando nella ridicola assurdità di attribuire al soggetto la capacità di costruire ciò che in mancanza della sua costruzione non potrebbe neppure esistere!
"Se il mondo in cui viviamo è sempre necessariamente il mondo che concettualizziamo" (Glasersfeld), allora per la maggioranza degli uomini che non hanno il tempo per, o la capacità di, o l'aspirazione a concettualizzare, il mondo nel quale viviamo non dovrebbe neppure esistere oppure dovrebbe ridursi a un'inezia; e per quei pochi professionisti della concettualizzazione, non ci potrebbe essere un solo mondo, ma tanti mondi quanti sono i loro "paradigmi". Non dimentichiamo che oggi prevale il "pluralismo".
Altro paradosso: per Soldani "La circolarità cognitiva del costruttivismo radicale" è "comprensiva persino di una "realtà immaginaria" costruita dal soggetto, senza che ciò comporti alcuna contraddizione. Invece, la contraddizione è tale da impedire una "realtà immaginaria costruita dal soggetto". Ma come si fa anche solo a pensarla una simile eventualità, quando non c'è alcuna possibilità di confronto con il mondo reale esterno? Come può il pensiero costruttivista distinguere l'immaginario dal suo opposto, il reale, se per principio esso nega l'esistenza indipendente di quest'ultimo?
Alla fine che cosa rimane al costruttivismo? Rimane solo un insieme di idee costruite, ma non dal nulla. Nessuno può costruire qualcosa dal nulla, ma sempre da qualcosa di altro, magari preso capovolto. Come diceva Marx, non solo l'uomo concepisce immediatamente le cose capovolte, come le immagini degli oggetti nella retina, ma può anche pensare il contrario di ciò che è. Perciò, le ideee dei costruttivisti, anche se non sono rappresentative della realtà, non sono neppure pure e semplici immaginazioni, bensì sono quell'accozzaglia di Morin che molti chiamano le "nostre conoscenze attuali"!
Ora, come fare ad evitare l'oggettivo solipsismo dei costruttivisti autopoietici, si chiede Soldani? Occorre accettare di fare qualche passo indietro: il primo passo per accogliere "il vaglio del mondo e dei suoi severi vincoli", il secondo, appropriandosi del preteso concetto darwiniano di Viability e stabilire che "l'idea di corrispondenza con la realtà è sostituita dall'idea di Adattamento" (Glasersfeld)".
Con i dietro front escono fuori cose vecchie, già udite, del tipo "è vero ciò che funziona", ossia ciò che ha funzionato, che "ha avuto successo, che ha cioè superato il vaglio del mondo e dei suoi severi vincoli" (ibid.) "Di fatto -scrive Soldani- Glasersfeld ritiene che le nostre teorie, i nostri modelli ipotetici e più in generale le nostre costruzioni cognitive incontrino un loro limite, qualcosa che in un certo senso "dice no", non appena si scontra con i divieti posti dal milieu circostante, la cui funzione è proprio quella di convalidare o meno quello che pensiamo".
Ma se c'è un milieu circostante che pone divieti, ecc. questo non può essere che il mondo esterno reale; dunque qui esso è esplicitamente ammesso, anche se poi per Glasersfeld il mondo reale "si manifesta solo nei fallimenti delle nostre azioni e/o dei nostri pensieri, e noi non abbiamo modo di descriverlo eccetto che in termini di azioni e pensieri che non hanno avuto successo". Paradossale conclusione questa, che concede l'esistenza del mondo esterno solo in un senso negativo e pessimistico, alla Popper, ossia solo dopo gli insuccessi e i fallimenti.
Soldani commenta: "Nonostante sia chiusa entro la sua virtosa forma riflessiva, non per questo dunque la nostra conoscenza può considerarsi completamente libera", ma neppure si può credere, egli aggiunge, che eventuali successi ci permettano di capire l'eventuale oggetto che si è incontrato. Insomma se la nostra conoscenza ha successo vuol dire che ha funzionato. E se non ha successo? Allora salta fuori il mondo "reale" che si "manifesta esclusivamente laddove le nostre concezioni falliscono".
A questo punto, Soldani difende il costruttivismo dall'ovvia accusa di solipsismo, ma lo fa con un complicato argomento che tutto permette e tutto concede, persino le contraddizioni. Citiamone solo un frammento: "Di fatto, nell'ambito della prospettiva costruttivista tanto si può (e si deve persino) presupporre la presenza e il ruolo selettivo e comunque discriminante di un universo reale e dell'intera Natura (!) quanto si può conseguentemente presumere il poterne ignorare la comprensione (sic!)".
In definitiva, per Soldani, "Ciò che salva il modello epistemologico [costruttivista] dal solipsismo assoluto è precisamente il fatto che il rapporto tra l'organizzazione circolare della mente e l'inconoscibile mondo ontologico, come si è visto, viene complessivamente mediato dal concetto di viabilità o "functional fit", in cui si esprime in definitiva la capacità dell'organismo di fronteggiare o meno le insidie dell'ambiente e la parallela attitudine delle nostre spiegazioni delle cose a "sopravvivere all'esperienza" e a superare le prove -gli ostacoli e gli insuccessi, i divieti e i vincoli- a cui il loro ambiente le assoggetta".
Come si vede è solo un arrampicarsi sugli specchi che non assolve il solipsismo, semmai contraddice la negazione del mondo esterno indipendente dalla mente umana. Se si ammette l'esistenza di un ambiente che assoggetta l'organismo con ostacoli, divieti, ecc. ciò significa ammettere l'esistenza del mondo esterno. Tutto il resto è solo una conseguenza del fatto che l'uomo è incapace di conoscerlo, soprattutto perché è stato convinto di non poterlo conoscere: da questa circostanza storica è sorta l'idea di negarne ontologicamente l'esistenza, finendo nel solipsismo.
Ma questo è stato l'ennesimo trucco di una teoria della conoscenza ormai alla deriva, che ha lasciato tutto esattamente come prima, soltanto con l'aggiunta di ulteriori paradigmi nella babele del pluralismo relativistico. In fin dei conti i costruttivisti non potevano partire dal nulla, dovevano necessariamente rimasticare argomenti del vecchio convenzionalismo kantiano, popperiano, ecc. Anzi, si potrebbe, persino, "scoprire" che il costruttivismo altro non è che una propaggine della concezione di Kant. Ma ciò qui è inessenziale.
* "LE RELAZIONI VIRTUOSE. L'epistemologia scientifica contemporanea..." 2007, di Mario Soldani
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