martedì 8 novembre 2011

Lezione 9° L'impossibile "scienza del caso" di Didier Dacunha-Castelle

L'inconsapevolezza delle polarità dialettiche caso-necessità, singolo-complesso, probabilità-statistica ha prodotto, a partire dalla seconda metà del Novecento, una congérie senza fine di falsi nessi tra termini e locuzioni della teoria della probabilità, della teoria dell'informazione e delle più recenti teorie del caos e della complessità. Evidentemente non bastava la confusione sul ruolo che il caso riveste nell'ambito della natura e della società umana, non bastava la confusione che la teoria della probabilità si porta dietro fin dalle sue origini tra il termine di probabilità e il termine di frequenza: occorreva mischiare tra loro "probabilità", "frequenza", "informazione", "entropia", "caos", "complessità", ecc. per rendere ancor più confuso il rapporto caso-necessità, così da creare l'impossibile scienza del caso.

Per farci un'idea di quanto farraginoso sia il fondamento teorico di questa pretesa scienza, è sufficiente rivolgerci a "La scienza del caso" (1996) di Didier Dacunha-Castelle (D.D.-C.). L'autore parte dal concetto di probabilità: "Che cosa rende tanto interessante il ragionamento probabilistico? A partire da che cosa si può fare il calcolo "sul" caso? Il XIX secolo è stato segnato dalla questione del "perché statistico". Perché il numero di suicidi e di crimini in ogni regione del mondo resta più o meno costante di anno in anno? Rispondere a questa domanda richiede un attento esame della legge dei grandi numeri, delle regolarità che si esprimono all'interno di popolazioni numerose. Vi sono eccezioni a tale comportamento regolare che costituiscono avvenimenti rari e importanti. La nozione di rarità è difficile, anche nelle scienze matematiche. Se non si può universalmente definire ciò che è raro, si può chiarire la dialettica tempo-rarità. Chiarire cioè quanto tempo bisogna attendere perché si verifichi ciò che è raro e se il sopraggiungere di un avvenimento raro segue sempre strade privilegiate".

Ciò che D.D-C. non ha compreso è che l'attesa temporale di un evento raro è solo una questione secondaria, perché principale è il rapporto tra la rarità e il suo opposto dialettico, l'abbondanza: al singolo evento raro si oppongono polarmente gli eventi statisticamente più frequenti, abbondanti, che rappresentano il dispendio tipico dei processi naturali e sociali. Sebbene in questi processi compaiano varie gradazioni di rarità, tutte hanno in comune fra loro l'opposizione polare, dialettica, con le varie gradazioni di abbondanza statistica (dispendio). In natura, l'evoluzione della materia produce forme materiali e relativi fenomeni che sono sempre rari, ovvero che compaiono con bassa frequenza statistica. Di conseguenza la maggior parte delle forme materiali e dei relativi fenomeni, non comparendo nel prodotto finale, sembra essere superflua e inutile. In realtà questo apparente inutile spreco, questo dispendio è la garanzia della cieca necessità del risultato finale raro.

Per comprendere questo paradossale rapporto dialettico, che abbiamo chiamato legge del dispendio e della eccezione statistica, occorre precisare la dialettica singolo-complesso. La rarità riguarda sempre e soltanto il singolo elemento di un complesso-contenitore. Ad esempio, se consideriamo il complesso di tutte le specie viventi, l'evoluzione beneficia soltanto singole rare specie, mentre la maggior parte si estingue. Ugualmente, se passiamo al complesso-contenitore di tutti i contenitori della materia, il cosmo, osserviamo che di tutta la materia originaria si conserva solo l'1% nella forma di materia luminosa, e solo 1 parte su 10.000 si evolve in una forma più complessa dell'idrogeno e dell'elio.

A questo punto la rarità non è più un mistero: la rarità si manifesta come evento casuale eccezionale sulla base di grandi numeri di singoli elementi di un complesso. Questo "caso raro" si manifesta quindi come evento eccezionale di un grande dispendio. Senza queste basi logiche non si può evitare di brancolare nella confusione, come accade a D.D.-C. La confusione si manifesta attraverso nessi estrinseci, fittizi, come quelli che i vari autori trovano tra "rarità" e "tempo", "caso" e "rischio", "incertezza" e "informazione", "caso" e "rumore", ecc.

Ad esempio, D.D.-C. è talmente confuso da intitolare un paragrafo con un ossimoro: "La macchina del caso", pretendendo sottomettere il caso al meccanicismo. In questo paragrafo possiamo trovare la seguente assurdità: "per passare dall'incerto al caso, bisogna che vi sia sorpresa, che individui o gruppi di persone siano stupiti da una eccessiva rarità o da una frequenza insolita"; "il caso non è soltanto l'incerto", "non vi è caso al di fuori di realtà vissute da individui, gruppi o società".

