mercoledì 21 settembre 2011

Lezione 2° sviluppo e conclusioni sulla teoria della conoscenza di Kuhn

Che cosa si deve intendere per scienza

Kuhn* nega l'"accumulazione" nella scienza, ossia che "una nuova conoscenza verrebbe a sostituire l'ignoranza piuttosto che una conoscenza già presente, ma di tipo diverso e incompatibile". L'idea di una conoscenza "diversa e incompatibile" è solo una frase senza senso, perché, se si trattasse di conoscenze soltanto diverse, non si comprende in base a quale criterio alcune dovrebbero essere incompatibili. Bisogna quindi ammettere che una "nuova conoscenza" sostituisce una "vecchia conoscenza" la quale ignorava questo o quel fatto, quindi rappresentava o una conoscenza parziale, limitata, approssimativa, oppure anche una falsa conoscenza, un  errore.

Riguardo alla "accumulazione" nella scienza, se si intendesse accumulazione di tutte le teorie, anche di quelle superate o completamente erronee, significherebbe concepirla come semplice accumulo, aumento indiscriminato. Ma se una nuova conoscenza  toglie di mezzo una vecchia conoscenza (il che significa, di fatto, che "verrebbe a sostituire l'ignoranza" di questa vecchia conoscenza e tutte le sue numerose "diverse versioni" accumulate nei periodi di "crisi"), ciò rappresenta nel contempo un'accumulazione e una diminuzione: accumulazione, nel senso che aggiunge la conoscenza di ciò che in precedenza si ignorava; diminuzione, nel senso che in un colpo ci sbarazza della precedente produzione di false conoscenze, di falsi problemi e di tutta una serie di aggiustamenti ormai superflui.

Ma "sostituire l'ignoranza" è un modo di dire assai grossolano e molto generico. Se è vero che si ignora ciò che non si conosce, poiché la non conoscenza ha molte forme, così è anche per l'ignoranza. Ad esempio, la teoria del flogisto non ignorava certi fatti, li interpretava all'incontrario, facendo passare per mancanza di una cosa inesistente ciò che era la presenza della reale cosa esistente: l'ossigeno. Ma nel caso dei raggi X si trattava dell'ignoranza del fatto e della cosa che lo produceva: i raggi X. Nel primo caso "sostituire l'ignoranza" ha significato l'elaborazione di una nuova teoria e l'eliminazione di un accumulo inutile di falsa conoscenza; nel secondo ha significato soltanto creare una nuova teoria.

"Tuttavia -
dice Kuhn- la tesi di uno sviluppo cumulativo dei problemi e dei criteri scientifici è ancor più difficile da sostenere della tesi dell'accumulazione di teorie". Che significa questa distinzione? Ogni teoria ha i suoi problemi e i suoi criteri scientifici, perciò l'accumulazione di teorie è lo stesso che l'accumulazione di problemi e di criteri scientifici. Qui occorre intendersi: parliamo di scienza esatta, come spesso si pretende, o della scienza d'oggi che non fa altro che accumulare "sublimi sciocchezze", ossia falsi problemi, rompicapi risolti da illusori paradigmi?

Dice ancora Kuhn che "nel XX secolo Einstein riuscì a spiegare l'attrazione gravitazionale, e tale spiegazione ha riportato la scienza verso un insieme di canoni e di problemi che, sotto questo particolare aspetto, assomigliano più a quello dei predecessori di Newton che a quelli dei suoi successori". L'osservazione sarebbe giusta se si precisasse che Einstein in questo modo non è riuscito a riflettere scientificamente la gravitazione, e che è tornato indietro rispetto a Newton, geometrizzando l'universo come fecero prima di lui Platone e Cartesio.

Data una cosa, un fatto, un fenomeno, ecc. il problema è come rispecchiarlo scientificamente. La teoria scientifica deve realizzare questo rispecchiamento. Una generica teoria è, invece, un modo di concepire i fatti della natura, e diverse teorie per una stessa cosa significano punti di vista differenti. Ma di questi, quali appartengono di diritto alla vera scienza? Solo quello che riflette la natura, ossia il mondo esterno, e non quelli che lo interpretano a proprio piacimento.

