mercoledì 14 settembre 2011

Lezione 1° Paradigmi e rompicapi di Kuhn. Sulla crisi dei paradigmi.

Come premessa a questa prima lezione, si consiglia di leggere il post uscito il 25 luglio 2010: "Paradigmi per risolvere rompicapi: la concezione di piccolo cabotaggio della scienza", nel quale avevamo stabilito che la concezione dei paradigmi di Kuhn teorizzava e giustificava la situazione attuale della teoria della conoscenza, dominata da uno specialismo esasperato, legittimando una scienza di piccolo cabotaggio, per la quale, dato un paradigma e dati dei rompicapi, non si trattava d'altro che di bravura, perchè lo scienziato veramente abile sarebbe riuscito a trovare la soluzione.

Concludevamo così: "Con questa piatta e banale concezione, che si avvale di due soli striminziti concetti: il paradigma e il rompicapo da risovere, Kuhn chiude l'epoca delle concezioni teoriche e apre quella del piccolo cabotaggio della scienza, funzionale al pluralismo democratico delle teorie scientifiche. E la faccenda potrebbe anche essere chiusa qui, se non fosse che l'alta considerazione con la quale la comunità scientifica ha accolto la concezione di Kuhn ci sconsiglia di liquidarla in due sole paginette. Perciò accingiamoci ad approfondirla nei suoi aspetti essenziali".

Paradigmi e rompicapi di Kuhn*

Secondo Kuhn, la scienza normale, con i suoi paradigmi accettati da tutti e trascritti nei manuali, non spiega "l'entusiasmo e la devozione" del ricercatore normale. Dove sta allora il fascino? Non certo nella noiosa ripetizione di misurazioni sempre più perfezionate. Il fatto è che, sebbene il risultato finale sia in genere noto, "la via da seguire per ottenere quel risultato rimane ancora sconosciuta". "Portare un problema della ricerca normale alla sua conclusione equivale ad ottenere ciò che si è anticipato, in modo nuovo, e ciò richiede la soluzione di tutta una serie di complessi rompicapi strumentali, concettuali e matematici. Colui che riesce nell'impresa si dimostra un esperto solutore di rompicapi, e la sfida del rompicapo è una parte importante delle ragioni che di solito lo spingono in avanti".

Il fascino consiste, dunque, nel mettere alla prova le proprie capacità, perché i rompicapi sono appunto "quella speciale categoria di problemi che possono servire a mettere alla prova la propria ingegnosità o abilità a risolverli". Dice ancora Kuhn che "la ricerca scientifica nel suo complesso di tanto in tanto si dimostra utile, apre nuovi territori, fa ordine e verifica la validità di teorie per molto tempo accettate. Nondimeno, l'individuo impegnato in un problema della ricerca normale non fa mai queste cose. Una volta che si è impegnato nell'impresa, le sue motivazioni sono di tipo completamente diverso. Ciò che allora lo guida è il convincimento che, solo che sia abbastanza abile, riuscirà a risolvere un rompicapo che nessuno prima di lui ha saputo risolvere o ha risolto così bene. Molte fra le più grandi menti scientifiche hanno dedicato tutta la loro attenzione professionale a rompicapi impegnativi del genere".

In termini puramente sociologici, senza tenere in nessun conto gli interessi della conoscenza, Kuhn consacra il carattere individualistico dell'attività scientifica, per cui la scienza appare solo occupazione di gente malata di protagonismo che opera singolarmente e cocciutamente alla soluzione di singoli rompicapi. Ora, se è vero che la scienza ufficiale è proprio questa, e quindi non può offrire altro che paradigmi per la soluzione di rompicapi, e per la soddisfazione personale di singoli o piccoli gruppi di scienziati, è anche vero che la scienza reale, o reale capacità di conoscenza della specie umana, deve fornire teorie per la soluzione delle difficili questioni.

Nella scienza ufficiale tutto risulta appiattito nel concetto di paradigma per la soluzione di rompicapi, che pone sullo stesso piano una questione fondamentale rimasta irrisolta e un problema di infima importanza. D'altra parte è puramente casuale che a Tizio tocchi una questione difficile e a Caio un problema da nulla: casuale nel senso che, dal punto di vista dei singoli individui, è un puro caso anche il fatto che uno sia intelligente e un altro uno sciocco. Ma, dal punto di vista della scienza reale, la cui necessità si fa continuamente beffa dei singoli contributi scientifici, abbandonandoli ai capricci del caso, la verifica delle teorie e l'apertura di nuovi territori non avviene direttamente mediante singoli numerosi contributi individuali casuali, ma attraverso risultati rari ed eccezionali, spesso da nessuno voluti, che s'impongono con la dura necessità, solo apparentemente improvvisa, di modificare o anche abbandonare vecchie teorie.

