domenica 11 settembre 2011

11 settembre: un argomento che ne facilita la comprensione

Occorre partire dall'anno 1998, quando l'amministrazione Clinton spinse per ottenere il consenso internazionale all'intervento militare americano in Iraq, secondo le norme del "multilateralismo", ma con una precisazione, quella espressa nella formula dell'allora segretario di Stato M. Galbraith: "Multilateralmente quando possiamo, e unilateralmente quando dobbiamo". Clinton, però, non ottenne "multilateralmente" né l'approvazione dei paesi arabi né quella del resto del mondo, e molte furono le critiche alla "arroganza del potere di Washington".

Per capire la situazione di allora, occorre riflettere su questo argomento addotto da Noam Chomsky: "Supponiamo che il Consiglio di Sicurezza avesse autorizzato l'uso della forza per punire l'Iraq, colpevole di aver violato la risoluzione 687 dell'ONU sul cessate il fuoco. Tale autorizzazione avrebbe avuto valore per tutti gli Stati: per esempio l'Iran, che avrebbe dunque acquistato il diritto di invadere l'Iraq meridionale e organizzare una ribellione"*. In altre parole, essendo un paese confinante, l'Iran avrebbe potuto reclamare un diritto all'intervento militare superiore a quello preteso dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra.

Chomsky non poteva certo immaginare che questo argomento avrebbe facilitato la comprensione del tragico evento dell'11 settembre di tre anni dopo: infatti, se gli Stati Uniti, per poter attaccare l'Iraq, avevano bisogno di un pretesto che desse loro un diritto (morale) superiore a quello di tutti gli altri Stati, ebbene l'11 settembre è stato questo pretesto! Così, fallito il "multilateralismo quando possiamo" di Clinton, avrebbe potuto iniziare la fase dell'"unilateralismo quando dobbiamo" di Bush Junior. E quale argomento poteva essere più forte del diritto-dovere di riscattare l'onore americano offeso dall'attacco terroristico contro il Pentagono e le Twin Tower, cuore pulsante di New York?

Ma perché l'America ha avuto bisogno di punire l'Iraq? "L'idea base -scrive Chomsky- è che, benché la guerra fredda sia finita, gli Stati Uniti avrebbero ancora la responsabilità di proteggere il mondo: ma da chi?" La risposta non è difficile: basta ricordare che questa pretesa responsabilità ha costituito il pretesto per il mantenimento della "pax americana" per oltre mezzo secolo. Chomsky si limita ad alludere: "Evidentemente non dalla minaccia del "nazionalismo radicale", cioè dal rifiuto di sottomettersi alla volontà del potente. Idee del genere sono sostenibili solo nei documenti programmatici interni, non di fronte all'opinione pubblica".

Infatti, sono idee che riflettono troppo chiaramente la realtà egemonica, ma non aiutano a guadagnarsi il consenso popolare. Per ottenere questo consenso, occorre nascondere la realtà, conquistando l'opinione pubblica con pretesti. "C'era bisogno di nuovi nemici", dichiara cinicamente Chomsky, il quale aggiunge che i nuovi nemici, contro i quali mobilitare la opinione pubblica, furono presto trovati: nella "criminalità" all'interno del territorio americano e negli "Stati canaglia" all'esterno.

"All'estero, le minacce dovevano diventare il "terrorismo internazionale", i "narcotrafficanti ispanici" e, la più grave di tutte, gli "Stati canaglia"." A questo punto, si può tranquillamente affermare che questi nemici esterni furono trovati subito, anche perché è stato facile trovare ciò che era già stato predisposto in attesa di un futuro utilizzo.

* Da "Atti di aggressione e di controllo" (2000)

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Tratto da "Scritti sulla globalizzazione" (2005-2007)
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