sabato 15 aprile 2017

La teoria di Monod: al mulino della divina provvidenza del teologo Oreison

"Questa chimica molecolare... ho la testa che mi ronza: enzimi allosterici, azione repressiva delle proteine, azione induttiva dei galattosidi, DNA; polimerasi, RNA... basta, chiudo i libri e mi siedo. Benedetti libri, nei quali si parla continuamente di combinazioni fortuite, di necessità e di logica". Il teologo francese Oreison* interviene nel dibattito suscitato dall'uscita del libro di Monod (1971), con recitata noncuranza, forse eccessiva per uno che ha l'abitudine di sedersi non prima, ma dopo aver chiuso i libri, quando in genere ci si siede per aprirli e studiarli. Del resto, se si ha l'abitudine di studiare in piedi portandosi appresso i libri, al plurale, si comprende facilmente la stanchezza fisica.

Comunque, stanco di studiare, il nostro teologo peripatetico si concede una meritata ricreazione: "Prendo il disco di Sinfonia di César Franck (ottima registrazione) e lo metto sul piatto del giradischi. Poi, comodamente seduto in poltrona con la cuffia stereofonica in capo, mi abbandono a quell'oceano di musica". "In quelle condizioni, vivo attimi di felicità e di esaltazione. E sento allora irresistibilmente, il bisogno imperioso di ringraziare qualcuno".

Chiunque si aspettasse, ora, un ringraziamento a Dio, rimarrebbe deluso: "Ringrazio, ovviamente, César Franck, il direttore d'orchestra e gli esecutori, i quali hanno dato vita ad un'interpretazione così felice"..."E' un'autentica vertigine". La vertigine ha, però, tutt'altra origine che l'oceano di musica: il fatto è che il bravo teologo, felicemente abbandonato "a quell'oceano di musica", risale con la mente "a quelle combinazioni innumerevoli e inesplorabili, articolate fra loro, per effetto delle quali un dato giorno si è prodotta l'elaborazione della materia vivente e della sua potenza di espansione".

Poiché la mente può ripercorrere miliardi di anni in un baleno, "di meditazione in meditazione", il lesto teologo arriva facilmente "alle combinazioni innumerevoli e inesplorabili, articolate fra loro nel tempo, che hanno prodotto la famiglia di Franck e quel suo membro chiamato Cèsar, fino al risultato, inesplicabile, che César Franck abbia scritto questa sinfonia". E perché non aggiungere, già che ci siamo, tutti i casi innumerevoli, inesplorabili e inesplicabili che hanno prodotto il teologo Oreison e, in un dato momento, la sua decisione inesplicabile di ascoltare una determinata sinfonia, mettendo da parte un determinato libro: forse -anzi sicuramente- quello di Monod, pubblicato nel 1971?

Ma di nuovo il nostro pensoso teologo sente il bisogno di ringraziare, questa volta non più l'inesplicabile prodotto di un singolo individuo, ma "tutte queste combinazioni che" gli "sono valse attimi di immmensa gioia". E, di nuovo, chi si aspettasse il più che ovvio ringraziamento a Dio, rimarrebbe deluso, e di gran lunga deluso, perché, arrivato a questo punto, Oreison esclama: "E devo ringraziare anche il Caso, perchè no?". Viene il sospetto che il timorato teologo voglia attribuire il caso, con la C maiuscola, al creatore di tutte le combinazioni. Cosa che indirettamente fa citando alcuni versi di Jean De la Ville de Mirmont: "Si, comprendo perché è stato creato il Mondo perché, una sera, io fossi sopraffatto dalla gioia!"

Soltanto a un teologo edonista poteva venire in mente di segnalare, come prova della creazione, gli impulsi personali di immensa gioia che rappresentano pur sempre rarità, come oasi nel deserto della vita. E per tutte quelle sere che gli individui sono sopraffatti dalla sofferenza, dalla noia o da entrambe, che cosa dobbiamo pensare? Ma, ormai che si è sbilanciato a favore del caso, Oreison non può trattenere un'altra esclamazione: "Ma che cannonata questo caso!"

E' noto che nulla produce un rapido ritorno al senso del dovere, quanto un'improvvisa caduta nel peccato: è ciò che deve essere capitato anche a Oreison dopo aver giubilato al caso: "Eppure, dicono che il Mondo non sia stato creato: si è prodotto da sé, per caso. Tutto ciò non ha senso. Così press'a poco, si esprime Jacques Monod, e così la pensa, forse, Francois Jacob; ma non così la pensa di sicuro Henry Laborit, che pure è biologo assai valente. Qui si genera una tale contraddizione, che mi fa protestare con tutta l'anima: "Non rovinate la Musica"."

