venerdì 23 dicembre 2016

Teoria della conoscenza, teologia e scienza

Compatibilità o incompatibilità tra scienza e religione?

Questa è una domanda che ritorna spesso nell'Occidente,  provocata com'è dalle continue oscillazioni nel rapporto tra scienza e religione. Eppure, nonostante le apparenze, la realtà storica mostra una sostanziale compatibilità perché la scienza, fino ad oggi, non ha mai reciso il cordone ombelicale che continua a tenerla legata alla teologia.

La premessa era necessaria prima di affrontare le interessanti tesi esposte dal teologo Francisco Ayala nel suo libro dal titolo rivelatore: "IL DONO DI DARWIN alla scienza e alla religione" (2009). Grazie a queste tesi potremo mettere in evidenza alcune difficili questioni mai risolte perché sono insolubili, sia per una religione che oscilla tra la pretesa di conciliare la teologia con la scienza e il desiderio opposto di metterle in contrasto, sia per una scienza che oscilla tra l'affermazione della incompatibilità e l'accettazione della compatibilità con la religione.

La principale questione riguarda quella che ha rappresentato la nota dolente dei principali filosofi e teologi dal Seicento fino ad oggi. Espressa con le parole di Ayala, la questione si presenta così: se Dio è onniscente, onnipotente e misericordioso, come mai la natura "è prodiga di catastrofi, calamità, imperfezioni, disfunzioni, sofferenze e crudeltà?" E' il problema della teodicea mai veramente risolto.

Come vedremo, qui, il teologo si pone un obiettivo molto ambizioso: quello di eliminare il problema alle radici e proprio con l'aiuto di Darwin! Come primo passo, afferma: "Ebbene io non attribuisco tutta la sofferenza, la crudeltà e la distruzione del mondo al disegno specifico del Creatore". Ci mancherebbe altro! Nessuno ha mai messo in dubbio che il Creatore fosse meno che umano (a parte Jesrald, l'angelo assassino del beffardo Voltaire) e permettesse di proposito i mali del mondo. Il dubbio, semmai, ha sempre riguardato e continua a riguardare, per i credenti e soltanto per loro, il motivo per il quale Dio non li impedisca.

Come secondo passo, Ayala sostiene che il fenomeno incriminato è "una conseguenza della goffaggine (sic!) con cui si è svolto il processo evolutivo". Questa tesi risale agli anni '70 e appartiene a Monod e, guarda caso, fu ridicolizzata all'epoca da un astuto teologo, Oreison, il quale non accettò che il biologo dicesse: io sono intelligente, mentre la natura è insensata. Insomma, quattro decenni prima, il teologo Oreison avrebbe respinto come blasfema la tesi del teologo Ayala sulla goffaggine della evoluzione naturale! Ah verità "filia temporis"!

Ma, quanto il problema della teodicea, che stiamo trattando, pesi come un macigno sulla teologia possiamo valutarlo dalla seguente citazione di Ayala riguardante Hume che, in "Dialoghi sulla religione naturale", colse in modo essenziale la contraddizione: "Dio vuole prevenire il male, ma non ne è capace? Allora è impotente. Ne è capace, ma non vuole? Allora è malvagio. Ne è capace e lo vuole? Allora da dove proviene il male?" Come abbiamo già visto, in altro luogo, Hume si sottrasse alla risposta adducendo come motivo l'impotenza umana a comprendere.

Comunque, il problema, sintetizzato così precisamente da Hume, pone ancora oggi in discussione la questione della creazione divina, che è divenuta la questione dell'"architetto intelligente", di fronte al quale Ayala assume una posizione in apparenza paradossale per un teologo. Infatti, afferma: "Se la struttura funzionale rivela l'esistenza di un architetto intelligente, perché i difetti non dovrebbero indicare che l'architetto non è onniscente né onnipotente?" Quindi cita Voltaire, il quale accettò l'argomento del "disegno" sulla base della seguente analogia: "come l'esistenza di un orologio dimostra l'esistenza dell'orologiaio", così "il disegno e il fine evidenti in natura dimostrano che l'Universo è stato creato da un intelletto supremo".