Insomma, D.D.-C. pretende non solo una scienza del caso imprevedibile, ma persino una scienza dell'imprevedibile che stupisca individui o gruppi di persone, quando lo "stupore" è a sua volta una condizione mentale soggettiva, spesso assimilabile a intontimento e smarrimento, e, in quanto tale, a sua volta, casuale. La sorpresa, lo stupore che cosa rappresentano, se non una manifestazioni dell'ignoranza? Chi non sa niente, si stupisce di tutto. Prendiamo ad esempio il pseudoconcetto di "rumore", che è divenuto sinonimo di caso. Si tratta del rumore di fondo che disturbava i vecchi apparecchi radio all'epoca della lampada a diodo.

La scoperta che quel rumore di fondo dipendeva dal salto casuale di singoli elettroni dal flusso della corrente di elettroni ha preteso una dignità teorica imponendo al caso il nome di "rumore". Un esempio di banale fenomeno casuale ha imposto la moda di chiamare rumore il caso! Dunque, ciò che per caso offendeva la sensibilità uditiva dell'ascoltatore di una vecchia radio diventava un rilevante concetto della nuova "scienza del caso".

Un altro falso fondamento della “scienza del caso” è il preteso primato della “probabilità” sulla “frequenza”. Abbiamo già criticato questo errore dei teorici della probabilità soggettiva, giungendo alla conclusione che, per la scienza, fondamentale non è la valutazione delle probabilità, ma la valutazione delle frequenze. Se queste sono note per via empirica, la probabilità non compie alcun servizio alla scienza; se, invece, non si è in grado di scoprirle empiricamente, il calcolo delle probabilità può servire a stabilire le frequenze: il caso probabilistico ci permette così di conoscere la necessaria frequenza statistica.

Invece per D.D.-C.: "La legge dei grandi numeri permette di affermare: "La probabilità di un evento è sensibilmente uguale alla frequenza delle sue realizzazioni in una lunga sequenza di ripetizioni. Se questa non è nota, la probabilità di un evento può essere dunque valutata a partire dal numero delle realizzazioni in una lunga sequenza di esperienze identiche"." Lo ripetiamo: poiché la necessità da conoscere è la frequenza statistica relativa ai complessi, quando questa sia nota non ha alcuna rilevanza scientifica considerarla come probabilità del singolo evento casuale. Perché in questo modo si tornerebbe indietro: dalla scienza della necessità all'indeterminabile caso, cioè all'impossibile "scienza del caso".

La legge dei grandi numeri, giudicata soltanto dal punto di vista matematico, non solo non permette di comprendere la differenza qualitativa che esiste tra i due concetti misurati dallo stesso numero, probabilità e frequenza, ma non permette neppure la comprensione della polarità dialettica probabilità-frequenza in relazione agli innumerevoli fenomeni e processi naturali e sociali. 

Osservando che "i grandi scarti si verificano con una probabilità infinitesima", D.D.-C. scrive: "Ma se si è pazienti si finirà con l'osservarli; sono loro che fanno normalmente la storia e sono associati a cambiamenti qualitativi, per esempio cambiamenti di comportamento. Sono al centro della evoluzione temporale dei sistemi complessi. Il fatto di lavorare con i grandi numeri, di calcolare medie, non deve farci dimenticare che eventi rari di scarsa probabilità, che costituiscono deviazioni importanti dalla media, possono comunque realizzarsi".

D.D.-C. non riesce proprio a comprendere che la realizzazione dell'evento raro, eccezionale è resa possibile soltanto dai grandi numeri del fenomeno o processo considerato. L'unica osservazione giusta dell'autore è che gli eventi rari (in senso statistico) fanno la storia (della evoluzione della materia); ma egli non comprende che la rarità è il cieco risultato del suo opposto dialettico, l'abbondanza, la quale rappresenta quel dispendio grazie al quale emergerà prima o poi la rarità stessa. Ragionando metafisicamente, egli vede solo la rarità, separata dal suo opposto dialettico, così crede che la rarità sorga da sé stessa, fino al punto di concedere credito ai teorici del caos per i quali "un piccolo scarto sul comportamento iniziale può comportare un grande scarto sui risultati".

Seguendo D.D.-C. non possiamo fare a meno di saltare di palo in frasca, perché una caratteristica di questa "scienza del caso" è passare con nonchalance da un caso all'altro degli infiniti fenomeni particolari presi in considerazione dall'attuale scienza di piccolo cabotaggio. Così, all'improvviso, ci imbattiamo nei sondaggi elettorali solo perché egli ha bisogno di un esempio per dimostrare l'importanza della probabilità.

