venerdì 8 luglio 2016

Venti anni dopo la pecora Dolly

"Repubblica.it "Le Scienze" 07 luglio 2016 

Venti anni dopo la pecora Dolly, che fine ha fatto la clonazione?
 

Il 5 luglio 1996 nasceva la pecora Dolly, il primo mammifero concepito con una tecnica di clonazione a partire da cellule di ghiandola mammaria di un esemplare adulto. Vent'anni dopo, le applicazioni della tecnica sono ben lontane dalle previsioni di allora, e limitate agli animali di allevamento, mentre la clonazione di un essere umano è stata scongiurata più per motivi etici che per motivi tecnici. Dolly tuttavia dimostrò che anche le cellule di mammifero possono essere riprogrammate, aprendo la strada a importanti progressi nel campo della ricerca sulle cellule.

Era una bellissima giornata di 20 anni fa quando Ian Wilmut e Alan Trounson, scienziati, colleghi e vecchi amici, partirono per un'escursione sulle colline intorno a Edimburgo, in Scozia. Di fronte al panorama della città, Wilmut confidò di avere un segreto da rivelare. Nell'ambito di uno studio più ampio, lui e alcuni collaboratori erano riusciti a far nascere un agnello in laboratorio. Non da una cellula uovo e da uno spermatozoo, bensì dal DNA estratto dalla ghiandola mammaria di una pecora adulta: avevano clonato un mammifero.

“Diamine, ero sbalordito”, racconta Trounson, che, oggi come allora, lavora sulle cellule staminali presso la Monash University di Melbourne, in Australia. Era una giornata calda, ma Trounson sentì ugualmente un brivido lungo la schiena quando si rese conto delle implicazioni del risultato. “Da allora tutto cambiò”. La clonazione di un mammifero sfidava il dogma scientifico imperante a quel tempo. Il successo portò a previsioni fosche e fantastiche: anche gli umani sarebbero stati clonati. Le malattie sarebbero state sconfitte. I bambini persi durante la gravidanza sarebbero rinati. Oggi, due decenni dopo la nascita di Dolly, avvenuta il 5 luglio del 1996, l'impatto della clonazione sulla scienza di base ha superato le aspettative, mentre la realtà di ciò che tecnicamente si chiama trasferimento nucleare, la forma di clonazione utilizzata per Dolly, è in gran parte scomparsa dalla scena pubblica."

Come introduzione all'argomento basta così. Invece, come critica a questa impostazione che allora emozionò una generazione di biologi provocando l'invidia di una generazione di fisici, ripesco un paragrafo dal mio volume inedito "La dialettica caso e necessità in biologia" (1997) 

"L'equivoco del caso Dolly

La clonazione di una pecora, alla quale è stato dato il frivolo nome di Dolly, può essere presa come esempio degli innumerevoli equivoci che accompagnano quel ramo della biologia molecolare che promette molto più di quello che può mantenere: l'ingegneria genetica. Poiché "Dolly" è stata presa a pretesto per un "Incontro alle frontiere della scienza, organizzato dall'Istituto, di Tecnologie Biomediche Avanzate del CNR", possiamo cogliere l'opportunità di valutare le argomentazioni sostenute dai vari relatori:*

L'ultima relazione, quella di Fariello, offre l'argomentazione più decisiva: "Si è chiarito che la clonazione di un individuo adulto è ancora un evento improbabile, la cui riproducibilità deve essere ancora stabilita per le altre specie animali, e che non si è ancora sicuri che la cellula progenitrice del clone sia stata in effetti una cellula matura, cioè pienamente differenziata, e non un residuo multipotente incastonato nel tessuto di un individuo maturo".

Se il clone fosse derivato da un "residuo multipotente incastonato", tra le cellule differenziate, "Dolly" non solo rappresenterebbe l'ennesimo svarione della superficialità scientifica (sperimentale) del nostro secolo, ma metterebbe alla berlina l'intera comunità scientifica e con essa tutti i cenobi etico filosofici e religiosi. Infatti, ammettendo come prova della reversibilità della cellula differenziata un solo esperimento "riuscito", si è potuto scatenare un putiferio sulla possibilità che la scienza superi i limiti posti dalle leggi della natura e dalle leggi morali e religiose dell'uomo.

Eppure c'è un'ammissione, anche se solo di sfuggita, fatta da tutti i relatori, che avrebbe dovuto mettere in guardia da conclusioni affrettate sulla clonazione: si tratta del fatto che Dolly è il solo risultato riuscito di 277 tentativi. Ora, ammettendo che la cellula progenitrice sia una cellula differenziata, ci si sarebbe dovuto chiedere: perché una sola cellula su 277 si è dimostrata reversibile? Se si trattasse, invece, di una cellula multipotente residua, la faccenda si semplificherebbe, e il dato 1 su 277 potrebbe indicare, se confermato, una semplice frequenza statistica del permanere di cellule multipotenti nei tessuti di cellule differenziate. Risultato senz'altro meno clamoroso, ma più scientifico.

Un simile risultato confermerebbe tra l'altro l'importanza della indagine statistica nei processi biologici che sono complessi proprio perché la necessità non è deterministica, ma connessa dialetticamente al caso. La dialettica caso-necessità comporta dispendio. Ma il biologo, che ha sempre minimizzato tutte le manifestazioni del dispendio naturale, a maggior ragione minimizza il dispendio che compare nei suoi esperimenti di laboratorio. Così, mentre esulta, ad esempio, per aver ottenuto un topolino transgenico e immagina che ciò sia avvenuto grazie a pretesi meccanismi deterministici, sussurra evasivo che quell'unico topolino è costato qualcosa come una cinquantina di esperimenti falliti. E qualcuno avrebbe voluto che tutti esultassero perché solo 1 su 277 tentativi ha prodotto Dolly?

Ma anche ammettendo che non si sia ancora in grado di stabilire sperimentalmente se Dolly proviene da una cellula differenziata o da una cellula multipotente residua, siamo però in grado di stabilire a che cosa essa andrà incontro a causa di una così provvidenziale origine. La relazione di Dulbecco a questo proposito è illuminante: in breve, quando si prende una cellula da un tessuto adulto, il suo genoma è molto più vecchio di quello delle originarie cellule multipotenti, di conseguenza, il clone possiede più cellule e potrà contare su una vita media più breve; inoltre queste cellule sono già state sottoposte a continue mutazioni casuali, perciò aumenteranno le probabilità di mutazioni genetiche neoplastiche.

Le argomentazioni di Fariello e di Dulbecco ridimensionano, quindi, il caso Dolly, ... [e su questa falsariga continuavo, per giungere alla conclusione seguente] i processi che differenziano le cellule sono processi spesso involutivi perché lo sviluppo e la sopravvivenza degli animali superiori richiede colonie di cellule, il cui ruolo è più primitivo della normale cellula eucariotica, e soprattutto della cellula di partenza, lo zigote.

Ma, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, questi processi di selezione darwiniana delle cellule differenziate, in quanto processi continui, riproducono in ogni momento le proprie condizioni di esistenza; per questo motivo ogni organismo pluricellulare superiore e ogni suo distretto, tessuto, organo, ecc. contiene in sé colonie di cellule variamente differenziate, che continuamente si originano, si modificano nel tempo, svolgono la loro temporanea funzione e muoiono.

La clonazione di Dolly ha mostrato semplicemente che, sperimentalmente, si può modificare qualsiasi processo naturale, anche accelerando eventi biologici che in natura richiedono più tempo e dispendio, ma in ogni caso senza poter evitare che questi processi continuino ad essere guidati dalla cieca necessità fondata sul caso e dal conseguente dispendio".

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