Quando Proudhon pubblicò la "Filosofia della miseria", Marx gli rispose con la "Miseria della filosofia"; quando Duhring uscì con le sue "sublimi sciocchezze", Engels gli rispose con "L'Antiduhring": in entrambi i casi, quello che oggi chiameremmo "dibattito" si svolse con i tempi lunghi della conoscenza. Era qualcosa di serio, sulla cui qualità si poteva fare affidamento, indipendentemente dalla parte alla quale ciascuno poteva decidere di accordare il proprio favore.
Oggi, i dibattiti non solo riguardano ogni genere di argomento, dal più rilevante al più futile, ma si svolgono nei tempi brevi dell'ignoranza: tempi buoni per i quotidiani e per le trasmissioni televisive, non per la conoscenza. Dov'è finito il tempo dello studio su argomenti fondamentali? Dov'è finito il tempo della riflessione che non si appaga della prima ideuzza che passa per la mente?
Questi tempi sono finiti nello spazio-tempo unidimensionale della società dello shopping, la quale, come insegnano i sociologi innamorati del postmoderno, ha una gran fretta di metter fretta: quella fretta irritante che i conduttori televisivi impongono agli ospiti, quella fretta che banalizza ogni domanda e ogni risposta nei dibattiti alla Gad Lerner, solo per indicare uno dei più noti. La stessa fretta che, del resto, si trova nei quotidiani più letti, ad esempio in Italia: Il Corriere della Sera e La Repubblica. Anche qui dibattiti frettolosi, tipo usa e getta, che, se pretendi partecipare, ti senti un ritardatario anche al solo pensiero che il dibattito del momento presto finirà col lasciar posto al successivo.
Oggi, i dibattiti non solo riguardano ogni genere di argomento, dal più rilevante al più futile, ma si svolgono nei tempi brevi dell'ignoranza: tempi buoni per i quotidiani e per le trasmissioni televisive, non per la conoscenza. Dov'è finito il tempo dello studio su argomenti fondamentali? Dov'è finito il tempo della riflessione che non si appaga della prima ideuzza che passa per la mente?
Questi tempi sono finiti nello spazio-tempo unidimensionale della società dello shopping, la quale, come insegnano i sociologi innamorati del postmoderno, ha una gran fretta di metter fretta: quella fretta irritante che i conduttori televisivi impongono agli ospiti, quella fretta che banalizza ogni domanda e ogni risposta nei dibattiti alla Gad Lerner, solo per indicare uno dei più noti. La stessa fretta che, del resto, si trova nei quotidiani più letti, ad esempio in Italia: Il Corriere della Sera e La Repubblica. Anche qui dibattiti frettolosi, tipo usa e getta, che, se pretendi partecipare, ti senti un ritardatario anche al solo pensiero che il dibattito del momento presto finirà col lasciar posto al successivo.
Chi scrive ha raccolto il materiale relativo al dibattito sul "nuovo realismo": insomma c'è un filosofo, Ferraris (allievo di Derrida, passato attraverso il "decostruttivismo", il "postmodernismo", e il "pensiero debole" di Rovatti e Vattimo), che adesso afferma la necessità di un "nuovo realismo", fingendo di non sapere quante versioni di realismo già esistono nei manuali di filosofia, che formano fior di specialisti, fior di studiosi di filosofia della scienza come Elena Castellani, i quali non sanno più come uscirne. E ne vogliamo aggiungere altri di realismi? Tralasciando quell'unico vero che, come abbiamo cercato di spiegare, è stato messo in castigo, dietro la lavagna, con il berretto d'asino del "realismo ingenuo"?
Chi scrive si chiede: come si fà, in un dibattito pluralistico a più voci e a più interessi di parte, a cogliere l'unica realtà esistente, quando gli interessi degli individui, nella società globale, sono così differenziati che quasi a nessuno piace la medesima realtà. Per fare un solo esempio, come si fa a conciliare la realtà spirituale di un cattolico fervente con la realtà materiale di un biologo molecolare? Per non dire che si può credere di essere veri realisti (così si dichiarava anche Berkeley), ma guai a collegare la realtà con la materia: sarebbe un errore imperdonabile! Ma, allora, a che cosa mai si può agganciare la realtà? Ai sogni dei sonnambuli?
Ma, infine, che cosa è un dibattito contemporaneo? E' inevitabilmente l'espressione più concreta del pluralismo relativistico dei nostri tempi. Allora, che significato può avere, per la conoscenza, dibattere sul "realismo"? Un dibattito, per sua natura, deve accontentare tutti, e ciò può avvenire solo quando si dibatte su scelte contingenti, come ad esempio eseguire dei lavori condominiali. Ma stabilire la realtà o la conoscenza reale non può essere una questione di mettere d'accordo tutti in senso pluralista: qui o si è in errore o si è nel giusto. Finora, soltanto errori, per timore di contraddire o l'assolutismo del dogma dei teologi o il relativismo del pluralisti. In questa situazione si sentiva proprio il bisogno di un "nuovo realismo"!?
Nel dibattito sul "nuovo realismo", c'è persino chi ha sostenuto su "Avvenire": "La tesi materialistica, sotto la veste del nuovo naturalismo, è oggi diffusissima e ci vuole poco coi tempi che corrono per identificare realismo e materialismo. L'esito sarebbe un disguido di prima grandezza..."
Ebbene, accettiamo l'esito: così avremo finalmente la realtà materiale, sottoposta alla dialettica caso-necessità, che la scienza può e deve conoscere. Questo è il compito dell'unica specie cosciente. Altrimenti continueremo a essere una specie che poteva essere cosciente, ma che in realtà si è accontentata di pensare e di raccontare frottole: il nuovo realismo è una di queste. Per questo motivo ce ne disinteressiamo, abbandonandolo al suo destino: ossia al dibattito post-post moderno che lo smonterà in brevissimo tempo.