giovedì 27 aprile 2017

Lenin e il bicchiere della discordia dialettica

Un pò di storia

Alla fine del 1920 sorsero, all'interno del partito bolscevico, divergenze attorno alla questione della funzione dei sindacati nella produzione. Questo problema pratico occasionò un dibattito teorico sulla dialettica, nel quale si confrontarono i due principali dirigenti del partito bolscevico: Lenin e Bucharin. Ad un certo momento, al centro del dibattito, comparve un ... bicchiere. Il 30 dicembre 1920, Bucharin esordì dicendo: "Compagni, le discussioni che qui si svolgono fanno a molti di voi all'incirca questa impressione: arrivano due persone e si chiedono reciprocamente che cos'è il bicchiere che sta sulla scrivania. L'uno dice: "E' un cilindro di vetro, e sia colpita da anatema chiunque dica che non è così". L'altro dice: "Il bicchiere è uno strumento che serve a bere, e sia colpito da anatema chiunque dica che non è così"."

Con questo esempio popolare, Bucharin intendeva ironizzare sul pensiero metafisico unilaterale che attribuiva anche a Lenin. Ma, ponendo come oggetto d'indagine un singolo bicchiere, metteva inconsapevolmente il dito nella piaga del determinismo riduzionistico: quel singolo bicchiere posto su una singola scrivania non poteva essere preso come esempio della determinazione dialettica della necessità, perché, in quanto singolo oggetto, era sotto il dominio del caso indeterminabile.

Nel 1921, Lenin riassunse il dibattito in un opuscolo e, per rispondere a Bucharin, con l'intento di dimostrare la differenza tra la dialettica e l'eclettismo, riprese l'esempio del bicchiere: "Con questo esempio, come il lettore vede, il compagno Bucharin voleva spiegarmi in forma popolare quanto sia dannosa l'unilateralità. Gliene sono grato e, per dimostrargli praticamente la mia riconoscenza, rispondo spiegando in forma popolare che cosa è l'eclettismo, a differenza della dialettica": "un bicchiere non ha soltanto queste due proprietà, qualità, o aspetti, ma un'infinità di altre proprietà, qualità, aspetti, correlazioni e "mediazioni" con tutto il resto del mondo".

Se Bucharin pone la sua domanda indicando un determinato singolo bicchiere, senza avere alcuna idea sulla sua sorte casuale, Lenin risponde indicando un generico bicchiere. Così può scrivere: "Se mi serve un bicchiere come strumento per bere, non m'importa affatto di sapere se la forma è perfettamente cilindrica e se esso è realmente fatto di vetro; m'importa invece che non vi siano fenditure sul fondo, che non ci si possa tagliare le labbra adoperandolo, ecc. Se invece mi occorre un bicchiere non per bere ma per un uso al quale sia adatto un qualsiasi cilindro di vetro, allora mi va bene anche un bicchiere con una fenditura sul fondo o addirittura senza fondo, ecc."

Come si vede, Lenin fornisce una risposta pratica molto sensata contro l'unilateralismo, ma non coglie il vero fondamento teorico, perché c'è una profonda differenza tra la conoscenza di una cosa e l'utilizzo che ne facciamo. Naturalmente, per i prodotti dell'uomo, appare a prima vista l'utilizzo, in quanto si presuppone che l'uomo conosca ciò che costruisce; però un oggetto, costruito per uno scopo, può anche essere usato per un altro scopo puramente accidentale. Insomma, è accidentale e soggetto alla sfera del caso che ora mi serva un bicchiere per bere oppure un porta matite, temporaneamente.

Lenin ha certamente ragione a sostenere che non si corregge l'unilateralismo con l'eclettismo, come fa Bucharin, "prendendo due o più diverse definizioni" e collegandole "in modo assolutamente casuale (cilindro di vetro e strumento per bere)". Ma, dichiarando che "La dialettica esige che si vada oltre", poiché per "conoscere realmente un oggetto bisogna considerare, studiare tutti i suoi aspetti, tutti i suoi legami e le sue mediazioni", egli non fa che andare oltre l'eclettismo, pretetendendo porre, in luogo di due o tre nessi casuali, tutti gli infiniti nessi dell'oggetto in questione che, come ha dimostrato Engels con l'esempio del baccello di piselli ("Dialettica della natura"), altro non rappresentano che gli infiniti casi indeterminabili.

Abbiamo già considerato la suddetta impostazione come progressione all'infinito della conoscenza approssimativa di nessi solo apparentemente causali. E sappiamo anche che Engels ha sostenuto questa tesi deterministica nell'"Antidhuring", prima di smentirla definendo il concetto di caso in rapporto alla necessità nella "Dialettica della natura". E' qui, in questa "incongruenza", che si trova il nodo da sciogliere, la vera difficile questione della dialettica: il concetto polare singolo-complesso in connessione al concetto polare caso-necessità.

