giovedì 4 maggio 2017

Il ruolo dei singoli individui nella storia

Sempre nella lettera a Bloch, Engels precisa il ruolo dei singoli individui nella storia: "Ma per il fatto che le singole volontà -ognuna delle quali vuole quello che la spingono a volere la sua costituzione fisica e le circostanze esterne e in ultima istanza le circostanze economiche (o sue proprie personali, o generali e sociali)- non raggiungono quello che vogliono, ma si fondono in una media generale, in una risultante comune, per questo, non si può concludere che esse debbano essere fatte uguale a zero. Al contrario, ognuna contribuisce alla risultante ed è quindi compresa in  essa".

Se a queste precisazioni aggiungiamo i "risultati non voluti", possiamo sottolineare il paradosso secondo il quale le singole volontà, che sono comprese nella risultante, non soltanto non raggiungono sempre i risultati voluti singolarmente, ma non ottengono neppure risultati generali voluti come risultante. Engels non considera zero il contributo singolo, perché esso appartiene al risultato complessivo, alla media generale. Il caso del contributo singolo appartiene al processo storico. Inesistente, invece, deve essere considerato il nesso necessario tra le singole volontà. L'unico "nesso" qui esistente è la mancanza di nessi, ossia è il caso.

Come esempio di trattazione storica del ruolo dei singoli individui, possiamo riprendere quello del "18 Brumaio di Luigi Bonaparte", citato da Engels nella lettera a Bloch. In questo scritto, Marx ha posto a confronto due metodi d'indagine storica, entrambi unilaterali: il metodo soggettivo e il metodo oggettivo che, rispettivamente, Victor Hugo e Proudhon utilizzarono nei loro rispettivi pamphlet sul colpo di Stato di Luigi Bonaparte.

Il metodo soggettivo di Victor Hugo esalta il primato dell'individuo come primato dell'inziativa personale, come primato della volontà politica. In questo modo, ingrandisce l'individuo storico, facendone il protagonista assoluto dell'avvenimento storico. Contro un simile protagonista, dice Marx, l'autore può solo lanciare un'invettiva amara e piena di sarcasmo. Il metodo oggettivo di Proudhon crede, invece, di dare una ricostruzione oggettiva dell'avvenimento storico, ma questo si trasforma nell'apologia del protagonista che diviene eroe, per così dire, necessario.

Entrambi i metodi, con opposti criteri, finiscono con l'esaltare il protagonismo dell'individuo: nel metodo soggettivo, in quanto individuo che s'impone arbitrariamente alla storia; nel metodo oggettivo, in quanto individuo che è stato imposto necessariamente dalla storia. Potremmo, quindi, dire che il metodo soggettivo vede soltanto il caso, là dove il metodo oggettivo vede soltanto la necessità. Marx, invece, considera il processo storico come lotta di classe che crea circostanze e situazioni che rendono possibile a un individuo ciò che sembra essere al di sopra delle sue stesse possibilità.

Sono dunque le circostanze e le situazioni create dal processo storico "naturale" della lotta di classe a produrre le possibilità dell'individuo storico, le cui azioni dipendono perciò dalla casualità del movimento reale che, nel suo dispiegarsi, si manifesta come cieca necessità. Per il metodo soggettivo sembra prevalere l'arbitrio del caso, per il metodo oggettivo sembra prevalere la ferrea necessità. Per il metodo dialettico di Marx, il processo storico, fondato sulla lotta di classe, può anche produrre circostanze tali (che possiamo considerare casuali) da rendere possibile a un personaggio mediocre e grottesco di fare la parte dell'eroe. In quelle circostanze, un simile eroe era possibile e questa possibilità è divenuta realtà.

Il "18 Brumaio" è, perciò, un esempio d'indagine storica della possibilità, riferibile alla dialettica caso-necessità. Si trattava, nello specifico, di stabilire la reale possibilità di un avvenimento storico apparentemente inspiegabile, e certamente imprevedibile, qual è stato la presa del potere da parte di Luigi Bonaparte, grottesca caricatura dell'imperatore, suo zio. In questa analisi, la valutazione riguardava l'individuo storico, che va considerato qualitativamente differente dalla media dei singoli individui, i quali partecipano alla storia soltanto come complessi di individui, ossia, classi, popoli ecc.

Occorre, perciò, distinguere i singoli molteplici individui che partecipano alla storia nel ruolo che il caso ha loro affidato -fornendoli di specifiche costituzioni psicofisiche, di specifiche collocazioni sociali, come l'appartenenza a una data classe o ceto sociale, ecc.- dai singoli, rari individui che partecipano alla storia riassumendo in sé il molteplice, sintesi di molteplici necessità, quali sono i capi di partito, i capi di Stato ecc.

Certamene la storia non è soltanto storia re, imperatori, capi di Stato, ecc, ma re, imperatori, capi di Stato rappresentano una contraddizione, perché se, in quanto singoli individui, hanno singole intelligenze e volontà, ubbìe personali, ecc. che possono accentuare la casualità e l'arbitrio delle proprie azioni, in quanto rappresentanti di interessi generali sono un riassunto delle molteplici volontà complessive delle classi e dei popoli. Perciò sono essi stessi un risultato storico complessivo, e molto spesso un risultato complessivo non voluto. Insomma, l'individuo storico è una contraddizione vivente perché è, nel contempo, singolo individuo casuale e risultato complessivo non voluto o cieca necessità della storia*.

E allora non c'è da stupirsi se il risultato non voluto della storia umana, al pari del risultato non voluto dalla natura, segua la legge del dispendio e della eccezione statistica, che si manifesta con le "solite baggianate", secondo un'efficace espressione di Marx. Ancora una volta è la legge dei grandi numeri che pone riparo alle baggianate garantendo stabili medie statistiche, permettendo rari  risultati voluti come eccezioni statistiche in una infinità di risultati non voluti: così in un mare statistico di baggianate, soltanto eccezionali opere intelligenti e ancor più rare opere geniali: questa è la realtà naturale della società umana fino ad oggi.**


* "Non avete notato voi che sapete tutto, che gli uomini hanno due caratteri? Uno per la famiglia, per le mogli, per la vita segreta, e che è il vero; qui niente maschera, niente dissimulazione, non si prendono la pena di fingere, sono quel che sono, e spesso sono orribili; poi il mondo, gli estranei, i salotti, la Corte, il Sovrano, la Politica li vedono grandi, nobili, generosi, in abito ricamato di virtù, adorni di bel linguaggio, pieni di qualità squisite. Che orribile celia! E la gente si stupisce del sorriso di certe donne, della loro aria di superiorità verso i mariti, della loro indifferenza... (Da "I segreti della principessa di Cadignac" di H. de Balzac)

** "Nella grande commedia, la commedia della vita, quella a cui torno sempre a riferirmi, tutti gli spiriti ardenti occupano il palcoscenico, mentre tutti gli uomini di genio siedono in platea... Solo l'occhio del saggio coglie il ridicolo di tanti personaggi diversi,..." (Diderot, "Paradosso dell'attore")


Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia"  (2003-05)

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