Voltaire si era affidato all'antica sapienza del pensiero aristotelico che, grazie alla metafora tratta dall'analogia con gli automi creati dall'uomo, poté concepire la natura come una grande macchina creata da un intelletto superiore divino. Ora, è proprio di questa antica analogia che Ayala deve sbarazzarsi per scagionare Dio dalla responsabilità dei mali nel mondo. Ma per farlo ha bisogno di un'altra metafora che, questa volta, prenda il posto di Dio.

Ed ecco "IL DONO DI DARWIN", il quale altro non rappresenta che la metafora della selezione naturale, diventata l'agnello sacrificale da immolare alla bontà divina. Questa, infatti, è la soluzione teorica proposta: "La selezione naturale è un processo "opportunistico", e questo aumenta la "creatività" del processo evolutivo che si esprime nella molteplicità e diversità delle specie. Le variabili che determinano la direzione in cui la selezione naturale procede sono l'ambiente, la struttura preesistente degli organismi  e le mutazioni che si verificano casualmente". Come si vede, qui è la selezione naturale che si sostituisce a Dio nella funzione di ... maldestro "architetto".

Nel paragrafo "Il caso e la necessità", Ayala precisa tre punti: 1) "la documentazione fossile dimostra che la vita si è evoluta in maniera accidentale", tesi questa ripresa da Gould*; 2) per spiegare l'evoluzione biologica, comprese le estinzioni "non occorre ricorrere alla teologia, a un piano preordinato...". "La struttura (design) apparentemente finalizzata degli organismi non è intelligente, ma imperfetta (!) e a volte, come vedremo in seguito, per niente funzionale"; infine, 3) è la selezione naturale che fa tutto ed è responsabile di tutto: "Siamo semmai di fronte a un processo naturale (la selezione naturale) che non è casuale, ma orientata e capace di generare ordine e "creare" (!)".

Insomma, questo è un chiaro passaggio delle consegne nei processi della vita: il ruolo del creatore (non proprio così intelligente) è affidato alla selezione naturale di Darwin. Sebbene imperfetta, e anche molto dispendiosa, essa trasformerebbe il caso in ordine: "Alla casualità adattativa del processo di mutazione (come alla capricciosità di altri processi che entrano in gioco nel grande teatro della vita) si contrappone la selezione naturale, la quale preserva ciò che è utile ed elimina ciò che è nocivo".

Ma, essendo proprio questa eliminazione ad accentuare i mali del mondo, ecco trovata la soluzione per la teodicea: "L'anatomia animale -scrive Ayala- dimostra di essere stata concepita per adattarsi a un certo modo di vivere, ma è una struttura "imperfetta" messa a punto dalla selezione naturale anziché una struttura "finalizzata", studiata a tavolino da un ingegnere. L'imperfezione della struttura rivela l'esistenza dell'evoluzione e smentisce l'argomento del "disegno intelligente".

Ora, poiché la cosiddetta imperfezione della selezione naturale si manifesta soprattutto nel dispendio, sia nei tempi brevi della eccessiva mortalità alla nascita di ogni organismo, sia soprattutto nei tempi lunghi delle estinzioni delle specie, delle famiglie, dei generi, ecc., ciò dimostra semplicemente che la vita nella sua totalità presenta una cieca, dispendiosa necessità. Se per i credenti questa ha costituito sempre un problema insormontabile (perché Dio permette tanto spreco?), per Ayala si può pensare di poterlo risolvere definitivamente appellandosi alla imperfezione delle strutture biologiche, argomento a suo tempo utilizzato da Gould per combattere il creazionismo in biologia.

Nel suo libro "Il pollice del Panda" Gould mostrò, infatti, l'esempio buffo che non poteva essere il prodotto di un'intelligenza divina. Ebbene, lo stesso argomento viene utilizzato dal teologo Ayala per scagionare Dio dalle accuse riguardo alle responsabilità per i mali del mondo. Così, se una volta si paragonava l'imperfezione umana alla perfezione divina per far risaltare che l'opera dell'uomo era troppo imperfetta a confronto con l'opera della creazione, oggi, paradossalmente, a confronto con l'imperfezione della selezione naturale, qualsiasi sperimentatore può pensare di cavarsela meglio, senza però offendere un Creatore "deresponsabilizzato". Ma ancora più paradossale è che realmente non esista nulla che crei imperfezioni, nulla che sia come il cattivo artigiano di Kuhn, perché, realmente, l'"ingegnere intelligente" e la "selezione naturale" sono soltanto delle metafore.

