giovedì 8 luglio 2010

L'incompresa necessità dialettica nella concezione di Jacques Monod

Nel suo libro, "Il Caso e la necessità", pubblicato nel 1970, il premio Nobel per la medicina, J. Monod, dopo aver osservato che i cristalli e gli organismi viventi si distinguono da ogni altro oggetto a causa della riproduzione invariante della propria struttura, e aver precisato che "le strutture cristalline rappresentano una quantità di informazione inferiore di parecchi ordini di grandezza rispetto a quella che si trasmette di generazione in generazione negli esseri viventi, anche nei più semplici", conclude: "questo criterio puramente quantitativo -è bene sottolinearlo- consente di distinguere gli esseri viventi da tutti gli altri oggetti, compresi i cristalli".

Occorre invece sottolineare, come aveva osservato Engels, che "questo punto di vista matematico unilaterale", trascurando le differenze qualitative, favorisce la concezione meccanicistica per la quale "la quantità si converte in qualità". Una semplice quantità non permette, però, di distinguere diverse qualità, perché soltanto "una variazione quantitativa modifica la qualità". ("Dialettica della natura") Ma, immaginare di poter distinguere la qualità inerente la vita dalla qualità inerente oggetti inanimati come i cristalli, mediante la pura quantità di informazioni, non è soltanto un errore del "punto di vista matematico unilaterale", è anche un errore specifico della nuova concezione della biologia molecolare, che prende il nome di teoria del codice genetico, la quale si fonda su concetti e idee tratte dalla cibernetica e dall'informatica.

Questa nuova concezione, nella versione divulgata da autori come Monod, Mayr, ecc., si fonda soprattutto sul concetto di teleonomia. In questo capitolo ci proponiamo di dimostrare che la concezione teleonomica rappresenta una soluzione convenzionale e fittizia dell'irrisolto problema del rapporto caso-necessità. Per questo scopo, il saggio di Monod rappresenta il nostro punto di partenza.

"La pietra angolare del metodo scientifico -scrive l'autore- è il postulato della oggettività della natura, vale a dire il rifiuto sistematico di considerare la possibilità di pervenire a una conoscenza "vera" mediante qualsiasi interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali, cioè di "progetto"." "Ma l'oggettività ci obbliga a riconoscere il carattere teleonomico degli esseri viventi, ad ammettere che, nelle loro strutture e prestazioni, essi realizzano e perseguono un progetto. Vi è dunque, almeno in apparenza, una profonda contraddizione epistemologica. Il problema centrale della biologia consiste proprio in questa contraddizione che occorre risolvere se essa è solo apparente, e dimostrare insolubile se è reale".

Con quest'ultima frase del passo citato, Monod svela il suo modo di pensare metafisico: solo il pensiero metafisico può pensare di risolvere le contraddizioni apparenti, ritenendo insolubili quelle reali. Per il pensiero dialettico è l'opposto: una contraddizione apparente è qualcosa che si può lasciare ai filosofi, mentre una contraddizione reale può essere risolta come opposizione dialettica. Ma la contraddizione individuata da Monod è solo apparente, perché, nel dichiarare oggettivo il carattere teleonomico degli esseri viventi, egli afferma semplicemente il principio teleologico nella nuova forma cibernetica.

Avendo posto all'inizio del suo saggio una contraddizione solo apparente, Monod ha dimostrato di avere a cuore ben altro che la soluzione della difficile questione del rapporto caso-necessità. Infatti, è proprio perché i fatti osservati in biologia molecolare potevano indirizzare verso la soluzione dialettica di questo rapporto che Monod ha pensato bene di sbarazzarsi della dialettica materialistica, dopo aver dichiarato ipocritamente d'aver voluto ricostruire per punti "il profondo pensiero del fondatori del materialismo dialettico".

La questione fondamentale della teoria della conoscenza è il riflesso nella coscienza umana del mondo esterno, indipendente da essa. Il pensiero umano deve quindi essere capace di elaborare concetti e strumenti di indagine che permettano questo riflesso. Monod, non appena tocca questa fondamentale questione, sembra emozionarsi senza ritegno e perde completamente il lume della ragione: "Il mondo esterno 'riflesso dal pensiero umano': è questo in effetti il nocciolo della questione. La logica della inversione (!) esige evidentemente (!) che tale riflesso sia molto di più (!) di una trasposizione, più o meno fedele, del mondo esterno". Di evidente qui c'è soltanto l'imbarazzo di un metafisico che di fronte alla dialettica riesce solo a balbettare frasi senza senso!