Nel caso dei sondaggi, D.D.-C. crede che la valutazione della probabilità sia il suo principale obiettivo. E qui sorge uno strano paradosso: se la valutazione "delle probabilità attraverso l'uso di frequenze" fosse  "l'ABC dei sondaggi",  l'ABC dei sondaggi sarebbe l'incertezza probabilistica. Ma, in realtà, un sondaggio è una statistica su un piccolo campione casuale che dovrebbe essere rappresentativo dell'intera popolazione sulla quale s'intende fare una previsione (ad esempio, una popolazione elettorale). Ovviamente, un piccolo numero non è del tutto rappresentativo, perciò si osserveranno delle oscillazioni; quindi il correttivo probabilistico consiste in ciò che, se la previsione fornisce una percentuale, ad esempio, del 15% per un partito politico, il risultato potrebbe oscillare tra il 14% e il 16%.

Ma quando si dice che è probabile che il risultato elettorale di un partito politico oscilli attorno al 15%, in realtà non si fornisce una probabilità. Qui l'aggettivo probabile è solo un modo di dire (scorretto). 15% qui sta per previsione di una frequenza complessiva con inevitabili scarti in conseguenza del piccolo campione considerato. In sostanza, il sondaggio è uno strumento imperfetto il cui scopo, però, consiste nel prevedere la frequenza complessiva di un dato comportamento sociale su un determinato tema, in un dato momento. Il sondaggio spesso fallisce nella pretesa di prevedere la reale frequenza complessiva; ma ciò non è un buon motivo per capovolgerne la natura, affermando che il sondaggio fornisce solo probabilità, perché in questo modo sarebbe come dire che si fanno sondaggi per rimanere nell'incertezza.

Scrive D.D.-C.: "Nel momento in cui nasceva l'informatica moderna, Kolmogorov faceva emergere la nozione matematica di complessità e non stupisce affatto che sia stato uno, se non il più grande, tra gli esperti in probabilità mai esistiti, a definire questo concetto in termini matematici. Ciò che è complesso è difficile da descrivere". "Ma per capire l'irruzione sorprendente del computer nel calcolo delle probabilità è necessario aprire una parentesi sulla nozione intermediaria di informazione. Se si cerca una definizione matematica della informazione, si può partire da una osservazione quasi evidente: ricevere informazioni significa ridurre l'incertezza".

Dopo aver dichiarato l'evidenza della riduzione dell'incertezza mediante informazioni, l'autore afferma che una caratteristica del concetto di informazione è il suo nesso con la rarità: "La realizzazione di un evento apporta informazione tanto maggiore quanto è minore la probabilità che si realizzi. Al contrario, non ci si aspetta alcuna informazione da un evento la cui realizzazione è quasi certa". Di conseguenza un evento raro è considerato di grande informazione. Il paradosso allora è che la gravitazione non fornisce alcuna informazione, mentre che un clown decida di recitare l'Amleto comporta molta informazione!

Questo è il mirabile risultato della nuova scienza della informazione applicata alla probabilità: "La quantità di informazione apportata dalla realizzazione di un evento è solo funzione della sua probabilità. La natura dell'evento, il contesto, le sue conseguenze non hanno alcuna influenza sulla quantità di informazione che sarà apportata. Vedere il realizzarsi di un evento raro è quindi molto informativo". In sostanza, questo è il risultato: la realizzazione di un evento quasi certo = poca informazione, mentre la realizzazione di un evento molto improbabile = molta informazione!

Questa conclusione potrà essere congeniale agli scoop televisivi che fanno audience solo se "informano" su eventi strani, eccezionali e molto improbabili quali ad esempio: "bambino azzanna pitbull che lo infastidisce".  Ma l'interesse dei media nei confronti di singoli, rari eventi casuali non ha nulla a che vedere con la reale scienza, la quale deve risolvere la necessità complessiva dei fenomeni e dei processi naturali e sociali. La scienza non ha il compito di stupire pescando nel torbido degli eventi singoli casuali, illudendosi di ridurne l'incertezza: il suo compito è di stabilire la certezza degli eventi complessivi.

A questo punto, D.D.-C. introduce un nuovo termine in connessione ai precedenti: "alle differenze formali tra linguaggio dell'informazione e linguaggio delle probabilità, tra qualità del caso e quantità d'informazione, si aggiunge l'introduzione di una parola derivata dalla fisica, l'entropia, per designare anche la "quantità di caso" contenuta in una probabilità". Per farla breve: la certezza, che nel linguaggio delle probabilità significa P = 1, nel linguaggio informatico significa informazione = 0, e nel linguaggio termodinamico significa entropia = 0. Così entropia e informazione coincidono e sono l'opposto della probabilità.