Il "bicchiere" di Bucharin ci fornisce l'occasione per mostrare questa fondamentale connessione: la dialettica caso-necessità. Partiamo dall'utilizzo immediato di una singola cosa prodotta dall'uomo, qual è, appunto, un bicchiere. Innanzi tutto, dipende da circostanze casuali che un singolo bicchiere sia usato per bere oppure come porta matite o persino come oggetto contundente. Perciò, se consideriamo una singola "cosa in sé" che diviene "cosa per noi" soltanto accidentalmente, rimaniamo sempre entro la sfera del caso.

La risposta alla domanda di Bucharin è tanto facile quanto indeterminata: "Che cosa è il bicchiere che sta sulla scrivania?" Per quanto riguarda la "cosa in sé" è uno oggetto unico perché casualmente diverso nei dettagli da ogni altro bicchiere, e, per quanto riguarda la "cosa per noi" dipende dalla funzione prevista da chi lo ha messo sulla scrivania: potrebbe essere stato posto lì per qualsiasi altro motivo accidentale.

Ciò che bisogna chiarire una volta per tutte è che ogni singolo oggetto della nostra vita quotidiana è sempre sottoposto ai capricci del caso, perciò non possiamo considerarlo come oggetto di conoscenza determinabile per necessità. Ma ogni singolo oggetto determinato appartiene a un genere universale e a una specie particolare, per i quali possiamo determinare facilmente la necessità (e lo scopo se si tratta di nostri prodotti). Così, riguardo al genere dei bicchieri, la proprietà fondamentale e necessaria è la funzione per la quale esso è stato inventato e prodotto dall'uomo: ossia che serve per bere. E' questa la sua destinazione necessaria come genere. Poiché, inoltre, esistono molte varietà di liquidi che possono essere versati nei bicchieri per essere bevuti, dalla semplice acqua ai più diversi analcolici e alcolici, sono state prodotte molte specie di bicchieri, dei quali sono esperti conoscitori i barman.

Ma, se trovassimo, in un deposito giudiziario, un bicchiere molto pesante con un cartellino che lo indica come arma di un delitto, mentre prima era un bicchiere cilindrico contenente delle matite, accade forse che, per questi singoli casi, il genere dei bicchieri perda la sua destinazione necessaria e fondamentale per il quale è stato prodotto? No, senz'altro! Quindi, se Bucharin cercava la necessità, non doveva porre il quesito riferendosi a un singolo bicchiere posto su una singola scrivania (e Lenin non avrebbe dovuto seguirlo per quella strada), così come nessuno può pretendere di chiedere che cosa sia un singolo leone chiuso nella gabbia di uno zoo, senza sentirsi rispondere: un povero sventurato, vittima del caso.

L'errore del determinismo riduzionistico consiste nella pretesa di determinare ogni singolo oggetto o individuo. E Lenin cade in questo errore quando tenta di applicare il concetto di evoluzione al singolo bicchiere. Infatti scrive nel suo opuscolo: "per quanto riguarda il bicchiere, ciò non è subito chiaro, ma anche un bicchiere non resta immutabile, e in particolare si modifica la sua destinazione, il suo uso, il suo legame, con il mondo circostante". Ma per poter modificare la propria destinazione occorrerebbe avercela necessariamente, mentre il singolo bicchiere ce l'ha solo come possibilità, la cui realizzazione dipende soltanto dal caso; così come dipende dal caso, che esso si modifichi, perda lucentezza, si copra di venature, si spacchi in questo o quel lavaggio, in questo o quello spostamento.

Tentando di definire la dialettica utilizzando l'esempio di un singolo bicchiere, Lenin ha mostrato il limite principale della sua concezione dialettica: come determinista riduzionista, ha creduto di poter conoscere la necessità negli infiniti nessi dei singoli oggetti. Non avendo alcuna idea della polarità singolo-complesso e non ammettendo la polarità caso-necessità, Lenin non poté fare altro che fondàre la dialettica sul principio deterministico riduzionistico di causa-effetto: principio che, con la dialettica, però, non ha assolutamente nulla a che vedere*.

* Il paradosso è che egli abbia, inconsapevolmente, condiviso questo principio deterministico riduzionistico con la teoria borghese che da secoli lo aveva adottato da Cartesio.


** Tratto da  "Il caso e la necessità - L'enigma svelato  Volume primo  Teoria della conoscenza"(1993-2002)

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