lunedì 28 novembre 2011

I] Barabasi: teoria delle reti, una metafora informatica

A un passo dalla scoperta della legge del dispendio e della eccezione statistica, e smarrire la via (prima parte)

In agosto (2008) usciva, allegato a "Le Scienze", "La scienza delle reti" di Albert-Laszlo Barabasi. Il pregio di questo libro è costituito dal fatto che l'autore è arrivato molto vicino a comprendere sia le polarità caso-necessità e singolo-complesso sia la legge del dispendio e della eccezione statistica, ma ha smarrito la via ricadendo nel ricorrente errore epistemologico: assimilare la natura e i suoi prodotti all'ultimo ritrovato della tecnologia umana (oggi, il computer), subordinando la teoria della conoscenza all'ultima teoria sorta dalla tecnologia (oggi, la teoria delle reti).

Paradossalmente, nella presentazione del libro di Barabasi su "Le Scienze" di luglio (2008), è stato sottolineato positivamente questo errore, giudicandolo un progresso teorico: "Che cosa hanno in comune l'opera di evangelizzazione di Paolo Tarso, l'oscuro attacco via e-mail di un pirata informatico, il dilagare di una epidemia virale, l'altalena dei mercati azionari, la repentina diffusione di un blackout lungo la rete elettrica, la rete terroristica di Al Qaeda? Se siete tentati di rispondere "niente", Link. La scienza delle reti -in edicola con il numero di agosto di "Le Scienze"- è il libro che fa per voi. Perché tutti i sistemi complessi che abbiamo appena elencati sono governati da leggi comuni (!) che derivano dalla teoria della reti".

Insomma, una teoria metaforica che tutto accomuna e nulla è più in grado di distinguere sarebbe un passo avanti della teoria della conoscenza! Ma, come vedremo, anche questa ennesima teoria fittizia e convenzionale non vale nulla: anzi ha impedito a Barabasi di essere conseguente quando, riflettendo sulla diversità tra i fenomeni naturali e le reti di un computer, si è avvicinato molto alla scoperta della legge del dispendio e della eccezione statistica, in ciò avvantaggiato dal suo punto di vista critico nei confronti del riduzionismo.

Egli, infatti, scrive: "Il riduzionismo è la forza che ha guidato gran parte della ricerca scientifica del XX secolo. Per comprendere la natura, affermano i suoi sostenitori, occorre anzitutto decifrare le componenti. L'assunto è che, una volta comprese le singole parti, sarà facile afferrare l'insieme. Divide et impera; la parte per il tutto. Per decenni, quindi, siamo stati abituati a vedere il mondo attraverso i suoi costituenti. Ci hanno insegnato a studiare gli atomi e le superstringhe per afferrare l'universo; le molecole per capire la vita; i geni dell'individuo per comprendere la complessità dei comportamenti umani...".

Barabasi sembra consapevole del fatto che la conoscenza delle singole cose non permette la comprensione dell'insieme: "Fra breve avremo esaurito tutto quello che c'è da sapere sui singoli pezzi. Eppure non ci siamo granché avvicinati alla comprensione della natura nel suo insieme". Perché "inseguendo il riduzionismo ci siamo imbattuti nel mondo della complessità". Prendendo in considerazione il paradigma delle reti casuali di Erdos e Rény, egli considera l'elemento base, il "nodo", con i suoi legami, il "link", e il "cluster" o indice dei legami individuali; poi considera i nodi altamente connessi di Watts e Strogatz, ossia quelle persone che stringono un numero eccezionale di conoscenze personali, o legami, che vengono chiamate "connettori" o "Hub". Ma è qui che sorge il problema di come concepire l'eccezione che sorge casualmente.

Statisticamente, su base casuale, esiste la curva a campana che però non evidenzia l'eccezione. Ma, osserva Barabasi, in natura si ha anche una distribuzione regolata da una legge di potenza o "legge di scala". In una curva a campana o di Gauss gli eventi straordinari "risultano semplicemente esclusi". Per rilevarli esiste l'"istogramma che segue una legge di potenza" e "si presenta piuttosto come una curva decrescente con continuità, a indicazione del fatto che molti piccoli eventi coesistono con pochi grandi eventi".


 Come si vede, nella curva a campana o di Gauss:
1) pochi nodi con pochi link;
2) molti nodi con lo stesso numero medio di link (la media statistica);
3) pochi nodi con molti link;
mentre, nella legge di potenza o di scala:
1a) moltissimi nodi con pochissimi link;
2a) pochissimi nodi con moltissimi link (l'eccezione statistica, che Taleb ha chiamato cigno nero).

