giovedì 13 aprile 2017

L'origine del concetto di teleonomia*

Se la biologia non è stata in grado di sbarazzarsi dalla teleologia, ciò va attribuito all'incomprensione del rapporto dialettico caso-necessità intrinseco alla selezione naturale. Il biologo Mayr, in "Biologia ed evoluzione" (1982), scriveva: "Colui che non capisce la selezione naturale è obbligato ad accettare una delle due soluzioni che restano: il caso o la necessità. Dal momento che è impossibile credere che tutti i meravigliosi adattamenti del mondo vivente siano il risultato di un caso cieco, l'ultima risorsa è l'accettazione della necessità, cioè delle cause finali".


Avrebbe fatto meglio a scrivere: chi non capisce il rapporto dialettico caso-necessità è obbligato a cavarsela o soltanto appellandosi alla necessità o soltanto affidandosi al caso, e quindi non potrà comprendere la selezione naturale. Ma, come si era accorto Darwin, il caso è un grosso pasticcio per chi si appella alla necessità, d'altra parte, il solo caso non può rendere conto della evoluzione della specie. Così, la difficile questione della biologia si trascina dalla seconda metà dell'Ottocento sino ad oggi senza soluzione.

I biologi sono stati capaci soltanto di operare dei distinguo sui vari significati di teleologia, non potendo fare a meno del concetto di finalismo. Essi non hanno potuto rinunciare all'idea che "il fatto che i processi siano diretti a un fine è forse uno degli aspetti più caratteristici nel mondo degli organismi". Ma non hanno potuto neppure accettare la vecchia teleologia aristotelica, dopo che Darwin  l'aveva rifiutata per la spiegazione dell'evoluzione organica. Darwin, però, non era riuscito a liberarsi completamente dal concetto di finalità: la selezione naturale sembrò, così, finalizzata all'adattamento del singolo organismo. L'equivoco darwiniano ha dato origine a una lunga controversia mai risolta.

Negli ultimi decenni, contrassegnati dall' "era dei calcolatori", si è originata, e quindi si è imposta, una concezione nuova di finalismo, che ha preso il nome di teleonomia. Mayr riporta, in "Evoluzione e varietà dei viventi" (1983), una lunga lettera che ricevette dall'inventore della "teleonomia", il biologo Pittendrigh. Esaminando questa lettera ci si potrà rendere facilmente conto che la concezione teleonomica fu il risultato di un'operazione ideologica: ossia, il tentativo, purtroppo riuscito, di legittimare il  finalismo in forma nuova.

Scrive Pittendrigh: "Mi chiedi informazioni sulla parola "teleonomia". E' vero che ho introdotto il termine in biologia e, inoltre, che l'ho inventato. Mentre pensavo a quel lavoro che ho scritto per il libro di Simpson e Roe (dove il termine viene introdotto), ero ossessionato dal vecchio motto di Haldane "La teologia è come  un'amante per un biologo: egli non può farne a meno per vivere, ma è restio a farsi vedere in pubblico con lei".

Anche se Pittendrig dice che non era l'illegittimità della relazione a preoccuparlo, è facile rendersi conto che con il termine di teleonomia eglì cercò soltanto una legittimazione: si trattava di trovare un abito bianco per portare l'amante teleologica sull'altare della biologia, e questo abito, come ci dirà lo stesso autore, fu trovato nel nuovo guardaroba tecnologico, quello dei calcolatori. L'autore ricorda "una "meravigliosa discussione" con Von Neumann sull'idea (alla quale io già credevo) che il concetto di organizzazione (nel contesto definito secondo l'uso corrente) implicava sempre "finalità" o orientamento verso un fine".

Come si vede, Pittendrigh non può rinunciare alla teleologia perché non può rinunciare al finalismo. Il problema era come legittimare la "relazione illegittima". Nel farlo, egli mostra la tipica esitazione e reticenza di chi teme di offendere il pudore e la rispettabilità del costume tradizionale. "Volevo una parola che permettesse (a tutti noi biologi) di descrivere, accentuare o solo alludere -senza offesa- a questo orientamento verso un fine di un sistema meccanicistico perfettamente rispettabile (!). La teologia non faceva al mio caso, poiché porta con sé l'implicazione che il fine è causalmente efficace nell'operazione corrente della macchina. La parola teleonomia si spera (sic!), sfugge a quella semplice falsità che comunque non è necessaria".

