mercoledì 7 settembre 2011

Il niente e il caso di Severino: l'annullamento della conoscenza

Il filosofo Emanuele Severino, nel suo saggio, "La legge e il caso", pubblicato nel 1979, dopo aver precisato di considerare la verità nel significato greco di "epistéme", cioè come qualcosa che riesce a stare ferma e immutabile, sostiene che "il sogno della verità è finito, allora la parola "verità" non può significare altro che capacità di dominio, potenza, e la parola "errore" impotenza. La "verità" di una teoria è decisa dallo scontro pratico con l'avversario. Questo è anche il significato della seconda tesi su Feuerbach di Marx".

Sembra quasi che l'autore abbia bisogno di concludere che la verità scientifica è un sogno, un'illusione, per poter liquidare l'intera concezione di Marx come esempio di volontà di potenza. Ma per far questo deve trasformare la tesi di Marx, secondo la quale la vera prova della verità teorica è la pratica, nella tesi che la verità è provata soltanto nello scontro con l'avversario.

Se Monod, in "Caso e necessità" (1971), sulla base del principio cibernetico di teleonomia ha giudicato la maggior parte delle teorie, compreso il materialismo dialettico, teorie animistiche, Severino, sulla base del principio degli "immutabili", mette tutte le teorie nello stesso sacco, per potersene sbarazzare più facilmente (rimanendo con il "niente"!): "Gli immutabili e gli eterni che l'Occidente ha evocato per salvarsi, cioè per dominare l'irruzione del divenire, sono stati, di volta in volta, il dio della tradizione greco-cristiana e il dio dell'immanentismo moderno, l'ordine e il diritto naturali, così il bene e il bello (che si rispecchiano nel retto operare e nell'opera d'arte); l'anima immortale dell'uomo, l'autorità e l'insegnamento del "figlio di Dio" e della Chiesa, l'autorità del padrone e del monarca dello stato, i rapporti di produzione dell'economia capitalistica, la legge morale, il determinismo della natura, la razionalità dialettica della storia, l'irreversibilità del tempo, la società comunista come sbocco della lotta di classe".

Dopo aver posto nel sacco degli indistinti immutabili tutte le concezioni del passato, ed essersi così sbarazzato dall'incombenza di doverle affrontare, per evitare lui stesso il rischio di incorrere nell'"errore" o nell'"impotenza", a Severino non resta altro da fare che intrattenere il lettore con un argomento vuoto quanto può esserlo appunto "il niente e il caso". Egli parte dal concetto di legge [che per noi rappresenta l'essenza del fenomeno], che concepisce come lo stabile, il permanente e l'immutabile; quindi aggiunge: poiché la realtà è divenire, la legge "spoglia il divenire da ogni imprevedibilità". [Per noi, la legge non elimina l'imprevedibilità, ma, in quanto coglie l'essenza del fenomeno, scopre la necessità, rovesciamento della casualità e questo è il significato principale di legge scientifica: essa non prende in considerazione l'imprevedibile, il casuale del fenomeno ma, per così dire, lo lascia andare per la sua strada].

Ora, sebbene fin qui Severino non abbia chiarito il significato di legge scientifica, non si può neppure dire che sia in errore. E' solo quando afferma che l'immutabile "impedisce al divenire di essere divenire, al caso di essere caso", che egli capovolge il reale rapporto tra realtà e conoscenza. E' il caso relativo ai singoli, infiniti aspetti del fenomeno che, semmai, impedisce alla legge di rappresentare il fenomeno stesso nella sua essenza: ossia nel suo aspetto complessivo necessario, nel quale si annulla, appunto, la casualità singolare, permettendo in questo modo l'espressione della legge di necessità.

Metafisicamente, Severino vede una opposizione diametrale tra il divenire e l'esistente: "L'irruzione del divenire minaccia le cose esistenti perché ciò che irrompe è nuovo, imprevedibile, inatteso". Quindi, attribuisce all'antico pensiero greco la preoccupazione nei confronti del divenire, senza tenere presente che questo pensiero era riuscito a formulare, con Eraclito, la dialettica, che ammetteva il divenire: panta rei, tutto scorre. E', invece, il pensiero metafisico (che concepisce le cose come stabili, fisse, date una volta per tutte) a sentirsi minacciato dal divenire. Se le cose sono in divenire, questo divenire comprende sia lo stabile e il permanente sia l'inatteso e il mutevole: in altre parole, nel divenire di ogni cosa c'è una determinato rapporto di caso e necessità.

Poiché è Severino qui a rifiutare l'immutabile, nel senso della necessità, ossia a rifiutare il secondo polo della dialettica caso-necessità, è ovvio che gli rimanga solo il primo, il caso. Ma con il solo caso non si può fare niente. Cosi, egli ci fornisce un saggio di quel che può fare con il niente del solo caso: il vaso di argilla era niente prima di essere vaso; certo il vaso era fatto di argilla, ma anche l'argilla era niente prima di essere argilla; e, via di questo passo, andando a ritroso, si può arrivare alle particelle ultime che erano niente prima dell'"uovo cosmico".

Una simile concezione può essere considerata un esempio estremo di teoria anarchica fondata sul puro caso: Severino, ritrovandosi con il niente e il caso, può solo concepire una teoria anarchica. Per lui persino le regolarità sono un puro caso; infatti scrive: "nella scienza moderna la trasformazione delle leggi causali in leggi probabilistiche è una trasformazione in leggi che esprimono appunto la frequenza degli eventi che confermano casualmente una certa previsione". Non si rende conto che la frequenza è la necessità statistica nella quale si rovescia dialetticamente il caso probabilistico.

Per valutare lo scadimento del pensiero anarchico può, infine, bastare il seguente vaniloquio di Severino con il quale chiudiamo il discorso: "La legge e il caso di cui parla la teoria delle probabilità sono due aspetti del caso in quanto accadere che accade dal niente. In questo senso, ogni legge scientifica (probabilistica o causale) è legge del caso; e non è questo un paradosso che debba essere dissipato dall'analisi del linguaggio, ma è la situazione in cui la volontà di potenza deve venire a trovarsi per poter dominare il divenire senza vanificarlo illusoriamente".

Altro è il paradosso! Il paradosso è che la pretesa volontà di potenza della conoscenza umana abbia partorito una teoria anarchica, come quella denunciata da Severino, che rappresenta una inequivocabile manifestazione di impotenza teorica.

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume primo Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito
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