Senza mai nominare, neppure una volta, il divino creatore... invano, Oreison invia un chiaro messaggio ai biologi: non rovinate la musica celestiale della creazione. Ma qual è la contraddizione che lo fa "protestare con tutta l'anima"? Per capirlo dobbiamo ripartire dall'inizio. Abbiamo visto che la principale preoccupazione di Oreison è il singolo individuo, ad esempio egli stesso o il compositore César Franck. Come aveva ben compreso Feuerbach, se la scienza abbandona l'individuo al caso, la religione lo raccoglie e lo affida alla divina provvidenza. Ed è proprio per questa ragione che un teologo come Oreison è in grado di distinguere l'oggetto individuale, proprio della religione, dall'oggetto collettivo, proprio della scienza.

I teologi non confondono i due diveri livelli qualitativi, come fanno, invece, troppi biologi, fisici, ecc. A buon diritto, perciò, possono tirare le orecchie a tipi come Monod. Non è nell'interese della teologia confondere il concetto di singolo individuo col concetto di collettivo o complesso di individui: non c'è quindi da stupirsi del fatto che Oreison, ben consapevole dell'interesse teologico, si sia potuto permettere di evidenziare le contraddizioni della biologia contemporanea, persino concedendosi qualche digressione dialettica pur di portare acqua al mulino della divina Provvidenza.

Collegando il concetto di evoluzione al concetto di mutazione, egli sostiene che "non è più in discussione l'evoluzione delle specie viventi... Senza dubbio, oggigiorno bisogna orientarsi verso una mentalità basata sul concetto di mutazione; però su questo terreno, non abbiamo certezza precisa e definitiva. Queste mutazioni successive, per se stesse assai probabili ma non controllabili, certamente si sono prodotte per via accidentale: il che vuol dire che le cause ci sfuggono del tutto".

Oreison, dunque, ammette il caso, anche se alla vecchia maniera del determinismo, cioè solo nel senso dell'ignoranza delle cause. Ma, osservando la "scala crescente di complessità nell'organismo vivente", molto giustamente considera l'organizzazione cerebrale come il culmine dell'evoluzione, e ancor più giustamente si affida alla spiegazione dialettica: "il mutamento delle strutture" modifica profondamente il comportamento dell'essere così organizzato. E da ciò deriva un mutamento qualitativo".

Non bisogna stupirsi di nulla: perché il divino creatore non avrebbe dovuto approfittare della polarità dialettica quantità-qualità? Se Oreison non gli attribuisce anche la polarità dialettica caso-necessità è perché non può farlo, senza andare contro l'interesse teologico. E questa è anche la ragione per cui egli respinge la dialettica probabilità-statistica, a favore dealla spiegazione psicoanalitica che presenta l'indubbio vantaggio di mettere al primo posto il singolo individuo.

Con una intelligenza delle cose della scienza che manca al più importante zoologo contemporaneo, Mayr**, e che oggi è più facile trovare nel campo della religione, Oreison rileva che alla zoologia che studia la vita animale non interessa la vita di una particolare formica o di un particolare uccello migratore. Molto più chiaramente dei deterministi riduzionisti, egli ha compreso il reale oggetto della scienza, ma, come teologo, non ci sta: come teologo, non può ammettere che l'uomo possa essere ridotto alla "realtà pura e semplice di un gregge o di una collettività considerata nel suo complesso, altrimenti cadiamo in una incomprensione di fondo".

L'uomo, per la teologia, non può  essere semplicemente un complesso statistico, oggettivamente necessario: "Un metodo di approccio del fenomeno umano in cui predominasse la statistica e che avesse mire matematiche, in un certo modo svuoterebbe la stessa essenza di ciò che costituisce la specificità umana e rappresenta la soggettività di ogni individuo che vive in relazione con altri simili". In altre parole, la religione non può accettare la necessità complessiva statistica sulla base del caso individuale probabilistico, in parole parole, non può accettare la dialettica caso-necessità.

