"L'indagine sulla "Globalizzazione"* ha tentato di stabilire i fondamenti della fase senescente del capitalismo che nulla hanno a che vedere né con la volontà dei singoli individui né con le scelte di governi, di partiti politici, organizzazioni sociali, ecc., né con le scelte di organizzazioni sovranazionali e di superpotenze. Da troppo tempo economisti, sociologi e storici respingono l'indagine della necessità per osservare le molteplici manifestazioni del caso, ribattezzato con l'encomiabile nome di "pluralismo". Preferendo correre dietro al caso adulando il pluralismo, economisti, sociologi e storici dell'epoca della globalizzazione tralasciano la necessità, credendo così di poter respingere ogni obbligo nei confronti della cieca necessità complessiva a favore di una illusoria libertà individuale.
Nell'indagine svolta in questo volume è stata rovesciata questa concezione capovolta della realtà della società umana, ponendo in primo piano la necessità del processo capitalistico complessivo e delle sue conseguenze sull'intero complesso della specie umana divisa in classi, popoli, nazioni, religioni, ecc. e in due tipi di società contrapposte: quella della opulenza e quella della penuria. Abbiamo, così, potuto dimostrare che la necessità, analizzabile scientificamente, riguarda l'economia capitalistica che ha assunto il nome di "Globalizzazione", termine che pretende ringiovanire il capitalismo senescente. E', infatti, la cieca necessità della senescenza capitalistica che abbiamo indagato dimostrando che il caso, l'arbitrio, la soggettività della pratica politica (nazionale e sovranazionale) sono semplicemente conseguenze dell'impossibile teoria scientifica in campi quali la politica del marketing, la politica monetaria e bancaria, la politica energetica, la politica militare, ma ancor prima la giurisprudenza nazionale e internazionale, infine l'etica.
La dialettica caso-necessità nella storia umana dell'epoca capitalistica si è sempre manifestata nel seguente modo: la cieca necessità del complesso economico del capitale, rovesciamento dialettico del caso relativo ai suoi singoli elementi costituenti, s'impone alla lunga travolgendo ogni ostacolo posto sulla sua strada da pratiche politiche che rappresentano soltanto l'illusione di poter correggere ora questa ora quella tendenza di fondo che, invece, sono ciecamente necessarie. Inevitabilmente, l'indagine sviluppata in questo volume ha dovuto porre a confronto queste due sfere opposte: 1) la sfera delle tendenze economiche necessarie che ciecamente s'impongono nel lungo periodo, 2) la sfera delle controtendenze create dalle incerte e arbitrarie politiche di una specie umana divisa.
Và da sé che questa contraddizione reale è prodotta e sostenuta dalla divisione della specie umana: divisione, della quale unico e vero responsabile è da secoli il modo di produzione capitalistico, e non questa o quella potenza economica, politica e militare. L'esistenza delle superpotenze, e da tempo della superpotenza egemone americana, è solo il riflesso politico del capitalismo ormai giunto alla sua fase finale: è la sua fase finale che ha prodotto ciecamente la superpotenza egemone USA, non viceversa. Perciò non sono i libri "neri" contro le "nefandezze" della Cia o gli anatemi contro lo "strapotere" americano, ecc. che possono svelare l'essenza della "globalizzazione". Al contrario, è l'indagine sulla "globalizzazione" che permette oggi di comprendere il cieco risultato della superpotenza egemone USA, così come ieri solo l'indagine sulla fase senile del capitalismo ha permesso la comprensione del Sistema di Stati imperialistici e di due guerre mondiali per l'egemonia.
In definitiva, è stata l'indagine sulla "globalizzazione" che ha permesso di individuare lo sbocco finale di un capitalismo che ormai ha attraversato tutti gli stadi della sua evoluzione: nascita, infanzia, giovinezza, maturità, senilità e senescenza, e che ha permesso di valutare il ruolo della superpotenza americana, che si è trovata egemone proprio in quest'ultima fase del capitalismo.
