Facciamo nostro il titolo del contributo ("politica della scienza") comparso su "Le Scienze" Dicembre 2013, firmato dall'americano David J. Kappos*. Nel sottotitolo, l'autore scrive: "Micro-robot, farmaci personalizzati e altre tecnologie che potrebbero cambiarci la vita restano chiusi in laboratorio, in attesa di finanziamenti. Ecco come possiamo risolvere il problema". Si tratta dunque, principalmente di un problema di finanziamenti, che in sistema capitalistico seguono l'ovvia logica del profitto.
Kappos cerca di essere persuasivo con i seguenti argomenti: i laboratori scientifici continuano a fare continue scoperte. "Ma i successi della scienza non si traducono automaticamente in tecnologie capaci di conquistare il mondo. Questa trasmissione richiede tempo, denaro e pazienza: risorse che oggi scarseggiano". Perciò, "per ora viviamo di rendita e andiamo avanti solo grazie agli investimenti del passato"
Kappos cerca di essere persuasivo con i seguenti argomenti: i laboratori scientifici continuano a fare continue scoperte. "Ma i successi della scienza non si traducono automaticamente in tecnologie capaci di conquistare il mondo. Questa trasmissione richiede tempo, denaro e pazienza: risorse che oggi scarseggiano". Perciò, "per ora viviamo di rendita e andiamo avanti solo grazie agli investimenti del passato"
Qualcuno potrebbe aggiungere: è la crisi economica! Chi scrive sottolinea, invece, la senescenza del capitalismo che, per sopravvivere, ha bisogno di ricostituenti nella forma di elevati profitti. Kappos continua imperterrito: "Così oggi molte tecnologie che potrebbero essere rivoluzionarie per la società di domani restano in attesa, ricche di potenziale ma povere di finanziamenti". Non gli mancano gli esempi: dai farmaci personalizzati ai micro-robot tanto piccoli da essere inseriti nel corpo umano, ai veicoli miniaturizzati che volano senza pilota (ma i droni già esistono!). Per terminare con la domanda fatidica: "Ma se i fondi pubblici si riducono e le aziende si concentrano sullo sviluppo dei loro prodotti a breve termine, chi finanzierà queste nuove tecnologie?"
Poi l'autore mostra, con degli esempi, alcuni importanti risultanti tecnologici che, soltanto con finanziamenti adeguati, sono stati prodotti. Ma aggiunge che oggi tutti pensano al breve termine: è il breve periodo che riceve pressioni: "Le pressioni del mercato sul breve periodo hanno già scoraggiato gli investimenti in tecnologie solari e trasporti elettrici. Per quanto riguarda le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, la National Academy of Sciences ha già dichiarato che negli Stati Uniti "la ricerca di base di lungo periodo mirata a scoperte fondamentali è retrocessa a favore della ricerca di breve periodo destinata a prodotti incrementali e evolutivi, il cui scopo principale è migliorare prodotti e servizi già esistenti"." E l'OCSE aggiunge: "Le aziende richiedono un tipo di ricerca e sviluppo che offra risultati a breve termine e tempi di recupero dell'investimento più rapidi".
Insomma, chi decide è la necessità cieca dell'investimento capitalistico che, in tempi di crisi, pretende rientri rapidi e profitti immediati. Per non parlare della concorrenza tra Occidente e Oriente, soprattutto tra Usa, Cina e India. Kappos si avvia alle conclusioni del suo articolo appellandosi ai "Fondi a sufficienza", a motivo dei quali inanella una sfilza di "dovrebbero": "Le agenzie federali dovrebbero aiutare le università a includere l'innovazione nei requisiti delle borse di studio. Le università che sfruttano la loro proprietà intellettuale in collaborazione con l'industria dovrebbero ..." ecc. ecc.
Infine, il capoverso conclusivo esalta il dover essere di kantiana memoria: "Il concetto base dietro tutte queste idee è che dobbiamo cambiare la nostra cultura in un'altra che riconosca il valore degli investimenti a lungo termine e crei incentivi ragionevoli. Se riusciremo avremo costruito un ecosistema dell'innovazione che continuerà a trasformare la grande scena nelle tecnologie innovative per un altro secolo". Peccato che, per il capitalismo senescente, il problema non sia quello di creare tecnologie innovative "per un altro secolo", ma quello di poter essere ancora in grado di creare condizioni economiche e politiche che gli permettano di sopravvivere un altro secolo, senza perire in grandi crisi economiche o in grandi guerre militari.
*David J. Kappos, ex sottosegretario del Departmente of Commerce e capo dello United States Patent and Trademark Office, e partner dello studio legale Cravath, ecc. ecc.
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