Crisi del 1987 e crollo dell'URSS
(Continuazione) Ora, non solo la Fed intervenne aumentando il costo del denaro, ma di fronte allo sbandamento della borsa dovette intervenire per convincere le banche a non cessare di operare prestiti, promettendo il proprio sostegno, con la seguente dichiarazione di Greenspan: "La Federal Reserve, conformemente alle sue responsabilità di Banca centrale della nazione, afferma oggi di essere pronta a servire da fonte di liquidità per sostenere il sistema economico finanziario".
Il suo intervento si concretizzò in acquisto di titoli di Stato sul libero mercato, che ebbe l'effetto di mettere in circolazione miliardi di dollari provocando il calo dei tassi d'interesse. Con finta ingenuità, il liberista Greenspan scrive: "Prima del crollo avevamo operato una stretta sui tassi d'interesse, ma in questo momento li allentammo per tenere l'economia in movimento". Insomma, se l'economia si muove troppo in fretta viene frenata dalla Fed con un rialzo dei tassi d'interesse, e se ciò la rallenta troppo, viene tenuta in movimento con un ribasso.
Occorre, a questo punto, fare alcune osservazioni. La prima riguarda la contraddizione tra teoria liberista e pratica interventista in relazione all'andamento delle borse: se è possibile questa azione pendolare sui tassi d'interesse dove va a finire il principio liberista? La seconda riguarda la conseguenza della manovra sui tassi d'interesse: se essa produce un crollo in borsa, contro la volontà degli esecutori, che fondamento ha la pratica monetaria?
(Continuazione) Ora, non solo la Fed intervenne aumentando il costo del denaro, ma di fronte allo sbandamento della borsa dovette intervenire per convincere le banche a non cessare di operare prestiti, promettendo il proprio sostegno, con la seguente dichiarazione di Greenspan: "La Federal Reserve, conformemente alle sue responsabilità di Banca centrale della nazione, afferma oggi di essere pronta a servire da fonte di liquidità per sostenere il sistema economico finanziario".
Il suo intervento si concretizzò in acquisto di titoli di Stato sul libero mercato, che ebbe l'effetto di mettere in circolazione miliardi di dollari provocando il calo dei tassi d'interesse. Con finta ingenuità, il liberista Greenspan scrive: "Prima del crollo avevamo operato una stretta sui tassi d'interesse, ma in questo momento li allentammo per tenere l'economia in movimento". Insomma, se l'economia si muove troppo in fretta viene frenata dalla Fed con un rialzo dei tassi d'interesse, e se ciò la rallenta troppo, viene tenuta in movimento con un ribasso.
Occorre, a questo punto, fare alcune osservazioni. La prima riguarda la contraddizione tra teoria liberista e pratica interventista in relazione all'andamento delle borse: se è possibile questa azione pendolare sui tassi d'interesse dove va a finire il principio liberista? La seconda riguarda la conseguenza della manovra sui tassi d'interesse: se essa produce un crollo in borsa, contro la volontà degli esecutori, che fondamento ha la pratica monetaria?
Come abbiamo dimostrato in altro luogo, la pratica monetaria delle banche centrali è incerta e imprevedibile proprio perché non può esistere una teoria monetaria fondata scientificamente. D'altra parte, se anche il crollo in borsa fosse un risultato voluto, si tratterebbe di un obiettivo che esula dalla pratica monetaria e investe questioni politiche che devono rimanere celate. Ad esempio, quando consideriamo la crisi del 1987, dobbiamo guardare oltre il mero andamento delle borse. In gioco c'erano i rapporti tra USA, URSS ed Europa.
Non è un caso che due anni dopo la crisi, nel 1989, l'URSS crollasse sotto il peso dei debiti, in conseguenza del crollo del prezzo del petrolio. Così come non è un caso che il forte rincaro del prezzo del petrolio degli anni '70 avesse riempito i forzieri dell'Unione Sovietica, e che negli anni '80 gli USA riuscissero a intrappolarla in Afghanistan a dilapidare il suo surplus petrolifero, che avrebbe potuto, altrimenti, finanziare lo sviluppo europeo (Ostpolitik). Il caso monetario qui non c'entra perché si tratta di risultati voluti di politiche strategiche complessive.
Riassumendo in breve, dopo aver dilapidato in Afghanistan il tesoro accumulato nel periodo degli alti prezzi dell'energia, l'Unione sovietica si trovò di fronte al mutamento di strategia USA attuato dalla nuova amministrazione Clinton, che rovesciò il rapporto dei prezzi dollaro-petrolio, con la rivalutazione del primo e la caduta del prezzo del secondo: per l'URSS fu la fine. In seguito, durante il secondo mandato dell'era clintoniana, l'accentuata rivalutazione del dollaro e la caduta del prezzo del petrolio (che toccò il fondo arrivando a 12 dollari il barile) danneggiarono quel poco che restava dell'economia russa (la quale ha cominciato a rifiorire soltanto dal 2003, per un ulteriore rovesciamento del rapporto dei prezzi dollaro-petrolio: forte svalutazione per il primo, forte aumento del prezzo per il secondo).