Il 2000 si è aperto con la "globalizzazione" in piena. La piena della globalizzazione ha potuto rompere gli argini della arretratezza in Asia: prima la Cina, poi l'India -per nominare soltanto i due paesi che demograficamente ospitano 1/3 della specie umana- sono entrate nel nuovo millennio con uno sviluppo impetuoso e inarrestabile. Insieme già fanno parlare gli analisti come di una nuova entità, denominata Cindia, che supererà economicamente ogni altra entità regionale quale gli USA e la UE.
Se la "globalizzazione" è iniziata nell'era americana, è stata talmente indipendente nella sua tendenza di fondo da creare un'entità continentale asiatica che presto o tardi rimetterà in discussione l'egemonia del continente nordamericano: c'è già chi parla di questo secolo come del secolo cinese o cindiano. Ma queste conclusioni di analisti, che guardano troppo verso l'alto alle sovrastrutture statali e alle relazioni internazionali, e troppo poco verso il basso, ai fondamenti del capitalismo senescente, sono arbitrarie perché presuppongono l'immortalità del capitalismo.
Ora, in qualunque forma si manifesterà il prossimo confronto tra superpotenze per l'egemonia, si può solo prevedere che i principali pilastri di questo confronto saranno gli Stati Uniti e la Cina (o Cindia). Ciò che però non si può prevedere è 1) se il futuro vedrà la continuazione della vecchia egemonia americana oppure la sua sostituzione con una nuova egemonia -ovvero se l'Oriente sostituirà l'Occidente nella guida del capitalismo mondiale, 2) se questo confronto scaverà definitivamente la fossa al capitalismo senescente: in altre parole, se potremmo già iscrivere a futura memoria sulla lapide del capitalismo: qui giace, spirato sul letto di morte della "globalizzazione".
In definitiva, l'ultima domanda che possiamo porci, e alla quale soltanto la storia reale, con i suoi tempi, potrà dare la sua risposta definitiva, è la seguente: lo sviluppo di Cina o Cindia rappresenterà nuova linfa vitale per il capitalismo senescente, oppure come un tumore ne accelererà la fine?
* Tratto da "La fase senescente del capitalismo chiamata Globalizzazione" (2005-2007)
Post scriptum di fine anno 2016
Con quell'ultima domanda si chiudeva il libro sulla "Globalizzazione". Ne sono passati di anni da allora. Nel frattempo, si può aggiungere quanto segue: la Cina ha superato la quota di produzione mondiale degli USA; la UE fatica a integrare gli Stati nazionali europei, ma conferma il ruolo guida della Germania. Infine, la novità principale è che, nonostante il silenzio sull'argomento, il centro del potere economico e politico mondiale sta slittando verso l'Eurasia.
L'ipotesi, che adesso accenneremo soltanto, sembra proprio la storia del re nudo che solo il bambino della favola poteva permettersi di svelare. Consideratemi come quel bambino, che afferma la seguente verità: l'egemonia mondiale è ormai una faccenda di continenti: di fronte stanno il continente americano e il continente eurasiatico. Nel continente americano gli USA, ancora egemoni nel mondo, sono però circondati da Stati satelliti deboli. Nel continente eurasiatico, non ancora egemone, ci sono diversi Stati per nulla deboli, però separati tra loro da una linea di faglia costeggiata da due Stati particolari: Russia e Turchia, che sembrano posti lì proprio per garantire un confine invalicabile, così da mantenere la divisione dell'Eurasia in due aree geopolitiche distinte: UE in Europa, Cindia in Asia.
Per concludere, solo Papa Francesco, per ora, ha evocato l'inizio della 3° guerra mondiale. Ma nessuno ha ancora sottolineato -eccetto l'autodidatta in questo momento- che l'inizio di questa guerra si sta già manifestando proprio sulla linea di faglia che separa geologicamente e geograficamente l'Europa dall'Asia. Perciò le attuali e future manifestazioni militari della terza guerra mondiale riguarderanno quella che possiamo considerare la linea di faglia del continente eurasiatico, comprese le sue propaggini nel Medio Oriente e nel restante nord petrolifero del continente africano.
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