Come risposta al quesito posto da un lettore di questo blog riprendiamo, da "Una finestra sul mondo della PNEI", le seguenti riflessioni, interpretate alla luce della dialettica caso-necessità: "La PNEI di per sè non pone più attenzione alla mente rispetto al corpo o viceversa, ma utilizzando i principi propri dell'epistemologia empirica del metodo scientifico si sforza di chiarificare quelle connessioni che rendono sistema nervoso, mente, immunità e regolazione ormonale un unico e complesso sistema di controllo omeostatico dell'individuo". Potremmo dire che la PNEI affronta lo studio della persona umana singola in maniera olistica, ossia come un complesso, come un tutto. Ma lo fa incontrando, ovviamente, grosse difficoltà dal punto di vista della comprensione di qualcosa che può obbedire soltanto alla dialettica caso-necessità.
"Come sostiene Ader nella Prefazione alla IV edizione di Psychoneuroimmunology, Elsevier Academic Press 2007, i confini tra le varie discipline hanno principalmente motivi storico-politici che possono condurre ad una frammentazione del sapere scientifico. Werner K. Heisenberg (1901-1976) sosteneva che i fenomeni da noi osservati non sono la natura stessa, ma la natura esposta al nostro approccio e metodo investigativo. In altre parole, il metodo con cui il ricercatore approccia la natura (ossia il fenomeno naturale) condiziona in un certo qualmodo i risultati stessi dell'indagine.
La parcellizzazione dei campi d'indagine ha condotto ad una visione spesso unilaterale delle ricerche scientifiche, con obiettivi iperfocalizzati su una specifica dinamica biomolecolare, sostenuta ed enfatizzata da ingenti contributi economici (che rischiano di aggiungere ulteriore parzialità agli esiti della ricerca). Di conseguenza, oggi ci troviamo di fronte ad una mole immensa di pubblicazioni scientifiche il cui peso specifico è tutt'altro che chiaro".
E' vero: da tempo esiste questo problema nella scienza sperimentale, risultato negativo di una mole enorme di studi riduzionistici. Perciò, è comprensibile che la PNEI contrapponga l'olismo al riduzionismo della ricerca sperimentale. Anche se siamo ancora lontani dalla soluzione dialettica caso-necessità, siamo, però, più vicini ad essa. Ovviamente, negli studi di un autodidatta delle principali scienze umane, la dialettica caso-necessità ha privilegiato quei temi che mostravano chiaramente l'incomprensione del determinismo riduzionistico riguardo al rovesciamento dialettico dei singoli elementi casuali nel loro complesso necessario.
"Come già accennato, una visione realistica della PNEI attualmente ci pone di fronte a diverse correnti di pensiero se non addirittura a dottrine con impalcature filosofico-scientifiche abbastanza differenti". "Se da un punto di vista meramente scientifico la PNEI è nata per fare sintesi delle tante ricerche che si sono svolte in maniera indipendente su immunità, psiche, neurochimica, biochimica umana ed endocrinologia, dall'altro lato si può intuire che ogni sintesi di tal tipo risentirà delle concezioni fondamentali alla base del fenomeno uomo".
Il problema, però, è un altro: è l'obiettivo complessivo che è irraggiungibile, perché non si possono determinare i singoli numerosi elementi casuali di un complesso, quale, ad esempio, la vita dell'individuo, che è a sua volta singolo elemento casuale del complesso necessario: la specie umana.
"Inoltre le rispettive discipline (psicologia-neurologia-endocrinologia-immunologia) con tutti i rispettivi sottoinsiemi d'indagine (ognuna di tali discipline può essere indagata sotto molteplici punti di vista, fra cui: fisiologico, clinico, intercellulare, intracellulare, genetico, proteomico, trascrittomico, metabolomico, ecc...) hanno avuto e hanno tutt'ora uno sviluppo abbastanza disomogeneo. In altre parole, le varie discipline si sono evolute non alla stessa velocità e con implicazioni molto differenti".
Ad avviso dell'autodidatta, questa è una conseguenza della mancata consapevolezza della dialettica caso-necessità. Ogni disciplina sopra elencata altro non è che il tentativo fallimentare di determinare qualcosa di indeterminabile. E se così non fosse la specie umana, trascorso un secolo, avrebbe già dovuto trovare l'elisir di una lunga vita sana, invece di arrabattarsi tra pillole, punture, operazioni e via dicendo, soprattutto per quelle malattie difficilmente gestibili perché specifiche di singoli individui ognuno diverso dall'altro.
Invece, i grandi successi della medicina contro le epidemie, storicamente a cominciare dal vaiolo, sono dovuti al fatto che si trattava di malattie soggette a microbi che colpiscono i complessi umani, per curare le quali è spesso sufficiente stabilire una dose unica di medicinale generalizzata a tutti. Malattie, invece, che colpiscano i singoli, più o meno necessariamente e con diverse frequenze statistiche, sono difficilmente gestibili.
