martedì 2 maggio 2017

L'individualismo: una contraddizione storica

Questa è l'epoca dell'individualismo più esasperato ed esasperante,  in un mondo che dovrebbe essere preoccupato della propria sopravvivenza, minacciata da tre fondamentali pericoli: 1) la senescenza del capitalismo, ultima fase prima del suo "decesso",  2) una specie umana troppo numerosa per reggere il peso della morte del capitalismo, 3) il confronto tra continenti per l'egemonia mondiale, che, prima o poi, dovrà sopportare una vera guerra mondiale. Devo andare avanti?

Chiedo scusa perché sono partito dalla fine. Riavvolgiamo la pellicola e ripartiamo dall'inizio: dai due volumi di storia che ho scritto tra il 2003 e il 2008.  Poiché non sono in grado di pubblicarli, posso soltanto postarne una serie di paragrafi significativi, a cominciare da quelli che trattano degli individui, vittime e nel contempo carnefici della cieca necessità del passato, del presente e, inevitabilmente, del futuro.

Cominciamo dal paragrafo "L'individualismo cristiano: una contraddizione storica" (scritto per il volume: "La dialettica caso-necessità nella Storia" (2003-2005)

L'individualismo moderno è un portato del pensiero cristiano occidentale, inesistente nell'antica comunità greca e romana, nell'oriente confuciano e buddista, nell'islamismo arabo e persino nel feudalesimo europeo. Ma, in quest'ultimo caso, si tratta di una paradossale contraddizione che finora nessuno, forse, ha mai considerato e, certamente, mai sottolineato. Infatti, la concezione cristiana, che afferma il primato dell'individuo come oggetto necessario della divina provvidenza, non s'impone nell'epoca del dominio della Chiesa cattolica, ossia nel feudalesimo, ma nell'epoca della formazione degli Stati nazionali a potere sovrano assoluto, epoca nella quale era appena sorta la nuova classe borghese. L'individualismo trova, infatti, la sua prima espressione filosofica nel riduzionismo cartesiano e la sua prima espressione teorico-politica nel liberalismo lockiano.

D'altra parte, nella concezione cristiana, il rapporto individuo-comunità trovò una soluzione in se stessa contraddittoria quando l'individuo divenne oggetto primario dell'interesse religioso, oggetto privilegiato della divina provvidenza. Questo perché il primato dell'individuo si rovesciò immediatamente nel suo opposto, nell'assoggettamento alla volontà divina e, quindi, nella subordinazione alla religione. Questa subordinazione assunse la forma di umile sottomissione individuale; ma l'individuo umile e sottomesso non poteva che diventare un soggetto facilmente governabile, perciò assoggettabile anche al potere politico.

Ma se l'individuo era tanto importante da scomodare, nientemeno, che la divina provvidenza, in quanto però era ad essa subordinato, ossia in quanto era subordinato alla volontà di ordine superiore divina, perse il suo primato, la sua importanza e divenne necessariamente un umile sottomesso a qualsiasi forma di potere costituito. In particolare, il feudalesimo ha preso questo individuo e lo ha facilmente annullato in comunità particolari, quali gli ordini, le corporazioni, ecc. E' solamente dal '600 che per l'individuo si iniziò a parlare di libero arbitrio con Leibniz, Locke, ecc. e si cominciò a invocare i suoi diritti naturali per ottenere quelle libertà, per i suoi interessi privati, che il nascente capitalismo e i traffici commerciali richiedevano.

Vediamo, così, una paradossale contraddizione storica nel rapporto tra la religione cristiana e, rispettivamente, la società feudale e la società capitalistica. Il feudalesimo era dominato dalla religione cristiana, ma, paradossalmente, l'uno e l'altra concepivano il rapporto individuo-comunità in maniera diametralmente opposta. La religione cristiana aveva per suo fondamento il primato dell'individuo, raramente santo e frequentemente peccatore, ma, comunque, sempre oggetto delle cure della divina provvidenza. La costituzione feudale concepiva, invece, l'annullamento dell'individuo in comunità paerticolari: il primato spettava, perciò, alla nobiltà, non al singolo nobile, alla corporazione artigiana, non al singolo artigiano. In questo modo la costituzione feudale tolse di fatto alla religione il fulcro stesso dei suoi dogmi: l'individuo, peccatore o santo che fosse.

