sabato 17 settembre 2011

La questione demografica nella globalizzazione

La tabella che segue (tratta dalla "Storia minima della popolazione mondiale", 1998, di Massimo Livi Bacci) evidenzia di per sé un fatto davvero sorprendente:

In milioni
Anno       Ricchi     Poveri      Mondo      Ricchi: poveri
1900        563         1.071        1.636             1:1,9
1950        809         1.711        2.520             1:2,1
2000     1.186         4.972        6.158             1:4,2

iniziare l'Ottocento con 1 miliardo di esseri umani e terminarlo con poco più di 1 miliardo e mezzo, è una cosa. Iniziare il Novecento con poco più di 1 miliardo e mezzo e terminarlo con oltre 6 miliardi è cosa completamente diversa, già di per sé esagerata. Se a ciò si aggiunge che la povertà è quintuplicata, passando da poco più di 1 miliardo del 1900 a quasi 5 miliardi del 2000, quale aggettivo superlativo dovremmo scomodare per qualificare un simile risultato, ottenuto per giunta nel secolo del miracolo economico?

Occorre sottolineare, innanzi tutto, quanto segue: il capitalismo, nella sua fase senile imperialistica, ha usufruito di una accelerazione, rispetto alla sua fase matura; ma oggi, nella sua fase senescente, quella della globalizzazione, invece di decelerare, accresce ulteriormente la sua accelerazione. Contemporaneamente si manifesta un'altra accelerazione, quella demografica con il solo contributo della crescita delle popolazioni più povere, deboli e indifese.

Questa evidente contraddizione, invece d'essere analizzata e compresa, ha prodotto semplicemente una grande preoccupazione nei confronti della crescita demografica: nel regno della borghesia opulenta e dei grandi miliardari non ci si è chiesti perché lo sviluppo capitalistico abbia permesso l'incredibile aumento demografico della popolazione povera; ci si è limitati semplicemente a rifiutare questo fenomeno attribuendolo a un errore demografico. Quindi è sembrato del tutto normale preoccuparsi soltanto di trovare dei rimedi.

Questa preoccupazione risale agli anni Settanta del Novecento. Da allora la questione principale, alla quale si pretese di rispondere con varie stime, riguardò la capacità di popolamento della Terra. Livi bacci, a questo proposito cita uno studio di Joel Cohen che ha passato in rassegna tutti i tentativi noti di stima di questa capacità. Delle 93 stime riportate, 17 dànno una capacità di popolamento fino a 5 miliardi di individui, 28 tra i 5 e i 10 miliardi, 13 tra i 10 e i 15 miliardi, 8 tra i 15 e i 25 miliardi, 13 tra i 25 e i 50 miliardi, 11 oltre i 50 miliardi.

Livi Bacci conclude: "La mediana delle stime cade sui 10 miliardi, un livello che le ultime previsioni delle Nazioni Unite prevedono sia raggiunto attorno al 2050". La conclusione è bizzarra: come si fa a stabilire una "mediana" tra stime così diverse tra loro? Come si può applicare la statistica a 93 stime così arbitrarie e soggettive?

Alessandro Lanza nel suo libro, "Lo sviluppo sostenibile" (1999), scrive: "Di recente è stata fatta una rassegna di 63 diverse stime che hanno valutato il numero massimo sostenibile arrivando a risultati estremamente differenti: da 1 a 1000 miliardi di abitanti, tuttavia (!) il 40% delle stime cade in un intervallo tra gli 8 e i 16 miliardi, con una tendenza a contrarsi intorno agli 8". E ancora: "Di recente le Nazioni Unite hanno rivisto le proiezioni relative alla popolazione giungendo alla conclusione che la popolazione mondiale potrebbe stabilizzarsi intorno agli 11 miliardi nel 2200".

Più che previsioni scientifiche, sembrano speranze e auspici: insomma si spera che la popolazione mondiale non superi gli 8 miliardi nei prossimi 50 anni e si auspica che la popolazione mondiale si stabilizzi attorno ai 10-11 miliardi in un futuro più o meno lontano.

Ora, qualunque sarà il risultato che la realtà provvederà a far conoscere alle future generazioni, la questione demografica, ossia la questione del popolamento del globo terrestre nei prossimi secoli, è teoricamente (e solo teoricamente) molto semplice, in quanto dipende soltanto dalla differenza tra due misure: il numero delle nascite (tasso di natalità) e la durata media di vita (tasso di mortalità).

Cerchiamo di riflettere su queste due misure. Nell'epoca primitiva, gli alti tassi di natalità erano annullati dalla breve durata media di vita, in particolare dagli alti tassi di mortalità infantile. Nella recente epoca della crescita demografica accelerata, i bassi tassi di natalità dei paesi sviluppati sono ampiamente compensati dall'aumento della durata media di vita, ma gli alti tassi di natalità dei paesi meno sviluppati non sono annullati da alti tassi di mortalità.

Nel mondo, dal secondo dopoguerra ad oggi, c'è stato complessivamente non solo un elevato tasso di natalità, ma anche una forte riduzione della mortalità. A un incremento percentuale della natalità mondiale che si è attestato, oggi, poco sotto il 2%, si è accompagnato un aumento della "speranza di vita", eo. Se, nel periodo 1950-55, eo = 46,4 anni, nel periodo 1990-95, eo = 64,7 anni. Un incremento di quasi venti anni.

A questo incremento eccezionale hanno contribuito solo in parte i PSA, per i quali eo è passato da 66,5 a 74,3 anni (+8 anni circa); il maggior contributo è stato dato dai PVS che, partendo da un dato molto basso di 40,9 anni sono arrivati a 62,9, un incremento di più di 20 anni. Il contributo più consistente è venuto dalle due superpotenze demografiche: Cina e India, passate, rispettivamente, da 40,8 a 68,5 anni (un incremento di quasi 28 anni!) e da 38,7 a 60,4 anni (un incremento di quasi 22 anni!).

Infine, occorre considerare la circostanza dell'iniziale riduzione della natalità nei PVS, ad esempio in Cina; ma questa riduzione non è sufficiente a rallentare la crescita demografica, secondo le speranze manifestate di recente dalle Nazioni Unite e secondo l'assurda idea espressa da Livi Bacci, che la specie umana sia "provvista di meccanismi di "autoregolazione" che permettono la rapida ricerca dell'equilibrio tra popolazione e risorse".

La ragione di tante speranze destinate a rimanere deluse non ha a che vedere direttamente con la demografia, ma con l'economia, o meglio, con le conseguenze che l'economia genera sulla demografia. E' ciò che vedremo nel prossimo paragrafo.

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Tratto da "Scritti sulla globalizzazione" (2005-2007).
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