E, infatti, "se nel campo dell'endocrinologia la scoperta dell'insulina nel 1921 da parte di Frederick Grant Banting (1891-1941) e Charles Herbert Best (1899-1978) ha permesso il trattamento del diabete mellito insulino-dipendente, nel campo della psicopatologia siamo ancora alquanto lontani da una terapia capace di risolvere i comuni disturbi psichiatrici (depressione, ansia, mania, ecc...). Questo, ben lungi dallo scoraggiarci, mostra come la complessità sia differente di grado e qualità a seconda che ci muoviamo sul continuum psiconeuroendocrinoimmunologico in un senso o in un altro".
Qui non si tratta di scoraggiamento, ma di aver chiara la situazione: là dove la materia da indagare e risolvere è costituita di molteplici singoli elementi, che solo nel loro complesso producono conseguenze statistiche ciecamente necessarie, si può auspicare di trovare metodi che riguardino la statistica complessiva, perché la certezza del risultato singolo, individuale, sarà sempre impossibile.
Negli ospedali dovrebbe essere chiara la consapevolezza del personale medico riguardo ai singoli pazienti sempre soggetti al caso, mentre nel loro complesso appartengono a determinate frequenze statistiche di sopravvivenza e mortalità. Allora, occorre conoscere le statistiche della "salvezza complessiva", anche se esse valgono nel loro complesso e per l'insieme degli ospedali. Infine, quando un paziente entra in un ospedale può solo affidarsi al caso, ovvero agli infiniti eventi casuali individuali che lo possono riguardare.
Passiamo a un altro argomento: "Le neuroscienze, per quanto si stiano evolvendo rapidamente grazie a tecniche sempre più raffinate, capaci di mostrarci un quadro funzionale in tempo reale dell'attivazione cerebrale (fRMI, PET, SPECT, magnetoencefalografia, spettrografia ad infrarossi, ecc...), sono tuttora in una fase embrionale per quanto concerne l'effettiva comprensione dei processi mentali. I rischi che può correre l'approccio PNEI sono fondamentalmente due: da un lato la focalizzazione riduzionista sul versante biologico (la mente prodotto del corpo), dall'altro lo scadimento in una sorta di psicobiologia quasi esoterica imperniata sui grossi contributi delle filosofie orientali (yinyang, teorie dei meridiani, dei 5 elementi, punti energetici, ecc... comprese pratiche trascendentali, di meditazione e di autocoscienza). Nel primo caso il rischio è la negazione della mente come realtà che agisce e opera sul corpo (e allora sarebbe più giusto parlare di neuroimmunoendocrinologia); nel secondo caso il rischio è la negazione del corpo come realtà dotata di meccanismi e proprietà chimico-fisiche autonome che possono anche prescindere dalla mente. Nelle derive biofilosofiche diventa anche molto difficile, se non impossibile, applicare l'epistemologia propria delle scienze naturali poichè si genera un sincretismo di concetti fisici e metafisici".
Ma queste non sono altro che le complicate conseguenze di un approccio deterministico riduzionistico che dovrà, prima o poi, essere sostuito dall'approccio dialettico caso-necessità, pena lo scadimento o nell'anarchia fondata sul caso o nel solito fallimentare riduzionismo.
Concludiamo con le seguenti citazioni:
"La medicina olistica, in cui spesso viene inquadrata anche la PNEI, cerca di venire incontro ai disturbi dei pazienti considerando anche i bisogni spirituali della persona, oltre che ad aprirsi ad aree di cura cosidette non convenzionali (omeopatia, omotossicologia, agopuntura, osteopatia, riflessologia, ecc... ma anche yoga, aromaterapia, cristalloterapia, dietoterapie specifiche, meditazione di vari orientamenti, ecc...). Se tutto ciò non ha nulla da eccepire in un rapporto di care giving tra un curante e un paziente, pone certamente grossi problemi nel campo dell'epistemologia scientifica. Quando parliamo di chakra, flussi energetici, corpo fisico e corpo sottile, meridiani, chi, yinyang, shen e molti altri concetti derivati dalle tradizioni orientali ci addentriamo in una serie di sistemi filosofici decisamente complessi, paragonabili alle tradizioni filosofiche e religiose occidentali. Cercare di estrapolare alcune pratiche a fini di ricerca per la salute individuale sarebbe come studiare l'efficacia della recita del rosario su un campione di pazienti; ciò implica però già in partenza delle differenze tra i pazienti che ci credono davvero e quelli che non ci credono. Molti di tali studi comunque sono già stati condotti, con esiti discordanti, come viene descritto nelle opere di Harold G. Koenig (1951-vivente), fra cui The link between Religion and Health - Psychoneuroimmunology and the Faith Factor, Oxford University Press, 2002".