Per Kuhn, scoprendo l'ossigeno, Lavoisier vide la natura in modo differente e, "se non vogliamo in qualche modo far ricorso a quella ipotetica natura immutabile che egli "vide in modo differente", il principio di economia (sic!) ci costringe ad affermare che, dopo la scoperta dell'ossigeno, Lavoisier operò in un mondo differente". Però non si preoccupa di sapere se Lavoisier ha visto la natura in modo più esatto, ossia se egli ha sostituito una teoria errata, la precedente teoria flogistica, con una teoria che rifletta la natura: si preoccupa, invece, del fatto che "vedere in modo differente" la natura presupponga l'ammissione di una natura immutabile, ossia di un mondo esterno indipendente dalla conoscenza umana. Presupposto inammissibile per la teoria scientifica contemporanea, che, al posto di soluzioni reali, impone soluzioni fittizie e convenzionali. Così non si deve dire che Lavoisier "vide in modo differente", ma che "operò in un mondo differente".

Kuhn si deve appellare a un preteso principio neopositivistico, il principio di economia, che di fatto è un principio convenzionale, per affermare che, se vediamo un fatto della natura in modo differente dalle teorie del passato, noi operiamo in un mondo differente, altrimenti si dovrebbe ammettere che vediamo in modo differente una natura immutabile. E ciò per lui è inammissibile. Insomma non è ammissibile che la scienza possa sbagliare e cambiare idea sulla natura, e ciò accade realmente; mentre un principio convenzionale ci dovrebbe imporre che, se cambiamo idea sulla natura, è quest'ultima che è cambiata, ma ciò "accade" solo per convenzione.

Riprendendo il confronto tra Priestley e Lavoisier, Kuhn sintetizza così la sua concezione di teoria della scienza: "Priestley e Lavoisier videro tutt'e due ossigeno, ma interpretarono la loro osservazioni in modo differente". E questa sarebbe la "conoscenza diversa e incompatibile". "Sebbene il mondo non cambi per un mutamento di paradigma, lo scienziato si trova poi a lavorare in un mondo differente".

La banalizzazione della teoria scientifica per opera di Kuhn  non può essere giudicata solo in base ai concetti della teoria della conoscenza, rispetto ai quali, la "conoscenza diversa e incompatibile" e l'operare dello scienziato "in un mondo differente", appaiono due nanerottoli in mezzo a una schiera di giganti. Il fatto è che questi due princìpi lillipuziani servono a giustificare una massa inverosimile di teorie fittizie e convenzionali che, se da un lato rendono leggera e spensierata la vita degli scienziati contemporanei, dall'altro opprimono la conoscenza scientifica.

1) Riguardo al secondo principio, l'operare "in un mondo differente", si tratta di una chiara concessione al convenzionalismo contemporaneo che è un miscuglio eclettico delle più diverse versioni di convenzionalismo, a cominciare da Kant, per continuare con Mach, Ostwald, ecc., per finire con i logici formali. La concessione è presentata in una forma molto accattivante: accettate la mia teoria dei paradigmi, come super partes -sembra dire Kuhn- e avrete il vantaggio di poter cambiare il mondo secondo il vostro modo di vedere, secondo il vostro paradigma, senza timore d'essere confutati. Il peggio che vi potrà capitare è di vedere giudicato il vostro modo di vedere come risultato dell'operare in "un mondo differente".

2) Riguardo al primo principio, "la conoscenza diversa e incompatibile", si tratta di lusinga della vanità degli stupidi, rassicurata dal fatto di vedere posti sullo stesso piano l'acume di Lavoisier e la cecità di Priestley. Sembra quasi che, equiparando le numerose stupidità alle rare genialità del passato, si vogliano mettere al riparo le ancor più numerose stupidità del presente, le quali saranno giudicate soltanto come conoscenze diverse e, male che vada, incompatibili con la teoria che ha vinto la competizione.

