martedì 16 agosto 2016

Un'intervista significativa riguardo al mondo della PNEI

 Si tratta dell'intervista di Stefano Lorenzetti a Enzo Soresi del 15-08-2008


"Dopo una vita passata a dissezionare cadaveri, a curare tumori polmonari, a combattere tubercolosi, bronchiti croniche, asme, danni da fumo, il professor Enzo Soresi, 70 anni, tisiologo, anatomopatologo e oncologo, primario emerito di pneumologia al Niguarda di Milano, ha finalmente individuato con certezza l’epicentro di tutte le malattie: il cervello. Negli ultimi dieci anni, cioè da quando ha lasciato l’ospedale per dedicarsi alla libera professione e tuffarsi con l’entusiasmo del neofita negli studi di neurobiologia, ha maturato la convinzione che sia proprio qui, nell’encefalo, l’interruttore in grado di accendere e spegnere le patologie non solo psichiche ma anche fisiche.

La posizione di Soresi è ritenere che esista un interruttore nell'encefalo che può determinare l'accensione o lo spegnimento delle patologie. Ma, da medico, incontra singoli casi umani che deve risolvere. Non accettando l'idea di operare sul caso, pretendendo lavorare sulla necessità, che cosa fa? Parla di combinazioni di fattori, mentre si tratta semplicemente di combinazioni di circostanze singole casuali. Chi scrive ritiene che non esistano interruttori in una dinamica multipla e ciecamente necessaria, nella quale il caso prevale sul singolo individuo e la necessità è, perciò, cieca.

Vale ugualmente la pena di seguire l'intervista a Soresi

L'intervistatore scrive: "C’era già arrivato per intuizione il filosofo ateniese Antifone, avversario di Socrate, nel V secolo avanti Cristo: «In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto». Soresi c’è arrivato, dopo aver visto gente ammalarsi o guarire con la sola forza del pensiero.

Ad avviso di chi scrive, questo è ciò che appare all'esterno, ma appare soltanto come rarità statistica. In parole povere, chi rifiuta la sua malattia o la maledice o la supplica di andarsene via, oppure fa gli scongiuri, ecc. Ma supponiamo che, per un caso eccezionale, un malato guarisca, appunto, come eccezione statistica, dopo una notte nella quale ha sognato... qualcosa di inerente la guarigione stessa. Che cosa dedurne? Nulla di più, appunto, di un caso eccezionale.

Ma vediamo quest'altro aspetto. Soresi afferma, nell'intervista, che "Le premesse della longevità sono due: camminare 40 minuti tre volte la settimana - altrimenti si blocca il ricambio delle cellule e non si libera un fattore di accrescimento, il Bdnf, che nutre il cervello - e studiare».

Il fatto che camminare faccia bene è nella natura bipede dell'uomo; il fatto che lo studio faccia bene è perché aiuta il pensiero, la memoria e la riflessione: insomma, tiene in allenamento un organo fondamentale, ma ci sono altri organi, muscoli, tendini ecc. che andrebbero tenuti di riguardo e allenati. E queste sono belle intenzioni che, però, non tengono presente la problematica esistenza individuale, soggetta ai casi della vita che possono ostacolare le buone intenzioni. Anche l'autore di queste note parla qui per esperienza personale.

Rispondendo a una domanda dell'intervistatore, Soresi arriva a sostenere, ma giustamente solo in parte, che la medicina non è una vera scienza. Solo in parte perché non è vera scienza quando pretende di risolvere malattie che si manifestano soltanto singolarmente, sia come sintomi, che come diagnosi e come decorso. E', invece, più facilmente vera scienza quando le malattie si manifestano complessivamente, come ad esempio le malattie virali.

Soresi cita molti singoli esempi, sotto l'effetto della propria sensibilità e sofferenza personale di medico che non ha potuto salvare tutti i malati, a cominciare dalla sua giovane moglie, e ha cercato perciò di trovare delle spiegazioni. La stranezza è che tra i molti pazienti incontrati nella sua lunga carriera lo abbiano colpito -e quindi egli citi- solo quei rari casi di individui che hanno trovato personalmente soluzioni eccezionali, spesso anche assurde e contro ogni logica.

Quella di Soresi è, però, pur sempre una posizione deterministica, talvolta mistica, perchè cita singoli episodi, lasciando aperta la porta a ogni spiegazione. Ma mai che prenda in considerazione il caso in quanto tale. Magari sono stranezze eccezionali, ma le attribuisce sempre al paziente che le ha utilizzate e dunque determinate.

