Tratto da "Scritti sulla globalizzazione" (2005-2007)
Con gli anni '80 il moralismo piccolo borghese individualista è tornato alla ribalta e si è preso la sua rivincita sostenendo il fallimento delle teorie che attribuivano all'interesse economico complessivo e al modo di produzione capitalistico la reale responsabilità dei mali del mondo. Questo moralismo è tornato ad attribuire all'individuo la responsabilità morale per quei mali che in realtà lo sovrastano come cieca necessità complessiva. L'intellettuale contemporaneo, che ha fatto sua questa idea di fondo, ha perduto ogni interesse per i complessi umani, per dedicarsi soltanto all'individuo: l'individuo diventa così il protagonista dell'agire umano, e, proprio in quanto agisce, diventa responsabile della condizione umana; in questo modo è sì protagonista, ma solo in senso morale.
Il modo in cui Zigmunt Bauman espone questa concezione in "La decadenza degli intellettuali" (1987) è paradossale: infatti, come si sarebbe manifestata la decadenza degli intellettuali, secondo Bauman? Se essi avevano preteso guidare il capitalismo "come legislatori", ma poi, fallito il tentativo della "ricerca di un particolare regime di ordine", non è loro rimasta altra strada che "vivere al di fuori di esso o di tornare ai loro ruoli ermeneutici come interpreti", non è questo ripiego a denunciare la loro reale decadenza? La decadenza degli intellettuali è allora lo scadimento di sociologi come Bauman che hanno creduto di cavarsela come interpreti del modo di operare dell'umanità, ponendo in primo piano il comportamento morale dell'individuo
Con gli anni '80 il moralismo piccolo borghese individualista è tornato alla ribalta e si è preso la sua rivincita sostenendo il fallimento delle teorie che attribuivano all'interesse economico complessivo e al modo di produzione capitalistico la reale responsabilità dei mali del mondo. Questo moralismo è tornato ad attribuire all'individuo la responsabilità morale per quei mali che in realtà lo sovrastano come cieca necessità complessiva. L'intellettuale contemporaneo, che ha fatto sua questa idea di fondo, ha perduto ogni interesse per i complessi umani, per dedicarsi soltanto all'individuo: l'individuo diventa così il protagonista dell'agire umano, e, proprio in quanto agisce, diventa responsabile della condizione umana; in questo modo è sì protagonista, ma solo in senso morale.
Il modo in cui Zigmunt Bauman espone questa concezione in "La decadenza degli intellettuali" (1987) è paradossale: infatti, come si sarebbe manifestata la decadenza degli intellettuali, secondo Bauman? Se essi avevano preteso guidare il capitalismo "come legislatori", ma poi, fallito il tentativo della "ricerca di un particolare regime di ordine", non è loro rimasta altra strada che "vivere al di fuori di esso o di tornare ai loro ruoli ermeneutici come interpreti", non è questo ripiego a denunciare la loro reale decadenza? La decadenza degli intellettuali è allora lo scadimento di sociologi come Bauman che hanno creduto di cavarsela come interpreti del modo di operare dell'umanità, ponendo in primo piano il comportamento morale dell'individuo
Un esempio di decadente ermeneutica è mostrato in "Modernità ed olocausto". Di fronte agli orrori prodotti dalla seconda guerra mondiale, la cui responsabilità ricade interamente sulla lotta tra le principali potenze capitalistiche per l'egemonia mondiale, che cosa fa l'ermeneutico Bauman? Forse prende in considerazione la cieca necessità del capitalismo imperialistico che ha provocato una guerra mondiale orrenda, con stragi senza fine di eserciti e di popolazioni civili? No! Egli pone "i sociologi, orgogliosi sostenitori del progetto moderno, di fronte al fatto dell'olocausto come conseguenza della modernità, non il suo errato funzionamento, ma il suo terribile risultato", per dire loro che l'olocausto non è stato uno dei principali orrori prodotti dal capitalismo in guerra per motivi di egemonia imperialistica, ma è stato il risultato del normale comportamento degli individui "moderni"!
Bauman sostiene la tesi che l'olocausto è stato il terribile risultato della "modernità": come se la tendenza all'olocausto fosse una manifestazione dell'essenza stessa dell'individuo "moderno". Insomma, come se gli individui tendessero a compiere atti disumani e crudeli nelle condizioni normali della "modernità", e non invece dopo aver subito per anni condizioni di abbrutimento e di violenza disumani, quali solo la seconda guerra mondiale ha potuto produrre. Invece di attribuire gli orrori senza limiti a una guerra tra potenze imperialistiche, guerra generata dalle loro esigenze di espansione e di egemonia, Bauman attribuisce l'olocausto all'ordine della "modernità", cioè a una vuota astrazione. Dopo di che arriva a sostenere che all'ordine della "modernità" non c'è da opporre un ordine diverso: "Il diverso da un ordine non è un altro ordine; il caos è la sua alternativa".
Anche astraendo dal fatto che il caos (caso) non è il "diverso", ma l'opposto polare dell'ordine (necessità), e l'uno senza l'altro non possono essere concepiti senza far torto alla logica dialettica, Bauman non prende in considerazione il fatto che la seconda guerra mondiale ha rappresentato la distruzione del vecchio ordine mondiale (distruzione anche fisica, con devastazioni di città, edifici, industrie, ecc.), e quindi ha rappresentato il momento del "caos" (momento, durante il quale gli individui hanno potuto perdere ogni forma di solidarietà umana, finendo prede passive e attive di ogni forma di crudeltà e ferocia).
Ma, alla fine, l'ordine mondiale è stato ristabilito, ed è stato un preciso ordine, quello imposto dal vincitore. L'alternativa al vecchio ordine, dopo il caos della seconda guerra mondiale, non è stato un generico e astratto caos, ma uno specifico e concreto ordine, quello che qualsiasi storico, anche il più modesto, conosce col nome di "Pax americana".