L'assurda conclusione di questa impostazione teorica è che, dal punto di vista dell'informazione, occorre che la certezza sia bandita, perché questa pretesa "informazione" esiste e cresce solo quando esiste e cresce l'incertezza, ossia solo quando esiste il caso e non la necessità. Così, se per la Fisica, E = mc2 è il massimo della conoscenza, per la scienza del caso questa è un’informazione uguale a zero!

Per D.D.-C. "complessità e informazione sono identiche". "Può sembrare strano ma è dovuto allo spirito complicato del matematico che carattere complesso, carattere aleatorio, carattere informativo, siano in fondo la stessa cosa". E' strano, ma perfettamente coerente con la strana "scienza del caso" che separa il caso dalla necessità per idolatrarlo, assimilandolo alla complessità e all'informazione. Ma la realtà non è costituita dalla complessità casuale; la realtà è costituita da complessi che sono ciecamente necessari. Solo la dialettica caso-necessità può rendere ragione di questo. Ogni altro modo di vedere le cose porta a concepire paradigmi sempre più astrusi e inconcludenti. A malincuore se ne è reso conto anche D.D.-C.

Ecco come egli riassume, sconsolato, l’aggrovigliata situazione: "Abbiamo trattato la cibernetica e gli automatismi probabilistici (sic!) , la teoria delle catastrofi; in un secondo momento, l'entropia, l'ordine e il disordine, l'irreversibilità hanno avuto il loro momento di gloria. Rumori, fluttuazioni, biforcazioni hanno invaso tutte le opere alla moda, proprio come oggi dilagano incontenibilmente caos e frattali". Infine, è costretto ad ammettere che tutti questi nuovi paradigmi sono superficiali, che pochi hanno riflettuto sui concetti fondamentali.

Ma, quando sostiene che "è in testi di biologia come quelli di Jacques Monod o François Jacob, ai quali è necessario aggiungere quelli di fisici specializzati in meccanica quantistica, che bisogna cercare il contributo fondamentale alla riflessione sul caso e sulle probabilità", va di male in peggio, perché non c'è nulla di più contraddittorio, confuso e superficiale dei contributi dei suddetti autori. Del resto, egli, come si vede, crede che la profondità della riflessione si possa applicare solo al rapporto caso-probabilità. Ma il solo caso e le sole probabilità possono produrre solo incertezza.   

Detto per inciso, se sono costretti alla fine degli anni '90 a riprendere un vecchio testo di Monod, risalente ai primi anni '70, per rilanciare un dibattito mai concluso, significa che sono in alto mare. La ragione è presto detta. Il dibattito sul determinismo, suscitato dalle conclusioni indeterministiche della fisica quantistica, e in seguito riproposto in biologia da Monod, ha rappresentato il momento visibile, esteriore, di quel lento processo di eliminazione del rapporto causa-effetto dalla scienza del Novecento. La scienza del Novecento ha perduto la fiducia che la scienza dell'Ottocento aveva avuto nella determinazione fondata sulla connessione di causa ed effetto; ma con questa fiducia ha perduto anche il suo solo punto fermo, non essendo stata capace di sostituirlo. Così, dalla necessità attribuita alla causalità deterministica è caduta nella casualità attribuita alla probabilità indeterministica, la quale ha aperto la voragine nella quale cadono, ad uno ad uno, i nuovi paradigmi alla moda.

Questa caduta libera, che di fatto annulla la scienza, non poteva e non può essere accettata a cuor leggero; da qui i continui tentativi di tornare sulla questione irrisolta. Poiché, però, la teoria della conoscenza attuale non è in grado di fornire una soluzione generale per tutte le discipline della scienza, ognuna di queste ha provveduto e continua a provvedere per conto proprio cercando soluzioni per il proprio ristretto ambito, partendo dalle proprie esigenze particolari.

Giustificati da Kuhn, piccoli gruppi di filosofi, scienziati, sociologi, storici, ecc. hanno creato e continuano a creare nuovi paradigmi. Infine, sospinti da una esigenza di generalizzazione, questi contributi, in ordine sparso, invadono altri campi, cercando analogie tra i propri concetti e i concetti altrui. Il risultato finale di tutto questo movimento e rimescolamento di concetti e soluzioni convenzionali e fittizi è una torre di Babele, dove nessuno si comprende e tutti continuano a divulgare intrugli incomprensibili. Del resto, che altro poteva essere la “scienza del caso”? Nell’illusione di controllare, ammansire, regolare e imbrigliare il caso, si sono legati le mani da soli perdendo ogni controllo sulla necessità.

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma risolto - Volume primo  Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito

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