Prendiamo l'esempio citato da Khun: la scoperta dell'ossigeno. Prima il gas viene identificato da Priestley nel 1774, ma non viene riconosciuto, perché, per coerenza con la teoria allora in voga, viene interpretato come aria priva di flogisto. Un anno dopo, nel 1775, Lavoisier lo interpreta come aria senza alterazioni, e solo dopo altri due anni, nel 1777, lo identifica come un elemento distinto. Da ciò Kuhn giunge alla mirabile scoperta che la soluzione del rompicapo "è un processo che richiede del tempo". Ma se avesse riflettuto un pò più a fondo, avrebbe tratto come conseguenza che ogni scoperta scientifica richiede molto più tempo di quello che va dall'identificazione di una cosa alla sua comprensione: bisogna mettere nel conto anche il periodo in cui la cosa agiva, produceva i suoi effetti, ma tutto veniva interpretato al rovescio.

Che cosa rappresenta, allora, la scoperta scientifica? Dal punto di vista singolo, essa appare all'improvviso casualmente; ma, in quanto rarità pregiata, essa rappresenta la necessità che viene fuori dopo molti anni, decenni e persino secoli, durante i quali la maggior parte degli scienziati si sono rotti la testa per produrre un'infinità di sciocchezze: altro che soluzione di rompicapi!

La singola scoperta è sempre casuale e in un doppio senso: 1) nel senso che, scoprire una cosa o un rapporto del quale prima non si aveva neppure il sentore, può avvenire solo per caso, altrimenti si dovrebbe presupporre la possibilità di cercare premeditatamente ciò che per noi non esiste ancora e potrebbe anche non esistere mai; 2) nel senso che la scoperta è spesso tanto casuale quanto può esserlo cercare una cosa nota e trovarne un'altra ignota, come è accaduto con la scoperta dei raggi X. Scoperta una cosa nuova o nuove manifestazioni di una cosa già nota, si tratta di riflettere; ma, spesso, la riflessione scientifica è ostacolata dal fardello di una falsa teoria dominante, com'è avvenuto con la teoria flogistica. Altre volte, invece, la riflessione è favorita dall'esistenza di una previsione teorica, come nel caso dei raggi X, quando era stata prevista l'esistenza di numerose forme di radiazioni visibili, infrarosse e ultraviolette.

Ma il favore delle circostanze teoriche può, a sua volta incontrare un ostacolo nella pratica sperimentale. La scoperta dei raggi X, ad esempio, portò scompiglio fra gli sperimentatori perché, trattandosi di un fenomeno spontaneo, rappresentava quel caso imprevedibile da loro sempre temuto. Da quel momento, non solo si sarebbero dovuti schermare con il piombo tutti gli apparecchi da sperimentazione, ma si sarebbero dovuti rivedere tutti gli esperimenti del passato, nei quali i raggi X avrebbero potuto manifestarsi come variabile incontrollata. E non è ancora finita, perché le conseguenze sperimentali negative della scoperta dei raggi X furono poi ampiamente compensate dall'apertura di nuovi campi di ricerca e dalla possibilità di applicazioni pratiche molto importanti come, ad esempio, nel campo della medicina.
   
Poiché è Khun che ci segnala tutte queste contraddizioni, non si comprende da dove egli tragga gli elementi per la sua piatta e insulsa concezione del "paradigma per la soluzione di rompicapi", e della scoperta scientifica come semplice modificazione di paradigmi. 