A questo punto, Barabasi prende in considerazione, come esempio di passaggio dal disordine all'ordine, la transizione dall'acqua al ghiaccio (transizione di fase) e ricorda il fisico Leo Kadanoff che, nel 1965, ebbe la seguente intuizione: "in prossimità del punto critico gli atomi vanno considerati non più come oggetti separati, bensì come dei pacchetti di atomi, delle comunità dove tutti si comportano come un solo uomo". E' proprio questa la differenza, già concepita da Hegel, tra i singoli elementi separati e semplicemente aggregati, che chiamò allehit, e i complessi di elementi, che chiamò totalitat, nei quali i singoli elementi "tramontano".

A sua volta Wilson, partendo da Kadonoff, elaborò la teoria della rinormalizzazione, secondo la quale: "La natura, di norma, non crea leggi di potenza. Nei sistemi più comuni le grandezze seguono la curva a campana, e le correlazioni decrescono rapidamente secondo leggi esponenziali. Ma tutto cambia se il sistema è costretto a subire una transizione di fase. In questo caso emergono le leggi di potenza: segno inequivocabile, in natura, che il caos sta facendo posto all'ordine".

In altro luogo, trattando la questione dell'evoluzione cosmologica, siamo giunti a una conclusione che conferma la tesi precedente, sostenendo che nel passaggio dal caldo al freddo, nell'universo, si possono osservare varie transizioni di fasi, le quali permettono la transizione dal caos dell'energia originaria all'ordine gravitazionale.

Insomma, fin qui l'impostazione teorica orienta Barabasi verso la soluzione reale, e l'avvicinamento è confermato anche dalla seguente osservazione: "nel complesso i sistemi naturali hanno una particolare capacità di sopravvivenza in un'ampia gamma di situazioni. Nonostante i possibili difetti congeniti, spesso mantengono le loro funzioni fondamentali anche con un'alta frequenza di errori. Il che contrasta con la gran parte dei prodotti creati dall'uomo, nei quali il guasto di una singola componente pregiudica spesso l'intero meccanismo".

Chi scrive ha spesso sottolineato che una delle peculiarità che distinguono l'opera della natura da quella dell'uomo è che i prodotti della natura sono eccezioni di un grande dispendio e, in quanto tali, reggono maggiormente i "guasti", mentre i prodotti dell'uomo, molto più economici, sono più soggetti a guastarsi. La ragione di questa differenza qualitativa e quantitativa dipende dalla differente modalità di esecuzione dell'opera produttiva: la natura "crea" (i suoi prodotti) senza scopo, guidata dalla dialettica caso-necessità, con grande dispendio; l'uomo crea (i suoi meccanismi), guidato dal binomio scopo-necessità, fondato sulla connessione di causa ed effetto, con grande risparmio.

Engels aveva osservato che è facile scoprire il motivo per cui uno schioppo fa cilecca: poiché lo abbiamo creato noi, è facile risalire dall'effetto alla causa. Perciò, se è vero, che i prodotti dell'uomo si guastano più facilmente dei prodotti naturali, è anche vero che sono più facilmente aggiustabili, per conoscenza di causa. Ma i prodotti naturali quando si guastano (meno frequentemente) non sono facilmente riparabili da noi, perché per farlo dovremmo ricreare le condizioni dispendiose dei processi naturali che li hanno creati.    

Non potendo permetterci il dispendio naturale, noi possiamo solo cercare di ridurre il peso del caso, per poter mettere in atto ciò che ci è più congeniale: la connessione di causa ed effetto. Ora, se fin qui siamo nello stesso ordine di idee di Barabasi in relazione alla fondamentale differenza tra il modo di operare della natura e il modo di operare dell'uomo, da questo momento in poi le cose cambiano: "Di recente -scrive Barabasi- esperti di varie discipline hanno scoperto nei sistemi naturali una specie di resilienza, una capacità di "autoaggiustaggio" che si spera di poter sfruttare anche per i prodotti umani. Di conseguenza, in molti campi, la robustezza -dal termine latino robur, quercia , simbolo per gli antichi di forza e longevità- è diventata oggetto di analisi sempre più approfondita".

Come vedremo, in natura non esiste un autoaggiustaggio, semmai una minor incidenza statistica di "guasti", dovuta appunto alla polarità caso-necessità: quindi la "robustezza" è una conseguenza non voluta, ciecamente necessaria, di un grande dispendio. Invece, Barabasi qui cade nell'errore di farla derivare da una caratteristica della teoria delle reti: "Quasi tutti i sistemi che mostrano un alto grado di tolleranza agli errori hanno una caratteristica in comune: il loro funzionamento è garantito da una rete complessa ad alta interconnettività"! "Sembra che tutto, in natura, si sforzi per ottenere robustezza (!) attraverso l'interconnettività". (Continua)

Scritto nel 2008
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