Ayala ha proposto di attribuire tutto alla selezione naturale per evitare che Dio venga incolpato dei mali del mondo, problematica tanto grave da aver creato la Teodicea. Ma è solo sulla propria parola che può assicurare quanto segue: "E' ragionevole interpretare la biogeografia, la distribuzione bizzarra degli organismi nel mondo, come il risultato della evoluzione anziché della capricciosità del Creatore".

Engels aveva parlato di capricci del caso che si rovescia nella cieca necessità, ossolvendo indirettamente Dio, ma soltanto perchè non lo prendeva neppure in considerazione. Invece, un teologo come Ayala, che presuppone il divino Creatore, non può usare l'argomentazione di Engels. Se lo fa, deve accettare di sentirsi domandare: ma che Dio è questo che lascia alla selezione naturale il compito di eliminare in maniera imperfetta e dispendiosa variazioni casuali di tutti i tipi: da quelle benefiche, più rare, a quelle nocive, più frequenti?

Passiamo ora a considerare altre due questioni che hanno sempre preoccupato la Teologia: si tratta dell'origine della specie umana e del suo corollario, la nascita della mente e dei suoi prodotti spirituali. Scrive Ayala: "Nel ventunesimo secolo, la biologia umana si trova a fronteggiare due grandi enigmi della ricerca: il passaggio dalla scimmia all'uomo e il passaggio dal cervello alla mente. Con "Passaggio dalla scimmia all'uomo", intendo il misterioso modo in cui una linea evolutiva di scimmie antropomorfe si è trasformata in una linea evolutiva di ominidi dai quali è emerso, dopo appena qualche milione di anni, un essere umano capace di pensare, amare, costruire società complesse e darsi valori etici, estetici e religiosi".

A parte questo benevolo, ma immeritato, ritratto delle capacità umane che non rende conto dei reali rapporti di una specie umana sempre divisa da lotte fratricide, dove i valori etici e religiosi, storicamente, sono serviti per lo più a giustificare ogni sorta di abominio, l'obiettivo specifico di Ayala è quello di ottenere dalla comunità scientifica il riconoscimento della creazione divina e della sua compatibilità con l'evoluzionismo darwiniano. Perciò egli cerca di rimanere sul terreno più proprio delle scienze naturali.

Così scrive: "Secondo alcune persone di fede cristiana, la differenza fondamentale tra uomo e scimmia è che il primo ha un'anima creata da Dio, la seconda no. Questa risposta religiosa e teologica al problema sarà forse giudicata soddisfacente da molti credenti, ma non è sufficiente dal punto di vista scientifico". E per coinvolgere la scienza, aggiunge: "Quando capiremo meglio le differenze biologiche tra esseri umani e scimmie, rimarrà indubbiamente molto spazio per le riflessioni filosofiche e per svariate questioni di grande interesse teologico. Semmai, la scienza rappresenta il punto di partenza per le intuizioni della teologia (!)".

In questa affermazione, che pone la conoscenza scientifica a fondamento delle intuizioni della Teologia, troviamo un totale capovolgimento della posizione espressa dai teologi al tempo del "caso Galileo", quando Osiander e Bellarmino negarono la reale conoscenza scientifica del creato. La vecchia teologia del Seicento avrebbe affermato che la credenza religiosa è l'unica certezza perché l'uomo non può conoscere la realtà del mondo creata da Dio, e perciò si deve accontentare dell'"ex suppositione".

Ora, come è possibile che sia accettato dalla Chiesa di Roma un simile capovolgimento teologico? Si potrebbe ipotizzare come giustificazione il fatto che oggi la teologia non deve più temere le spavalderie di un Galileo e l'ostinata pretesa di conoscere la realtà del cosmo, perché una cosa del genere sarebbe considerata naif, ossia realismo ingenuo, dalla comunità scientifica. Oggi, i teologi sanno molto bene che le scienze della natura sono convenzionali e fittizie, sono "libere creazioni della mente". Li disturba soltanto che alcuni scienziati si dichiarino atei o anche solo che mostrino scetticismo sulla creazione divina e sull'ordine della natura.