E' vero: da tempo esiste questo problema nella scienza sperimentale, risultato negativo di una mole enorme di studi riduzionistici. Perciò, è comprensibile che la PNEI contrapponga l'olismo al riduzionismo della ricerca sperimentale. Anche se siamo ancora lontani dalla soluzione dialettica caso-necessità, siamo, però, più vicini ad essa. Ovviamente, negli studi di un autodidatta delle principali scienze umane, la dialettica caso-necessità ha privilegiato quei temi che mostravano chiaramente l'incomprensione del determinismo riduzionistico riguardo al rovesciamento dialettico dei singoli elementi casuali nel loro complesso necessario.
"Come già accennato, una visione realistica della PNEI attualmente ci pone di fronte a diverse correnti di pensiero se non addirittura a dottrine con impalcature filosofico-scientifiche abbastanza differenti". "Se da un punto di vista meramente scientifico la PNEI è nata per fare sintesi delle tante ricerche che si sono svolte in maniera indipendente su immunità, psiche, neurochimica, biochimica umana ed endocrinologia, dall'altro lato si può intuire che ogni sintesi di tal tipo risentirà delle concezioni fondamentali alla base del fenomeno uomo".
Il problema, però, è un altro: è l'obiettivo complessivo che è irraggiungibile, perché non si possono determinare i singoli numerosi elementi casuali di un complesso, quale, ad esempio, la vita dell'individuo, che è a sua volta singolo elemento casuale del complesso necessario: la specie umana.
"Inoltre le rispettive discipline (psicologia-neurologia-endocrinologia-immunologia) con tutti i rispettivi sottoinsiemi d'indagine (ognuna di tali discipline può essere indagata sotto molteplici punti di vista, fra cui: fisiologico, clinico, intercellulare, intracellulare, genetico, proteomico, trascrittomico, metabolomico, ecc...) hanno avuto e hanno tutt'ora uno sviluppo abbastanza disomogeneo. In altre parole, le varie discipline si sono evolute non alla stessa velocità e con implicazioni molto differenti".
Ad avviso dell'autodidatta, questa è una conseguenza della mancata consapevolezza della dialettica caso-necessità. Ogni disciplina sopra elencata altro non è che il tentativo fallimentare di determinare qualcosa di indeterminabile. E se così non fosse la specie umana, trascorso un secolo, avrebbe già dovuto trovare l'elisir di una lunga vita sana, invece di arrabattarsi tra pillole, punture, operazioni e via dicendo, soprattutto per quelle malattie difficilmente gestibili perché specifiche di singoli individui ognuno diverso dall'altro.
Invece, i grandi successi della medicina contro le epidemie, storicamente a cominciare dal vaiolo, sono dovuti al fatto che si trattava di malattie soggette a microbi che colpiscono i complessi umani, per curare le quali è spesso sufficiente stabilire una dose unica di medicinale generalizzata a tutti. Malattie, invece, che colpiscano i singoli, più o meno necessariamente e con diverse frequenze statistiche, sono difficilmente gestibili.
E, infatti, "se nel campo dell'endocrinologia la scoperta dell'insulina nel 1921 da parte di Frederick Grant Banting (1891-1941) e Charles Herbert Best (1899-1978) ha permesso il trattamento del diabete mellito insulino-dipendente, nel campo della psicopatologia siamo ancora alquanto lontani da una terapia capace di risolvere i comuni disturbi psichiatrici (depressione, ansia, mania, ecc...). Questo, ben lungi dallo scoraggiarci, mostra come la complessità sia differente di grado e qualità a seconda che ci muoviamo sul continuum psiconeuroendocrinoimmunologico in un senso o in un altro".
Qui non si tratta di scoraggiamento, ma di aver chiara la situazione: là dove la materia da indagare e risolvere è costituita di molteplici singoli elementi, che solo nel loro complesso producono conseguenze statistiche ciecamente necessarie, si può auspicare di trovare metodi che riguardino la statistica complessiva, perché la certezza del risultato singolo, individuale, sarà sempre impossibile.
Negli ospedali dovrebbe essere chiara la consapevolezza del personale medico riguardo ai singoli pazienti sempre soggetti al caso, mentre nel loro complesso appartengono a determinate frequenze statistiche di sopravvivenza e mortalità. Allora, occorre conoscere le statistiche della "salvezza complessiva", anche se esse valgono nel loro complesso e per l'insieme degli ospedali. Infine, quando un paziente entra in un ospedale può solo affidarsi al caso, ovvero agli infiniti eventi casuali individuali che lo possono riguardare.