Ma è solo dopo aver precisato la contrapposizione tra le esigenze teologiche e le esigenze scientifiche, che Oreison si decide di affrontare Monod non prima, però, di aver dato un esempio di modestia talare dichiarando la propria assoluta inferiorità scientifica: "per conto mio non sono abbastanza competente per seguire a mio completo agio le dimostrazioni avvincenti, ma alquanto esoteriche per il profano, di Monod". Però, poi, aggiunge: le conclusioni non mi piacciono affatto, anche se non posso dimostrare che sono erronee. "Ignorantia non est argomentum", ma da Oreison l'argomento è assunto solo per dissimulare la propria soddisfazione nel momento stesso in cui sta per prendere in castagna la concezione di Monod.

Non gli sfugge, infatti, la contraddizione implicita nel concetto di teleonomia che Monod attribuisce agli esseri viventi, come esseri dotati di programma. L'idea di un organismo dotato di programma non può dispiacere alla teologia. "Resta da vedere -scrive Oreison- (e questo, per confessione degli stessi biologi, la biologia è incapace di spiegarlo), perché ciò avviene in tal modo, e quali origini ha il programma...". I puntini finali dell'autore sono un poema: egli non nomina mai il nome di Dio ... invano, ma sempre trova il modo di evocarlo. E, infatti, chi può aver prodotto organismi viventi programmati se non il Supremo Creatore?

Non si scappa: o la creazione della vita è il cieco caso che si volge nella cieca necessità o è Dio che crea la vita e tutto quello che la scienza non sa interpretare né comprendere. Se Oreison non arriva a tanto è solo perché un teologo, che non vuole porre fra sé e gli scienziati la pregiudiziale del dogma religioso, deve farsi furbo e puntare soltanto sulle contraddizioni della scienza. E, poiché la contraddizione tra chi sostiene la preminenza del caso e chi sostiene la preminenza della necessità, è vecchia quanto la storia del pensiero umano, non c'è da stupirsi che un teologo conseguente ne approfitti. Così, per controbattere al caso nella versione di Monod, è sufficiente riprendere il trito argomento del determinismo assoluto: il caso è soltanto ciò che non si conosce.

Ma qui troviamo anche un elemento nuovo, e cioè una concessione al caso che va però a tutta vantaggio della religione: "Fra la provvidenza dei preti -scrive Oreison- e il caso di J. Monod non c'è molta differenza: l'importante è dare un nome* a (cioè esorcizzare) ciò che non si capisce. Il vantaggio percettibile nella denominazione di "caso" è che, almeno, non facciamo più dell'antropomorfismo e confessiamo meglio, insomma, la nostra incapacità di capire". E ancora: "Sicché la vita è sorta per caso". Ma poi che "strana combinazione di un caso che genera qualcosa che impedisce il caso... La vita e il suo sviluppo, dunque, sarebbero in un certo senso dotati di intenzionalità?

Oreison affonda il dito nella piaga della teoria teleonomica: se la teleonomia è finalismo (intenzionalità) riferibile al programma, allora per questa via si può solo giungere a Dio; se siamo costretti ad affermare che è il caso che genera programmi e meccanismi, anche per questa via si può solo giungere a Dio; infine, se chiamiamo caso ciò che non riusciamo a capire, allora "la nostra incapacità di capire" è ciò che conferma un precetto fondamentale della teologia: l'uomo non può comprendere l'imperscrutabile prodotto della mente suprema.

Ed è a questo punto che Oreison può, a buon diritto, permettersi di tirare le orecchie  alla scienza contemporanea, la quale, di fronte a ciò che non capisce, parla di assurdità, insensatezze e stranezze della natura. Il teologo non ci sta a far passare la natura creata dalla mente suprema come un'accozzaglia di stranezze incomprensibili. Non ammette che lo scienziato affermi: "ci sono io, che sono intelligente; poi c'è quello che non capisco, e che sarà per forza assurdo, ossia insensato, visto che non lo capisco". Che l'uomo non capisca, e anzi non debba capire, il teologo lo può ben ammettere, e anzi lo pretende per principio, ma che quest'uomo ottuso sia tanto presuntuoso da considerare insensata l'opera di Dio, questo non lo può ammettere. A tal punto è giunto il pensiero scientifico contemporaneo, al punto di meritarsi i rimproveri della teologia proprio sulla fondamentale questione del rapporto caso-necessità, la cui soluzione lo metterebbe al riparo da ogni pretesa teologica e da ogni forma di creazionismo.


* Oreison, "Il caso e la vita" (1971)

** Ricordo che queste mie riflessioni appartengono agli inizi degli anni Novanta del Novecento. Eppure rilette oggi, all'inizio del 2017, non hanno perso la loro validità. Tutt'altro.

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