Sulla crisi dei paradigmi

Riguardo alla teoria del flogisto che ostacolò la scoperta dell'ossigeno, Kuhn scrive: "Quando nei primi anni del decennio 1770-1778, Lavoisier cominciò i suoi esperimenti sui diversi tipi di aria, v'erano quasi altrettante versioni della teoria del flogisto quanti erano i chimici che studiavano i gas". E conclude: "Una tale proliferazione di versioni diverse di una teoria è di solito sinonimo di crisi". Sinonimo di crisi, sì, ma di una falsa teoria: infatti, le "versioni diverse" che cosa rappresentano, se non vane correzioni di una teoria errata? E queste vane correzioni non sono proprio ciò che Kuhn chiama "paradigmi per la soluzione di rompicapi"? Che cosa è, infatti, un "rompicapo", se non l'inevitabile conseguenza di una falsa teoria, risolto il quale non si fa altro che spostare il problema irrisolto da un'altra parte, creando un altro rompicapo, e così via all'infinito?

Osservando la "diverse versioni" del sistema tolemaico, Kuhn giunge proprio a questa conclusione, dicendo che, quanto meno esso era capace di risolvere i problemi astronomici, tanto più cresceva la sua complessità e a un ritmo molto più rapido della sua accuratezza: così una discrepanza, corretta in un punto, saltava fuori in un altro punto. Di fronte alle vicende del sistema tolemaico che assomigliano molto alle attuali vicende della teoria della relatività, anche considerando che esse hanno in comune lo stesso oggetto da risolvere, il cosmo, a quali conclusioni generali giunge Kuhn? Che la crisi di una teoria è soltanto l'occasione per l'affermazione di un'altra teoria competitiva. Così, semplicemente, se l'astronomia tolemaica "non era riuscita a risolvere i suoi problemi, era venuto il momento di offrire a un competitore l'opportunità di affermarsi".

Questo è il risultato teorico cui poteva giungere soltanto la storica incapacità di pensare degli anglosassoni, che, nella seconda parte del Novecento, si è manifestata nel più insulso sociologismo: mancanza di pensiero che ha contraddistinto scienziati naturalisti e teorici della scienza, completamente digiuni dei reali problemi filosofici della teoria della conoscenza.

Kuhn osserva giustamente che solo nei periodi di crisi gli scienziati diventano filosofi, ma poi su questa tendenza all'improvvisazione non compie alcuna critica. Perciò, se noi vogliamo capire che cosa significhi per degli scienziati improvvisarsi filosofi, dobbiamo rivolgerci a un'autorità dell'Ottocento che aveva osservato lo stesso fenomeno. Nella prima prefazione all'Antidhuring, Engels scriveva, a proposito delle "spensierate tendenze" filosofiche degli scienziati della natura: "proposizioni stabilite da secoli nella filosofia, proposizioni liquidate filosoficamente abbastanza spesso da gran tempo, vengono abbastanza spesso fuori in ricercatori naturalisti come sapienza nuova fiammante e diventano addirittura, per un certo tempo, di moda".

Engels osservava, inoltre, che, buttata a mare tutta la dialettica hegeliana e non soltanto i suoi detriti, si buttò a mare, così, la dialettica "proprio nel momento in cui il carattere dialettico dei processi naturali s'imponeva irresistibilmente, in cui pertanto solo la dialettica poteva aiutare le scienze naturali a scalare le erte della teoria; si ricadde con ciò senza scampo nelle braccia della vecchia metafisica". E dopo aver indicato alcuni autori, campioni di metafisica, concludeva: "nelle università si fecero concorrenza le più svariate specie di eclettismo, che in una sola cosa andavano d'accordo: nell'essere raffazzonate con rifiuti di filosofie tramontate, e nell'essere tutte egualmente metafisiche". "Il risultato finale furono la incoerenza e la confusione del pensiero teorico attualmente imperanti".

E' trascorso più di un secolo, ma il dominio della incoerenza e della confusione del pensiero teorico è ancora attuale. Così come è ancora attuale l'unica via d'uscita, indicata da Engels: il ritorno al pensiero dialettico. Non ci rimane che citare quest'ultimo passo: "E' ben difficile prendere in mano un libro scientifico teorico senza ricevere l'impressione che gli stessi scienziati naturalisti sentono, quando sono dominati da questa incoerenza e da questa confusione, come la cosiddetta filosofia oggi corrente non offra loro assolutamente alcuna via d'uscita. E qui non c'è nessun'altra via d'uscita, nessuna possibilità di pervenire alla chiarezza, se non il ritorno, nell'una o nell'altra forma, dal pensiero metafisico a quello dialettico". Non ci troviamo oggi nella medesima situazione?

* Thomas Kuhn, "La struttura delle rivoluzioni scientifiche" (1962).

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume primo  Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito
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