Passiamo a un altro argomento: "Le neuroscienze, per quanto si stiano evolvendo rapidamente grazie a tecniche sempre più raffinate, capaci di mostrarci un quadro funzionale in tempo reale dell'attivazione cerebrale (fRMI, PET, SPECT, magnetoencefalografia, spettrografia ad infrarossi, ecc...), sono tuttora in una fase embrionale per quanto concerne l'effettiva comprensione dei processi mentali. I rischi che può correre l'approccio PNEI sono fondamentalmente due: da un lato la focalizzazione riduzionista sul versante biologico (la mente prodotto del corpo), dall'altro lo scadimento in una sorta di psicobiologia quasi esoterica imperniata sui grossi contributi delle filosofie orientali (yinyang, teorie dei meridiani, dei 5 elementi, punti energetici, ecc... comprese pratiche trascendentali, di meditazione e di autocoscienza). Nel primo caso il rischio è la negazione della mente come realtà che agisce e opera sul corpo (e allora sarebbe più giusto parlare di neuroimmunoendocrinologia); nel secondo caso il rischio è la negazione del corpo come realtà dotata di meccanismi e proprietà chimico-fisiche autonome che possono anche prescindere dalla mente. Nelle derive biofilosofiche diventa anche molto difficile, se non impossibile, applicare l'epistemologia propria delle scienze naturali poichè si genera un sincretismo di concetti fisici e metafisici".
Ma queste non sono altro che le complicate conseguenze di un approccio deterministico riduzionistico che dovrà, prima o poi, essere sostuito dall'approccio dialettico caso-necessità, pena lo scadimento o nell'anarchia fondata sul caso o nel solito fallimentare riduzionismo.
Concludiamo con le seguenti citazioni:
"La medicina olistica, in cui spesso viene inquadrata anche la PNEI, cerca di venire incontro ai disturbi dei pazienti considerando anche i bisogni spirituali della persona, oltre che ad aprirsi ad aree di cura cosidette non convenzionali (omeopatia, omotossicologia, agopuntura, osteopatia, riflessologia, ecc... ma anche yoga, aromaterapia, cristalloterapia, dietoterapie specifiche, meditazione di vari orientamenti, ecc...). Se tutto ciò non ha nulla da eccepire in un rapporto di care giving tra un curante e un paziente, pone certamente grossi problemi nel campo dell'epistemologia scientifica. Quando parliamo di chakra, flussi energetici, corpo fisico e corpo sottile, meridiani, chi, yinyang, shen e molti altri concetti derivati dalle tradizioni orientali ci addentriamo in una serie di sistemi filosofici decisamente complessi, paragonabili alle tradizioni filosofiche e religiose occidentali. Cercare di estrapolare alcune pratiche a fini di ricerca per la salute individuale sarebbe come studiare l'efficacia della recita del rosario su un campione di pazienti; ciò implica però già in partenza delle differenze tra i pazienti che ci credono davvero e quelli che non ci credono. Molti di tali studi comunque sono già stati condotti, con esiti discordanti, come viene descritto nelle opere di Harold G. Koenig (1951-vivente), fra cui The link between Religion and Health - Psychoneuroimmunology and the Faith Factor, Oxford University Press, 2002".
"Altro elemento problematico delle tradizioni religiose, sia occidentali che orientali, nel campo applicativo scientifico consiste nel fatto che le pratiche ad esse connesse possono sì tendere a riportare l'individuo in un rapporto di armonia con se stesso, con Dio e con la natura, ma non è detto che tale armonia coincida con il benessere così come lo intendiamo comunemente (salute, vigore, produttività, bellezza, elevate prestazioni psico-fisiche, ecc...). Anzi, tali pratiche, comprese quelle orientali buddhiste, induiste, jainiste, ma anche taoiste (cinesi) e shintoiste (giapponesi), sono caratterizzate da percorsi di liberazione dai vincoli materiali. L'eventuale salute, il benessere psico-fisico, non è l'obiettivo primario; l'obiettivo primario è il disinteresse per la salute o la malattia. Ciò apre ovviamente a straordinarie e ricchissime prospettive filosofico-teoretiche ma la conversione in tecniche applicabili alla ricerca scientifica pone i medesimi problemi delle pratiche ascetiche ebraico-cristiane, islamiche, ecc... "
In altre parole, tutto questo non rappresenta ancora una soluzione scientifica fondata sulla necessità. Insomma, anche senza dover prendere in considerazione altre fonti, la PNEI rappresenta sì un problema reale, ma non ancora la sua soluzione. Perciò se il problema è reale, reale è anche la mancanza di soluzione. Per la soluzione occorre avere una concezione realistica fondata sulla dialettica caso singolo-necessità complesso.
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