Per valutare l'attuale posizione della teologia, soprattutto nei confronti dell'evoluzionismo e in genere della scienza, abbiamo a disposizione gli "ATTI" di un convegno sul "ruolo delle scienze naturali", dal titolo "SCIENZE E RELIGIONI" (28 febbraio 2007). Per i nostri scopi prenderemo in considerazione la prefazione del gesuita George V. Coyne.
La sua premessa è che, per spiegare l'origine della vita non c'è bisogno di Dio sul piano scientifico: "Dio non è la risposta a un bisogno di carattere scientifico". Anche se certi credenti vorrebbero riempire i vuoti della scienza con Dio, Coyne ritiene che "La pienezza di Dio va cercata nella creazione. Dio non va cercato per riempire i vuoti della scienza... Ma il Dio di cui ho parlato è anche il Dio creatore dell'Universo".
Come si vede, nonostante il richiamo all'indipendenza della scienza, il teologo ribadisce la creazione divina, e anzi ribadisce che "La fede cristiano-giudaica è radicalmente creazionista". Questa fede crede "che tutto dipende da Dio, o meglio, tutto è dono di Dio". "Dio è sempre all'opera nell'universo". Qundi "Panteismo e materialismo sono ugualmente falsi". Con affermazioni così assolute e definitive, ci sarebbe poco da discutere, se non fosse, però, che poi vengono fuori i distinguo: innanzi tutto, che ogni epoca ha la sua immagine del Dio creatore: "Perciò, l'immagine attuale di Dio creatore deve rispondere ai concetti della cosmologia moderna".*
Ma su questo terreno sorgono paradossali contraddizioni, anche se non rilevate: la prima è che la cosmologia può anche sbagliare, la seconda che il pluralismo delle attuali scienze può dare vita a diverse e anche contrastanti concezioni. Così, nel primo caso, si dovrebbe accettare un'immagine di Dio e della sua creazione errate; nel secondo, si dovrebbero accettare tante immagini di Dio e della creazione quanti sono i diversi "paradigmi", ossia, quanti sono i diversi punti di vista degli scienziati.
Dovendo adattarsi alla scienza attuale, il teologo gesuita deve dire: "Così facendo si tenta di comprendere Dio come creatore di un universo dove il fine e il progetto non sono i soli, e neanche ì più importanti fattori, ma dove la spontaneità e l'indeterminismo nell'universo hanno contribuito in modo significativo all'evoluzione di un universo in cui è apparsa la vita. Cerchiamo di analizzare la base scientifica di una tale immagine di Dio".
Insomma, Coyne è così fiducioso della scienza, a tal punto, da far dipendere da ogni nuovo "paradigma", o meglio, da ogni nuova "libera creazione" della scienza contemporanea, la "nuova immagine di Dio". Per lui esistono due modi di ragionare sulle origini della vita: [1] "la vita non ha altro significato che quello di essere lo stadio finale sino ad oggi del "lungo processo di evoluzione dell'universo"; [2] "oppure è il culmine dello svolgersi estremamente lungo e delicato di un programma rappresentato dalle leggi fisiche insite nell'universo".
Senza prendere posizione, egli sottolinea, però, la lentezza dell'evoluzione: "oggi si ritiene che la vita sia comparsa, nelle sue prime forme microscopiche, intorno a tre miliardi di anni fa; cioè circa undici miliardi dopo il Big Bang e circa sette miliardi dopo la formazione delle prime stelle". Poi si chiede: "Perché essa ha impiegato tanto tempo ad apparire? Si ritiene che per produrre le quantità di elementi chimici indispensabili alla vita siano state necessarie tre generazioni di stelle".