In questo modo non solo si giustifica, ma anche si legittima, l'attuale tendenza verso le "libere creazioni della mente" che produce diversi modelli del mondo, insieme con i fatti e le regole d'interpretazione. Questo è il modo di procedere della scienza naturale nella nostra epoca, con il quale non è la scienza (e la teoria scientifica) a progredire, ma solo la tecnologia, e in una misura inimmaginabile soltanto mezzo secolo fa. Questo progresso si basa su poche nozioni scientifiche ben collaudate e su una collaudata capacità pratica, sostenuta da ingenti investimenti finanziari, di costruire macchine sempre più all'avanguardia, con materiali sempre più nuovi, duttili e resistenti. La corsa alle tecnologie più avanzate è senza requie, mentre la scienza teorica non riesce a fare un solo passo avanti.

Stando così le cose, che cosa significa affermare, come fa Kuhn, che la scienza progredisce in modo tale che soltanto ciò che progredisce è scienza? Egli sostiene che "Il termine "scienza" è riservato ai campi che progrediscono in maniera evidente", e che noi "tendiamo a considerare scienza ogni campo in cui il progresso è notevole". In questo modo confonde la scienza con la tecnologia, e crede che sia progresso scientifico ciò che è soltanto progresso tecnologico. Ad esempio, quale progresso più evidente di quello della corsa agli armamenti? E dovremmo prenderlo per progresso scientifico? Per giungere ad esprimere simili opinioni, occorre non aver compreso nulla delle scienze della natura e della teoria scientifica. E ciò non deve stupire, perché, come vedremo, la concezione di Kuhn è fondata sull'ignoranza.

Giustificazione dell'ignoranza

Scrive Kuhn che nei rami della scienza naturale "lo studente impara principalmente dai manuali, (e) comincia a fare ricerche originali per proprio conto. Molti curricola scientifici non richiedono a studenti di corsi post universitari di leggere opere che non siano scritte espressamente per studenti. I rari professori che consigliano letture supplementari di articoli e monografie, si limitano a farlo nei corsi più avanzati e per materiali che cominciano più o meno là dove i trattati a disposizione finiscono. Fino agli ultimi stadi dell'educazione di uno scienziato i manuali sostituiscono sistematicamente la letteratura scientifica creativa che li ha resi disponibili. Data la fiducia nei loro paradigmi, che rende possibile questa tecnica educativa, pochi scienziati desidererebbero cambiarla. Perché, dopotutto, lo studente di fisica dovrebbe leggere ad esempio opere di Newton, Faraday, Einstein o Schrodinger, dal momento che tutto quello che ha bisogno di conoscere su queste opere è ricapitolato in forma molto più breve, più precisa (sic!) e più sistematica in numerosi manuali aggiornati?"

Se le cose stanno in questi termini, Kuhn ha messo, inconsapevolmente, il dito nella piaga: lo scienziato di oggi è soltanto uno studente di manuali, capace solo, quando è bravo, di risolvere i rompicapi sollevati dai paradigmi che ha appreso da questi manuali. Certamente, simili scienziati, che ignorano tutte le difficili questioni della scienza, persino quelle attinenti al proprio campo, non si porranno mai il problema se nella scienza la verità è una sola, e neppure se esiste una verità della scienza. Lo specialismo manualistico fa sì che un fisico termodinamico, ad esempio, è solo un termodinamico che deve risolvere i rompicapi della termodinamica.

Ora, se il rompicapo risolto è, per Kuhn, "la misura della conquista scientifica", perché darsi tanta pena per il fatto che "possiamo vederci costretti ad abbandonare la convinzione, esplicita o implicita che mutamenti di paradigmi portino gli scienziati, e coloro che ne seguono gli ammaestramenti, sempre più vicino alla realtà"? Per il tipico scienziato, formato sui manuali, questa convinzione non esiste e non costituisce neppure un problema. Se poi una "crisi" porta un nuovo paradigma, si dovranno soltanto pubblicare nuovi manuali "aggiornati", ciò che rappresenta sempre un buon affare editoriale. E lo scienziato, ex studente di manuali, che ha studiato acriticamente i suoi paradigmi, non dovrebbe essere minimamente turbato da motivi teorici, riguardo alle crisi dei paradigmi, ma soltanto da motivi pratici, come, ad esempio, il fastidio di dover studiare nuove regole, mai viste prima.

