venerdì 18 novembre 2011

Lo scadimento degli intellettuali nella decadenza dell'Occidente democratico

L'intervista di Leopoldo Fabiani ("La Repubblica", 12 maggio 2006) a Umberto Eco e Giuliano Amato, in occasione della presentazione del libro di quest'ultimo, "Un altro mondo è possibile?", è un significativo esempio dello scadimento degli intellettuali nella decadenza dell'Occidente democratico.

Fabiani presenta così l'inconsistente contrapposizione tra questi due personaggi: "Il "pessimismo tettonico" di Umberto Eco che dice: "Terrorismo, degrado ambientale, corsa alle armi di distruzione di massa, globalizzazione. Sono fenomeni che non possiamo impedire. Sono come i terremoti e le valanghe, possiamo solo attrezzarci per il dopo". Dall'altra parte l'"ottimismo realista" di Giuliano Amato che sostiene invece: "Ognuno di noi può mobilitarsi e agire in molte forme, come opinione pubblica, nelle lobbies o nel volontariato per costringere a mettere al primo posto nell'agenda dei governanti i grandi problemi che abbiamo di fronte"."

In sostanza, il pessimismo di Eco reputa fenomeni catastrofici, inevitabili ciò che l'ottimismo di Amato considera problemi risolvibili. E i due non s'incontrano neppure sulla possibilità di difendersi, perché, se Eco, indicando un fenomeno catastrofico, pessimisticamente osserva: "Certo, possiamo impegnarci nel volontariato e anche utilmente. Ma come si può fermare la distruzione di una grande foresta?", Amato, ottimisticamente, ribatte: "Dobbiamo essere realisti": "l'opinione pubblica può avere un ruolo effettivo, può obbligare i governi  a mettere questi temi come priorità nell'agenda mondiale".

Se questa è la ricetta di Amato per "un altro mondo possibile", si tratta della vecchia ricetta di Chomsky: questo è il livello dell'intellettuale liberal delle democrazie occidentali negli ultimi decenni. Perciò niente di nuovo. Però, quando Umberto Eco afferma sul terrorismo: "oggi poche persone possono mettere un impero in ginocchio", e quando Giuliano Amato afferma: "Ma è molto difficile evitare il fenomeno terroristico sganciato dagli Stati, come nei film di 007, che anticipano (sic!) il futuro", ed Eco incalza: "oggi è possibile che, mettiamo, Giuliano ed io compriamo su qualche mercato clandestino qualche piccola bomba atomica, ne lanciamo una da qualche parte e poi con la minaccia di rifarlo ricattiamo le grandi nazioni", non possiamo evitare lo stupore: sembra di ascoltare chiacchiere da bar.

Ma come possono due personalità così rinomate della cultura italiana affrontare l'attuale fenomeno del terrorismo sulla base dei film di 007 e della Spectre? Non possiedono altri punti di riferimento, altri strumenti concettuali per la loro analisi storica?

Passando a un altro argomento, quello dello "scontro di civiltà" teorizzato da Huntington, Fabiani pone la seguente domanda: "Com'è possibile il dialogo tra chi considera valori il pluralismo e la tolleranza e chi li spregia come disvalori?" Le risposte di Amato e di Eco sono reticenti e brevissime: il primo si appella alla "babele tecnologica", il secondo agli "abissi di enciclopedia da colmare", per affermare che l'ignoranza e le diverse interpretazioni anche degli stessi libri letti impedisce il dialogo. Ciò che, però, si può notare è che, a partire dalla questione dello "scontro di civiltà", i due intellettuali italiani si ritrovano sulla stessa linea, ciò che favorisce il dialogo e le reciproche concessioni.

Infatti, quando Fabiani incalza: "Valori condivisi, linguaggi comuni. Eppure oggi "relativismo", parola che a lungo ha significato apertura e pluralismo, è considerata da molti sinonimo di debolezza estenuante, di rinuncia a difendere la propria civiltà" (tesi di Huntington contro i democratici pluralisti americani), i democratici italiani Amato ed Eco si trovano accomunati nella esaltazione della civiltà democratica occidentale e nella sua difesa assoluta e intollerante, come vuole appunto Huntington. Il primo, chiarendo che "Relativismo non è quel "politically correct" estremo che porta all'equivalenza di tutti i valori, fino a renderli irrilevanti. La democrazia è relativistica come metodo, ma si basa anche su assoluti. Il primo è se stessa". In parole povere, guai a relativizzare la democrazia: la democrazia è un bene assoluto. Il secondo, dichiarando: "Il relativismo è una parola che crea molta confusione". Va bene che civiltà diverse hanno valori diversi, lo sapevano anche gli antichi greci. "Ma il rispetto tollerante della pluralità dei valori non significa affatto non coltivare un'idea forte di intollerabilità".