Ma resta il problema di spiegare la vita: "Di nuovo -scrive Coynes- per trovare una spiegazione siamo tentati di ricorrere ad una immagine, a mio parere sbagliata, di Dio creatore che per Sua libera volontà ha accordato le costanti della natura. Ma noi ci siamo e la nostra esistenza è intimamente legata alla materia e all'energia dell'universo di cui siamo parte". Inoltre "tutto viene rinnovato, rigenerato..." E ancora: "Noi siamo il risultato di un processo continuo di trasformazione dell'energia dell'universo in forme sempre più complesse di materia. Solo recentemente abbiamo cominciato a renderci conto che questo processo non avvenne sempre in modo deterministico e ordinato, ma che nello svolgersi di ogni fase del suo sviluppo evolutivo ebbero la loro parte anche il caso e l'imprevedibilità".
Come si vede, il problema dell'origine della vita è posto in termini metafisici, sottolineando l'opposizione diametrale tra determinismo e caso, così che il problema rimane un enigma insolubile. Ma "che cosa possiamo dire della nascita dell'uomo?" si domanda Coyne -sollevando una questione che, per la teologia, è ancor più importante della nascita della vita. E risponde con un'altra domanda: "Parlando da scienziato, non da uomo religioso, è invitabile porsi una domanda: questo processo si è verificato per caso o per necessità? C'è stata una necessità, cioè una teleologia, un finalismo, oppure è accaduto tutto puramente per caso?" Insomma, nella domanda c'è già la risposta metafisica: o-o. O è il caso o è la necessità. Non entrambi connessi dialetticamente come sostiene la teoria di un autodidatta esposta proprio in quell'anno con l'uscita di un opuscolo "Chi ha frainteso Darwin?".
Ma poi salta fuori anche una risposta ipotetica che rappresenta il massimo che un teologo intelligente possa arrivare a concedere sfiorando la soluzione reale: "Per me esiste una terza possibilità oltre al caso e alla necessità. Alcuni processi, la gravità ad esempio, sono deterministici; ci sono anche dei processi casuali, probabilistici, ma soprattutto ci sono tantissime opportunità in un universo dell'età di 13,7 miliardi di anni con oltre cento miliardi di galassie, che contengono un insieme di diecimila miliardi di stelle, intorno alle quali chi sa quanti pianeti -quasi trecento già scoperti".
Un simile argomento, in passato, avrebbe dato la stura alla concezione economica della teologia: perché tutto questo spreco per creare l'uomo? Insomma, Coyne ha sottolineato i grandi numeri dell'universo -che sono proprio quelli che permettono l'eccezione statistica di un grande dispendio- e li concepisce come "tantissime opportunità". Ma non può essere conseguente, non può concepirli logicamente in senso statistico come rarità, così come non può concepire il nesso dialettico esistente tra il caso e la necessità, perché la lunga storia del pensiero umano orienta verso la concezione della opposizione diametrale tra questi due concetti.
Per concludere, è interessante la velata, ma giusta, critica del teologo gesuita alla locuzione "La mente di Dio" che egli rileva come "Uno dei nuovi concetti caratteristici della nostra cosmologia", per la quale "Dio viene visto essenzialmente, se non esclusivamente, come una spiegazione e non come una persona. Dio rappresenta la struttura matematica ideale, la teoria del tutto. Secondo questa cultura Dio è spiegazione".
Come già sapevano gli studiosi del seicento, la nota dolente della teologia, o meglio della teodicea, è sempre stata l'attribuzione dei mali del mondo al divino creatore, perciò qualsiasi opinione che favorisse una simile imputazione è sempre stata guardata con sospetto dalla teologia. E' quello che capita oggi alla concezione della "mente di Dio", che presuppone non solo la creazione divina, ma anche una intelligenza che l'uomo potrebbe cercare di conoscere e, una volta conosciuta, potrebbe anche giudicare imperfetta, difettosa. Dunque, è questa la preoccupazione di Coyne: che gli scienziati si ergano a giudici dell'operato divino.
Ma il paradosso, per chi riflette senza obblighi teologici, è che l'uomo può solo immaginare la "mente di Dio": di conseguenza qualsiasi giudizio su eventuali difetti della creazione divina, ecc. sarebbe soltanto un giudizio sulle proprie fantasie umane. E, infatti, tutta la storia del pensiero umano teologico è stata una grandiosa quanto fantastica visione religiosa.
Nessun commento:
Posta un commento