Mi limito a citare il seguente caso: «Avevo un paziente affetto da asma, ossessivo nel riferire i sintomi. Più gli davo terapie, più peggiorava. Torna dopo tre mesi: “Sono guarito”. Gli dico: senta, non abbassi la guardia, perché dall’asma non si guarisce. “No, no”, risponde lui, “avevo il malocchio e una fattucchiera del mio paese me l’ha tolto infilandomi gli spilloni nel materasso”. La manderei da un esperto in malocchi, replico io. E riesco a spedirlo dallo psichiatra Tullio Gasperoni. Il quale accerta che il paziente era in delirio psicotico. Conclusione: da delirante stava bene, da presunto normale gli tornava l’asma».

Ora, possiamo dare una spiegazione determinista o solo logica a questo fatto? Possiamo farlo? Senz'altro no! L'unica spiegazione è il caso individuale. E il mondo dei casi individuali è infinito. Finito è solo il rovesciamento degli infiniti casi singoli nella cieca necessità dei complessi sociali.

Riguardo all'effetto placebo dei farmaci... anche quelli finti, Soresi sostiene nell'intervista: «L’effetto placebo arriva a rispondere fino al 60% nel far scomparire un sintomo. Noi medici non possiamo sfruttarlo, altrimenti diventerebbe un inganno. Ma esiste anche l’effetto nocebo". Citando un episodio, ammette che uno stress violento possa abbassare le difese immunitarie, ma non è così per tutti e in tutte le circostanze. Si potrebbe dire "est modus in rebus", ma spesso noi non conosciamo né il modus, né il ... rebus.

Ricorda Soresi: "Una cara amica con bronchiettasie bilaterali. Antibiotici su antibiotici. Qual era il movente? Non andava più d’accordo col marito. Per due anni non la vedo. La cerco al telefono: “Enzo, mi sono separata, vado in chiesa tutte le mattine, sto bene”. L’assetto psichico stabilizzato le ha consentito di ritrovare la salute. Continuo?».

Insomma, Soresi continua, in effetti, a citare singoli esempi, per dimostrare che cosa? che ciascuno trova una sua via, trova dei suoi modi personali, tra le diverse possibilità che incontra, modi che lo conducono talvolta -come nei singoli casi citati- a compromessi anche strani che permettono però di continuare a vivere... Modi che avevano riguardato anche lo stesso Soresi di persona con la drammatica esperienza della morte della giovane moglie per un tumore incurabile. Infine, modi utilizzati anche dall'autore di questo blog nei suoi momenti più difficili.

Per concludere queste brevi considerazioni è interessante leggere la risposta di Soresi alla seguente domanda dell'intervistatore: "I miracoli secondo lei che cosa sono? Eventi soprannaturali o costruzioni del cervello?"

Vediamo la risposta: «Io sono per un pensiero laico. Credo nella forza della parola. Se noi due ci parliamo, piano piano modifichiamo il nostro assetto biologico, perché la parola è un farmaco, la relazione è un farmaco. Di sicuro credere fa bene. Un gioielliere milanese mi portò la madre, colpita da metastasi epatiche. Potei prescriverle soltanto la morfina per attenuare il dolore. La compagna brasiliana di quest’uomo si chiama Maria di Lourdes e ha una sorella monaca in una congregazione religiosa che nella foresta amazzonica prega a distanza per le guarigioni. Maria di Lourdes telefonò al suo uomo dal Brasile: “Di’ alla mamma che le suore pregheranno per lei all’ora X del giorno X”. Da quel preciso istante la paziente oncologica, che prima urlava per il dolore, non soffrì più».

Insomma, qui il buon senso del medico prevale su ogni altra considerazione. Se fossi un medico, anch'io sarei per favorire la fede se questa fosse in grado di migliorare la salute di un malato o gli addolcisse la fine della vita, ma come studioso che ha dedicato quasi tutta la sua vita cosciente alla ricerca della verità, posso solo affermare che la dialettica caso-necessità, anche se opposta diametralmente alla fede, rappresenta la teoria che più chiarisce le idee alla specie umana. E mi fermo qui ribadendo ciò che ho affermato nel primo post: la PNEI ha posto il problema ma non lo può risolvere, perché soltanto la dialettica caso-necessità può farlo, accettando i limiti naturali della specie umana.

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