Nel capitalismo si verificò, invece, un capovolgimento: in teoria, il liberismo borghese negò il dominio della religione, ma nello stesso tempo fondò i suoi princìpi sull'individuo singolo, restituendogli quella centralità negata dalla costituzione feudale. Così, nonostante che il pensiero liberale negasse il primato della religione cristiana, nel contempo affermò il primato dell'individuo, fulcro di questa religione. Esattamente l'opposto speculare del feudalesimo che, mentre accettava il primato della Chiesa di Roma, negava il primato del suo fondamento: il singolo individuo santo o peccatore che fosse.

Il feudalesimo non riconobbe politicamente alcun ruolo indipendente all'individuo, ma solo i doveri del suo rango nobiliare o della sua corporazione, ecc. Quindi riconobbe soltanto la comunità di appartenenza di ciascun individuo, acquisita con la nascita una volta per tutte. Il capitalismo, invece, ha concepito l'individuo come indipendente dalla sua posizione sociale e politica (posizione che può anche cambiare nel corso della sua vita), allo stesso modo del cristianesimo che giudica l'individuo indipendentemente dalla sua posizione nella società, ma soltanto perché è la sua posizione rispetto a Dio e alla religione ciò che per esso conta.

La storia sembra, spesso, divertirsi a creare strane combinazioni, per le quali si parla di ironia. Anche in questo caso, per ironia della storia, una religione "individualista" ha dominato una società "collettivista", quella feudale, mentre una società "individualista", quella borghese, si è emancipata dal dominio di una religione "individualista".

Questa contraddizione è uscita allo scoperto nel feudalesimo, con la feroce lotta per le investiture fra Papa Gregorio e l'imperatore Enrico IV (Canossa 1077), con la lotta ancor più cruenta fra Papa Bonifacio VIII e Filippo IV il Bello sulla supremazia del potere temporale, cui seguì la "cattività avignonese" (1309-1377) e il Grande Scisma (1387-1417). Al contrario, nel capitalismo, i governi accordarono il loro favore alla religione cristiana, protestante e cattolica per il suo ruolo sociale nella educazione morale e religiosa degli individui, funzionale al controllo delle masse dei proletari nullatenenti.

E ancora, in entrambe le società, quella feudale e quella capitalistica, astraendo dalla diversa considerazione degli individui, la religione ha indirettamente svolto la funzione di rendere gli individui mansueti e sottomessi a qualsiasi potere costituito. Infine, la diversa considerazione dell'individuo ha riguardato più il principio teorico politico e giuridico che la reale pratica sociale (feudale o capitalistica), perché, se nel feudalesimo, l'individuo si annullava economicamente e politicamente nell'ordine, anche nel capitalismo l'individuo si annulla economicamente nella classe, sebbene non come obbligo giuridico e politico.

Non esistendo nel capitalismo un obbligo costituzionale di appartenenza a una classe, rimane per l'individuo la possibilità di cambiare la propria collocazione sociale se le circostanze lo aiutano a salire nella classe superiore o lo costringono a cadere nella classe inferiore. Non solo, ma è anche possibile per un individuo ritrovarsi politicamente dalla parte di una classe cui non appartiene. Questa possibilità non è, però, un gran vantaggio: essa riflette il fatto che l'individuo della società civile, nell'epoca della borghesia, è abbandonato al caso, dipendente soltanto dalle occasioni, sia favorevoli che sfavorevoli, spesso illudendosi di esercitare reali libertà personali.

Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)

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