Per giustificare questa "idea forte di intollerabilità", che dovrebbe essere qualcosa di diverso dalla tanto vituperata "intolleranza", Eco cita due fenomeni sui generis, come l'infibulazione e il cannibalismo, senza risparmiarci una delle sue solite freddure: "non posso certo tollerare che mi mangino la nonna"! Ma perché non ha utilizzato esempi più comuni e di ben più ampie dimensioni, come lo sfruttamento della forza lavoro a infimo costo nelle manifatture dei PVS, la rinascita della schiavitù, o il credito al consumo (che in realtà è credito usuraio per lo shopping) ecc.? Forse perché sono fatti troppo utili alla sopravvivenza del capitalismo "democratico" per essere sottoposti all'"idea forte di intollerabilità"?

Le parole conclusive dell'intervista sono lasciate a Umberto Eco: "Si può riconoscere la relatività dei valori e delle idee, ma fino a quando non violano i princìpi che consideriamo non negoziabili. Quelli su cui si basa il nostro modo di stare insieme". Questa condizione restrittiva della relatività dei valori e delle idee altro non rappresenta che un benservito al relativismo e nel contempo una giustificazione pretestuosa di una nuova "intolleranza".

Infatti, poiché molte sono le condizioni economiche, sociali, politiche e militari che materialmente stabiliscono il reale "nostro modo di stare insieme" e quindi i princìpi dello "stare insieme" nelle democrazie occidentali, molte possono essere le "violazioni" ai "princìpi non negoziabili": ad esempio, che la Cina non si limiti soltanto a sottrarre all'Occidente opulento, il tessile, ma arrivi ad acquisire grandi quote di "shopping", creando in terra cinese vaste masse di nuovi "shopper". In tal caso che cosa farà l'Occidente democratico, ad esempio la Ue, continuerà a "negoziare" con la Cina l'interscambio di merci, servizi o capitali? O diventerà protezionista "intollerante", almeno in teoria non potendo permetterselo nella pratica?

Per concludere, non possiamo fare a meno di tornare ai film di 007, anche perché la loro importanza è sottolineata dal titolo dell'intervista di Fabiani: "LA SPECTRE GOVERNA IL MONDO?". Benedetto, allora, James Bond, l'eroe che ha sconfitto la Spectre! Benedetti i servizi segreti contro la minaccia della Spectre terroristica. Le classi sociali non esistono più, gli Stati nazionali non contano più niente, e persino l'impero americano è messo in ginocchio. Chi ci salverà allora dal terrorismo ricattatorio? L'agente 007 con licenza di uccidere per salvare il mondo? Ma come definire un simile scadimento degli intellettuali nell'Occidente democratico?

Si potrebbe pensare che questa è solo apparenza, che sotto questa apparente stolidità ci sia una consapevolezza condivisa da menti superiori, che non possono rendere conto alle masse dei segreti relativi ai difficili problemi della società internazionale, ecc.; ma così non è. La cultura democratica occidentale da lungo tempo ha fatto propria la dietrologia paranoide: dal tempo ormai trascorso della "cortina di ferro" tra "Est" e "Ovest", al tempo ancora da trascorrere del confronto epocale tra Occidente e Oriente.

Intanto, "Cindia", il gigante asiatico, continua a crescere con conseguenze imprevedibili che l'istupidimento intellettuale democratico farà fatica a digerire. Prevedibile è però l'indebolimento economico sempre più marcato dell'Occidente. Allora, occorre accettare l'evidenza del fatto che l'indebolimento economico dell'Occidente democratico si rifletterà sempre più anche nell'indebolimento del cervello dei suoi ideologi, fino a raggiungere cadute di livello inimmaginabili negli anni Sessanta, nel periodo del miracolo economico occidentale: intellettuali come Giuliano Amato e Umberto Eco rappresentano, in tal senso, due casi esemplari.

Tratto da "Studi sulla globalizzazione" (2005-2007)

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