E' giunto il momento per l'autore di questo blog di fare un'altra pausa, ma non prima d'aver riflettuto su uno strano paradosso. In estrema sintesi si può affermare: è la superbia dell'individuo, il quale non accetta di appartenere alla sfera del caso singolare, che ostacola la comprensione della dialettica caso-necessità. E non c'è nulla che abbia sorpreso di più l'autore di questo blog, nella sua quasi trentennale indagine, del numero di prove empiriche sul fenomeno della superbia dell'io, persino del peggiore io che sia capitato sulla terra, del più sfortunato, del più sventurato, del più umiliato, del più mortificato e offeso: superbia che si manifesta nella repulsa della propria condizione oggettivamente casuale.
Nessuno vuole accettare di appartenere, come singolo individuo, alla sfera del caso. Con ciò intendendo che eventi individuali -quali momento della nascita, sesso, costituzione fisica, classe sociale dei genitori, reddito familiare passato, presente e futuro, ma persino stupidità o intelligenza- che appartenengono tutti, e sottolineo tutti, alla sfera del caso (come la fortuna e la sfortuna) vengono concepiti come appartenenti alla sfera della necessità e, di conseguenza, alle responsabilità individuali.
Ora, anche ammettendo che la dialettica caso-necessità sia erronea (ma non lo è), di quanti errori "convenienti" non si è impossessata l'umanità nella sua storia? Allora, ecco un aspetto del paradosso: una teoria che appare discolpare l'individuo, perché lo assegna alla sfera dell'imprevedibile caso -e dovrebbe, perciò, accogliere il favore di una miriade di individui sventurati, falliti e poveri, di una pletora di studiosi che, ad esempio, non hanno avuto dalla loro la buona fortuna di agguantare posti e far carriera, magari per il solo motivo di non aver avuto un santo protettore, una raccomandazione al posto giusto e al momento giusto, ecc.- viene rifiutata per principio: per il principio del... primato individuale!
Anzi, qui troviamo anche un altro paradosso opposto: l'autore di questo blog, che ha risolto la più difficile delle questioni di teoria della conoscenza, rimasta irrisolta per oltre due millenni, deve, per coerenza, accettare con modestia che il suo genio sia nulla, appartenendo anch'esso alla sfera del caso, che si è rovesciato naturalmente nella cieca necessità dell'eccezione statistica. Qualcuno potrebbe obiettare: si, ma avrai pure dovuto studiare, faticare, ecc., perciò avrai pure i tuoi meriti... o no? Non vorresti, perciò, il tuo meritato riconoscimento?
Questa domanda e un'eventuale risposta affermativa ci porterebbero a un ulteriore paradosso. L'esistenza di una specie umana, dominata singolarmente da un individualismo incoercibile, che non riesce a contenersi neppure di fronte alle più contrarie evidenze, rappresenta il primo paradosso per la teoria dialettica caso-necessità. Infatti, per questa teoria, il singolo appartiene alla sfera del caso e tutto in lui parla di imprevedili circostanze, di probabilità, di evenienze inattese, di immeritate fortune o sfortune. Allora dov'è l'àmbito del meritato premio o dell'immeritata mancanza di riconoscimento individuale? E questo è il secondo paradosso. Oggettivamente, il merito individuale non esiste: è stato inventato socialmente, assieme al "prestigio", per consolare gli individui, assoggettati al condizionamento sociale sul quale essi non hanno alcun controllo.
Invece, è la cieca necessità complessiva che si manifesta necessariamente con risultati che non guardano in faccia a nessuno (ad esempio, la necessità di una crisi economica o di una guerra mondiali). Allora, nonostante un individualismo che la globalizzazione ha portato al parossismo, dove va a finire l'illusione individualistica? Ma c'è qualcuno che può contare sulla certezza personale del domani? Del dopodomani? Dell'ultimo giorno della propria vita? La risposta è negativa, con l'aggiunta che a simili domande tutti fanno le spallucce e pensano: non ho tempo né voglia di pensarci .
Ma la conoscenza reale, la scienza, non può arrendersi di fronte a questa debolezza dei singoli individui appartenenti alla specie umana. Non può farlo, pena il fallimento! Non possono farlo, soprattutto, la teoria della conoscenza, le scienze della natura e la scienza della storia, le quali, grazie alla conoscenza della cieca necessità complessiva, dovrebbero guidare la specie umana.
Allora, perché di fronte alla conoscenza reale della natura e della società umana, intese come complessi, si preferisce la consolante bugia della determinazione di causa ed effetto applicata ai singoli eventi e individui? Perché preferire teorie che adulano e blandiscono l'individualismo? In attesa di una risposta convincente, che probabilmente non arriverà mai, l'autore di questo blog si ritira nei suoi studi prendendo temporaneo congedo dai suoi rari e poco entusiasti lettori.
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