Non è un caso che due anni dopo la crisi, nel 1989, l'URSS crollasse sotto il peso dei debiti, in conseguenza del crollo del prezzo del petrolio. Così come non è un caso che il forte rincaro del prezzo del petrolio degli anni '70 avesse riempito i forzieri dell'Unione Sovietica, e che negli anni '80 gli USA riuscissero a intrappolarla in Afghanistan a dilapidare il suo surplus petrolifero, che avrebbe potuto, altrimenti, finanziare lo sviluppo europeo (Ostpolitik). Il caso monetario qui non c'entra perché si tratta di risultati voluti di politiche strategiche complessive.
Riassumendo in breve, dopo aver dilapidato in Afghanistan il tesoro accumulato nel periodo degli alti prezzi dell'energia, l'Unione sovietica si trovò di fronte al mutamento di strategia USA attuato dalla nuova amministrazione Clinton, che rovesciò il rapporto dei prezzi dollaro-petrolio, con la rivalutazione del primo e la caduta del prezzo del secondo: per l'URSS fu la fine. In seguito, durante il secondo mandato dell'era clintoniana, l'accentuata rivalutazione del dollaro e la caduta del prezzo del petrolio (che toccò il fondo arrivando a 12 dollari il barile) danneggiarono quel poco che restava dell'economia russa (la quale ha cominciato a rifiorire soltanto dal 2003, per un ulteriore rovesciamento del rapporto dei prezzi dollaro-petrolio: forte svalutazione per il primo, forte aumento del prezzo per il secondo).
Intanto, terminata la prima guerra in M.O. contro l'lrak di Saddam Hussein, alla fine del 1993, l'economia americana, sotto il primo mandato dell'amministrazione Clinton, aveva ripreso a tirare. Il Pil cresciuto dell'8,5% dopo la recessione del 1991, continuò a salire del 5,55% l'anno. La Fed, decise di alzare i tassi d'interesse portandoli a 3,25%: si trattò del primo incremento in 5 anni, dalla crisi del 1987. Ricorda Greenspan: "Continuammo a frenare per tutto il 1994, e a fine anno il tasso sui fondi federali arrivò al 5,5%. Nonostante ciò l'economia ebbe un'ottima annata, crebbe del 4% e creò 3,5 milioni di nuovi posti di lavoro, la produttività e i profitti salirono".
Inoltre l'inflazione restò al di sotto del 3% per tre anni consecutivi. Interessante il fatto che Greenspan si vanti dell'"atterraggio morbido" del 1995, considerandolo "uno dei risultati migliori della Fed dopo il mio mandato". Ma, come vedremo, durante il suo mandato, egli poté annoverare un'altra crisi dopo quella del 1987: la crisi del 2000.
"II passaggio più difficile per alcuni membri del consiglio [FOMC] fu l'ultimo aumento: lo 0,5% del 1 febbraio 1995". "L'incremento che fu deciso all'unanimità portò il tasso sui fondi federali al 6%, il doppio rispetto all'anno prima, quando avevamo cominciato a modificarli". Intanto il dollaro era fortemente rivalutato, particolare questo sul quale Greenspan insiste poco, mentre neppure accenna alla specularità tra valore del dollaro e prezzo del petrolio, quest'ultimo caduto nel frattempo ai minimi storici. Per lui esiste soltanto la pendolarità prodotta dall'intervento della Fed sui tassi d'interesse.
A nostro avviso, ancora una volta si voleva mandare in confusione la borsa USA per mettere in crisi le borse concorrenti, ma il tentativo fallì per un evento imprevedibile che produsse un nuovo processo economico di ristrutturazione mondiale, una vera manna per l'economia americana. Si tratta dello sviluppo del software. Ciò che prolungò il ciclo, contro ogni aspettativa, fu lo sviluppo rapidissimo di un nuovo settore, quello informatico.
"il 9 agosto 1995 -scrive Greenspan- passerà alla storia come il giorno in cui cominciò il boom delle dot-com. L'episodio scatenante fu la prima offerta pubblica iniziale (IPO) di Netscope, una minuscola azienda produttrice di software ... " "II giorno che le azioni di Netscope furono quotate, passarono da 28 a 71 dollari l'una, sbalordendo gli investitori della Silicon Valley e Wall Street".
"Era partita la corso all'oro digitale". In poco tempo la Netscope divenne un'azienda miliardaria, dando il via al nuovo titolo di Borsa (il NASDAQ), che in un anno aumentò del 40% il proprio indice. Nel frattempo il Dow Jones superava quota 4000 e poi 5000, senza arrestarsi. Greenspan temeva che si trattasse di una bolla speculativa, ma si rese conto d'essere di fronte a un cambiamento tecnologico epocale, che doveva essere analizzato e compreso. (Continua)
Scritto nel 2009
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