Abbiamo osservato che le crisi nelle scienze della natura hanno sempre portato gli scienziati alla filosofia, anche se alla peggior specie di filosofia. Ma si trattava di un "lusso" del passato. Come può accadere oggi, se lo scienziato è soltanto uno studente di manuali? Allora, perché Kuhn ne fa una questione? Forse perché la questione della verità è come una bandiera che, lasciata cadere dagli scienziati, può essere raccolta da studiosi che restano fuori dalla "torre d'avorio" della comunità scientifica, i quali potrebbero pretendere delle verità e non delle chimere dalla conoscenza?

Sta di fatto che Kuhn sente il bisogno di negare che la scienza abbia come scopo la ricerca della verità. E giunge a questo mirabile risultato prendendosela con la teleologia: "Siamo tutti profondamente abituati a vedere la scienza come un'impresa che si avvicina costantemente sempre di più a uno scopo stabilito in anticipo dalla natura". "Ma è poi necessario che esista un tale scopo?" Non è affatto necessario, dato che la natura non ha scopi. Ma, dalla negazione del finalismo dei processi naturali non consegue che l'uomo non abbia come scopo conoscere la verità della natura (ed è già una verità comprendere che la natura è cieca e incosciente). Per Kuhn, invece, "E' veramente d'aiuto immaginare che esista qualche completa, oggettiva, vera spiegazione della natura e che la misura appropriata della conquista scientifica è la misura in cui essa si avvicina a questo scopo finale?"

Qui è evidente che Kuhn, per ignoranza epistemologica, confonde l'inesistente finalismo della natura con il necessario finalismo della conoscenza umana. La natura non ha scopi e non può averne perché essa non è altro che la totalità dei processi che riguardano la cieca e incosciente evoluzione della materia nel cosmo. La specie umana, invece, ha scopi e può averne perché rappresenta la coscienza della natura. E il suo principale scopo è quello di conoscere la natura senza scopi. Ritenere che l'uomo non possa avere lo scopo di conoscere la natura, perché la natura (ossia il complesso dei ciechi e incoscienti processi materiali) non ha scopi, significa pretendere che la specie umana, persino nella sua rappresentanza scientifica, debba rimanere cieca come lo sono, molto naturalmente, gli animali.

Conclusioni sul pensiero di Kuhn

Kuhn ha razionalizzato e legittimato la scienza contemporanea nel suo aspetto più deleterio, quello della divisione di ogni branca della scienza della natura in piccoli gruppi di scienziati "ignoranti", che si limitano a rivaleggiare tra loro. A questa gente, egli ha proposto di accettare come comune denominatore il concetto di "paradigma" al posto del concetto di teoria scientifica, e la locuzione "soluzione dei rompicapi" al posto della necessaria soluzione delle difficili questioni teoriche della scienza.

Ora, nonostante che gli scienziati, soprattutto i fisici matematici, si divertano un mondo a risolvere rompicapi, questo termine non è divenuto di moda ed è caduto in oblio, mentre si è affermato quello di "paradigma": ogni teoria, dalla più generale concezione cosmologica al più particolare modello di buco nero, può fregiarsi del titolo di paradigma e ogni scienziato, ogni piccolo gruppo di scienziati, ogni scuola, ecc. può affermare a gran voce di fare scienza secondo il proprio paradigma.

Infine, chiunque accetti l'idea che la scienza è il luogo in cui si lavora soltanto mediante una pluralità di paradigmi, deve accettarne anche il corollario, e cioè che non esiste paradigma che possa mirare alla conoscenza della verità, al rispecchiamento dei processi naturali mediante leggi scientifiche, ma deve accontentarsi di risolvere problemi (prevalentemente matematici in fisica), secondo le regole definite dal paradigma stesso.

In conclusione, la concezione offerta da Kuhn alla comunità scientifica è una concezione riduzionistica, in quanto privilegia singoli "rompicapi", ed è, nel contempo, una concezione di piccolo cabotaggio in quanto si ferma alla soluzione di singoli, particolari problemi, senza preoccuparsi affatto di considerare e conoscere i complessi necessari della natura.

* Thomas Kuhn, "La struttura delle rivoluzioni scientifiche", (1962).

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Primo volume Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito
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