Insomma, non è necessario un finalismo causalistico perché, per una concezione meccanicistica, il causalismo si riduce a semplici rapporti di causa ed effetto meccanici. Quindi è necessario un finalismo meccanicistico, per il quale un qualsiasi meccanismo serve a qualcosa, è diretto a uno scopo. Un orologio serve a segnare il tempo, è costruito allo scopo di misurare il tempo. L'errore di fondo, che costituisce un ritorno a Cartesio, è proprio la concezione meccanicistica, ovvero la pretesa di considerare i processi naturali alla stregua dei processivi produttivi umani. La natura crea, in questa concezione, gli organismi allo stesso modo in cui l'uomo crea gli orologi!

L'autore così conclude la sua lettera:"Mi chiedi se qualcuno dell'"informazione" l'abbia introdotto o meno. Nessuno lo ha fatto, a meno che tu non voglia chiamarmi un informatore. E' vero che il mio pensiero sull'intero problema fu fortemente influenzato da un lavoro pubblicato da Wiener e Bigelow, con il titolo enigmatico di "Macchine finalizzate". Questo lavoro puntualizzava che nel periodo iniziale del calcolatore era possibile progettare e costruire macchine che avevano scopi e finalità senza con ciò implicare che le finalità fossero la causa dell'operazione immediata della macchina".

E così il meccanicismo di Pittendrigh assimila la natura vivente alle "macchine finalizzate", ovvero ai calcolatori. Quale povertà di pensiero! Incapace di risolvere la difficile questione del rapporto caso-necessità, il biologo si è rivolto ai logico formali e agli "informatori". E questo è stato il risultato: l'organismo è diventato un... calcolatore. Così Mayr, eliminando ogni esitazione e imbarazzo, dichiara apertamente di usare il concetto di teleonomia come programma, termine che "è stato preso dal linguaggio della teoria dell'informazione. Un calcolatore è capace di operare con uno scopo quando gli vengono fornite adeguate istruzioni programmate". Da questo momento, ogni entità vivente, sia essa un genoma, un'ameba, un topo o un uomo, verrà considerata come un calcolatore con il suo programma inserito.

Ma che questa sia soltanto una soluzione formale, convenzionale, che non fa fare alcun passo in avanti alla biologia, Mayr non lo può facilmente nascondere: infatti, è costretto a dire che, sebbene  sia facile accettare l'idea di un programma che dirige un dato comportamento teleonomico, sapere come il programma esegue questa funzione è "il campo più difficile della biologia": "per esempio la traduzione del programma genetico in processi di crescita e in quelli di differenziazione di cellule, tessuti e organi è attualmente il problema più stimolante della biologia dello sviluppo".

Le buone intenzioni non devono trarre in inganno. Quel che Mayr non sottolinea è il fatto che non hanno ancora, neppure, cominciato a ottenere un qualche risultato per questa via. La ragione è chiara, ed è lo stesso Mayr a indicarla: "Quasi certamente il numero di cellule qualitativamente differenti in un organismo superiore supera il miliardo. Anche se tutte (o quasi) le cellule hanno lo stesso complemento genico, esse differiscono tra loro nella repressione e derepressione di loci genici individuali e per le differenze del loro ambiente cellulare. Non è necessario sottolineare quanto complesso deve essere  il programma genetico per essere capace  di dare appropriati segnali a ogni linea di cellule, per fornirle del miscuglio di molecole che è loro necessario per portare a termine i compiti assegnati".

Mayr ha, almeno, il merito di non aver nascosto le enormi difficoltà cui va incontro la concezione teleonomica del programma genetico. Ma il "programma genetico", gli "appropriati segnali", i "compiti assegnati" sono pure convenzioni teleonomiche che non riflettono una realtà complessa, nella quale ogni singolo elemento si muove casualmente, senza altri "compiti assegnati" che le leggi fisiche e chimiche, nella quale gli "appropriati segnali" sono solo ciò che complessi di numerosi elementi eseguono in maniera ciecamente necessaria, nella quale il "programma genetico" altro non è che uno spontaneo processo di continua distruzione e costruzione di catene molecolari diverse: un processo nel suo complesso, ciecamente necessario. Per comprendere tutto questo, la teleonomia non aiuta, anzi ostacola. Soltanto la statistica dei grandi numeri può permettere di cogliere il rovesciamento dialettico del  caso relativo a miliardi di singoli elementi nella necessità delle loro complesse concatenazioni.


* Paragrafo di biologia scritto nel 1998. Tratto da "La dialettica caso-necessità in biologia" Volume (1993-2002)

** Da Wikipedia: Ernst Mayr (1904-2005) biologo, genetista e storico della scienza. Considerato uno dei massimi studiosi della evoluzione animale, in particolare dei meccanismi che presiedono alla speciazione, cioè alla differenziazione di due specie da una specie genitrice. Negli ultimi anni rivolse la sua attenzione anche alla riflessione su una filosofia della biologia e su come le caratteristiche delle scienze biologiche le distinguessero dalla scienze fisiche.







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