Potremmo anche aggiungere che i teologi non temono più alcuna conseguenza del vecchio problema della conoscenza reale, perché anche il capitalismo, che sopravvive grazie all'alta tecnologia, al "virtuale", all'"apparire", ai diversi "stili di vita", in una parola, alla "globalizzazione", non incoraggia affatto l'interesse verso la conoscenza reale: meglio una reale ignoranza e molta ingenuità per fare affari proficui con le nuove tecnologie informatiche. Insomma, se Ayala si mostra molto più compiacente di altri teologi del passato, ma anche del presente, riguardo alla scienza, è perché sembra dire: questa scienza è oggi sufficientemente convenzionale e fittizia da permettere di accettarla e persino di condizionarla con qualche contributo teologico a favore della fede nella creazione.

E ancora: ciò che, oggi, i teologi temono di più sono le conseguenze negative della secolarizzazione e del relativismo sulla fede religiosa. Così, per rendere malleabile la scienza là dove il pluralismo relativistico minaccia di favorire ateismo e scetticismo, occorre qualcosa di nuovo: ad esempio una nuova minaccia. Come abbiamo già osservato, l'Intelligence Design, tentando di togliere ogni credito alla biologia, persino quel poco che le è rimasto dell'evoluzionismo darwiniano, ha aperto indirettamente la strada ai teologi concilianti e mediatori come Ayala. Anzi, quest'ultimo ha preso la palla al balzo per lanciarla contro i miscredenti materialisti. E lo ha fatto con un escamotage astuto: accomunare creazionisti e materialisti come "compagni di strada", in quanto assertori della "incompatibilità tra l'evoluzione e il Dio Creatore"

Così, il Disegno Intelligente serve a colpire chi oggi pensa che Dio non c'entri nulla né con l'evoluzione né, soprattutto, con la creazione. Infatti, con il pretesto di combattere l'I.D., ostile alla scienza e all'evoluzionismo, il teologo Ayala ha creato un utile precedente che stabilisce: buona scienza è quella che si guarda dal negare la creazione divina, altrimenti è cattiva scienza e incappa nell'accusa di correità con l'I.D.

Nel contempo l'intelligente teologo (che ha creato questo precedente, per così dire, giuridico) appare un progressista sulla base dell'assunto che l'evoluzione per selezione naturale è buona scienza. Perciò non c'è incompatibilità tra la fede nel creatore e la teoria della evoluzione (con un particolare compiacimento nei confronti di una selezione naturale che si fa carico di tutti i mali del mondo, assolvendo il Divino Creatore e mandando in soffitta la teodicea).

Ma, nonostante il fine e intelligente stratagemma, la teologia si ritrova però, sempre, con due domande senza risposta, ossia senza soluzione: 1) perché Dio ha abbandonato l'evoluzione a un "meccanismo" così imperfetto come la selezione naturale? 2) E quando è intervenuto a compiere il miracolo della trasformazione del bruto in uomo?

Per risolvere il secondo quesito non ci si può accontentare di citare un altro raffinato teologo che, nel lontano 1885, in una sua opera, utilizzò il seguente argomento: "Accettiamo il principio della evoluzione , ma la consideriamo il metodo dell'intelletto divino". Metodo che credeva di poter illustrare ricorrendo al miracolo delle "nozze di cana": "Come il vino del miracolo non era acqua per il fatto di essere stato creato dall'acqua, così l'uomo non è un bruto per il fatto che il bruto ha contribuito alla sua creazione".

Ma la comprensione del problema relativo alla creazione divina ha bisogno di argomenti più consistenti. Uno di questi è il tempo reale che avrebbe richiesto la creazione della materia, della vita e infine dell'uomo. L'era cristiana, ossia da quando Dio si sarebbe rivelato mediante il figlio Gesù, ha superato di poco i 2000 anni d'età, molto pochi se paragonati all'età dell'uomo sapiens (circa 200.000 anni) e ai milioni di anni dell'ominide.

Ci si potrebbe chiedere le ragioni di una simile lentezza, di un così lungo ristagno nell'incoscienza degli antenati dell'uomo, soprattutto se consideriamo altre età: quella dell'universo, circa 13,7 miliardi di anni, quella dell'inizio della vita sulla Terra, circa 3,5 miliardi di anni. E, a seguire, l'età della vita pluricellulare, poco oltre 500 milioni di anni, la durata dei dinosauri che hanno preceduto i mammiferi, altri 200 milioni di anni. Infine, i primati, con un'età di pochi milioni di anni. Quanto all'uomo, il suo tempo è il più recente (centinaia di migliaia di anni). Allora, che cosa dovremmo pensare della creazione divina dell'uomo a propria immagine e somiglianza?

Per concludere, non ci rimane che la questione del materialismo. C'è una posizione materialista espressa dall'evoluzionista Douglas Futuyma che non piace ad Ayala, perché scombina la sua concezione conciliatrice tra religione e scienza. Futuyama sostiene: "Coniugando una variazione priva di direzione e di scopo con il processo cieco e indifferente della selezione naturale, Darwin ha reso superflue le spiegazioni teologiche e spirituali del processi biologici. La teoria dell'evoluzione di Darwin... rappresentava un vero e proprio caposaldo della piattaforma meccanicistica e materialistica".

Futuyma compie il vecchio errore del materialismo meccanicistico metafisico, ma Ayala non lo corregge su questo punto, perché vede soltanto l'abominevole materialismo contro il quale mette alla prova il suo "precedente giuridico": ossia, l'equiparazione dei creazionisti ai materialisti come "compagni di strada". E lo fa, non senza una malcelata stizza: "Questi biologi -scrive- hanno tutto il diritto di pensare come credono, ma non hanno il diritto (!) di affermare che la loro filosofia materialistica si fonda sui risultati della scienza. E' paradossale, ma di fatto essi portano acqua al mulino del neocreazionismo dell'ID, secondo il quale la scienza è intrinsecamente materialistica, e condividono l'dea creazionistica che la scienza faccia asserzioni in merito a questioni di valore, scopo e significato".

Insomma, per Ayala, buona scienza è quella che accetta non solo la creazione del divino Creatore, ma anche il suo corollario: che le questioni di valore, scopo e significato appartengono alla teologia, in questo modo ribadendo la pretesa di sempre, frutto del vecchio patto di potere: a Dio la teoria scientifica, a mammona la pratica tecnologica. E agli scienziati? I premi Nobel (e, da un pò di tempo, cospicui finanziamenti per le loro ricerche sperimentali). Ciò che però il teologo, nella sua pretesa, non vuole comprendere è che se la scienza attuale (che già se la passa male) ufficializzasse la creazione divina, di fatto, cesserebbe di essere, almeno formalmente, una scienza indipendente, per divenire una branca della teologia, a fianco della teodicea ad esempio.

Non ci resta che leggere le conclusioni di Ayala: "Secondo la teoria dell'evoluzione, il caso e la necessità sono imprigionati insieme nella materia della vita; la casualità e il determinismo sono interconnessi (?!) in un processo naturale che ha dato origine alle entità più complesse, diversificate e mirabili dell'universo: gli organismi che popolano la terra, tra cui gli esseri umani capaci di pensiero, amore, libero arbitrio, e creatività, e in grado di analizzare lo stesso processo creativo da cui hanno tratto origine. Che esista un processo creativo non conscio, in natura, è la scoperta più importante di Darwin. E la rivoluzione di pensiero da lui innescata è che il "disegno" degli organismi viventi sia solo la conseguenza dei processi naturali governati da leggi naturali. E' una concezione di capitale importanza, in seguito alla quale l'umanità ha cambiato per sempre il suo modo di percepire se stessa e il suo posto nell'universo".

Questo brano che chiude il libro sembra quasi scritto da un laico molto giudizioso, che si guarda bene dal citare la creazione e il suo preteso autore. Il teologo, qui, si è mimetizzato molto bene; peccato, però, che il brano conclusivo, appena citato, sia preceduto dal seguente passo di tutt'altro tenore: "I credenti possono vedere la presenza di Dio nei fenomeni della natura e nei poteri creativi della selezione naturale, che furono riconosciuti per la prima volta da Darwin. Come lui stesso ebbe a osservare: "vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita"."

Resta, comunque, una domanda che continua a rimanere sempre senza risposta: perché il divino creatore avrebbe dovuto utilizzare un meccanismo così imperfetto, inefficiente e, soprattutto, dispendioso, crudele e distruttivo come la selezione naturale scoperta da Darwin?


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