Se, con queste frasi da azzeccagarbugli, egli ha inteso dire che il pensiero deve fare molto di più che riflettere il mondo esterno, allora ha detto una stupidaggine; se, invece, ha inteso un'altra cosa, proprio non riusciamo a comprenderlo, perché non riusciamo a trovare il senso di  frasi tanto contorte e reticenti. Ponendosi il problema del riflesso del pensiero umano, considerandolo la vera questione di fondo, Monod aveva comunque due alternative: o affrontarlo avendo in mente come obiettivo l'interesse della teoria della conoscenza, oppure scadere al livello della peggiore ideologia. Egli ha scelto la seconda via, percorrendola senza alcuno scrupolo, neppure quello di cadere nel ridicolo. Così ha dichiarato il fallimento del materialismo dialettico, affermando che l'esempio dei chicchi di granturco, usato da Engels, illustra "soprattutto l'entità dei guai epistemologici provocati dall'uso "scientifico" delle interpretazioni dialettiche".

Come presto vedremo, Monod ha respinto le "interpretazioni dialettiche" poco prima di compiere un plagio dialettico, sia pur emendato in senso metafisico, ossia nel suo abituale modo di pensare. Abbiamo già considerato, nel primo volume di questa opera, che il pensiero metafisico, quando non è più riuscito a vedere la necessità deterministica, ha proclamato drammaticamente la "legge del caso". Così fa Monod, di fronte al groviglio inestricabile delle proteine. La nota dolente per i biologi molecolari venne dalla descrizione della prima sequenza completa di una proteina globulare, realizzata da F. Singer nel 1952. "Fu questa -scrive Monod- ad un tempo una rivelazione e una delusione". Perché fu una delusione? "Perché non vi si scorgeva nessuna particolarità, nessuna limitazione" (ossia nessuna necessità). La ricostruzione di altre centinaia di sequenze di proteine diverse acuì lo sconforto, a tal punto da far dichiarare: "oggi si può dedurre la legge generale: la legge del caso".

Ma se la legge generale della vita è la legge del caso, ciò significa che la legge generale è la mancanza di leggi scientifiche. E allora dove va a finire la scienza? Monod deve averlo pensato se, dopo avere dichiarato la legge del caso, va a cercare anche la legge della necessità. E così scrive: "Ma se, in questo senso, qualsiasi struttura primaria ci appare come il puro risultato di una scelta casuale effettuata, per ciascun anello della catena, tra i venti residui disponibili, in un altro senso, altrettanto significativo, si deve riconoscere che questa sequenza reale non è stata affatto sintetizzata a caso, poiché lo stesso ordine si ripete, praticamente senza errori, in tutte le molecole della proteina considerata".

Monod, intitolando il suo saggio "Il caso e la necessità", si riprometteva di risolvere la più difficile questione della teoria scientifica in relazione alla biologia molecolare, dove il caso si mostra ovunque e la necessità sembra scomparire. Ma fin qui egli si ritrova con due sfere completamente separate tra loro, anche temporalmente: prima viene il caso, poi la necessità; e come si passa da una sfera all'altra? "Il caso -egli scrive- è captato, conservato e riprodotto dal meccanismo dell'invarianza e trasformato in regola e necessità". Questa è la sua soluzione, che rappresenta un plagio della dialettica materialistica, perchè il concetto di trasformazione di un polo nel suo opposto è un concetto dialettico. Ma la forma in cui Monod immagina questa trasformazione è metafisica, perché egli non è capace di pensare in altro modo: qui il caso viene "captato, conservato e riprodotto" da un meccanismo invariante, qui la faccenda è concepita nei termini del più rigido meccanicismo.

Nella concezione di Monod, esiste un meccanismo DNA-proteine, “che sfida qualunque descrizione 'dialettica'." Questo meccanismo è "fondamentalmente cartesiano e non hegeliano: la cellula è proprio una macchina"! Una macchina ben strana questa, che continuamente si modifica per alterazioni accidentali. E allora, poiché queste alterazioni casuali "rappresentano la sola fonte possibile di modificazione del testo genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell'organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all'origine di ogni novità, di ogni creazione della biosfera". Quindi anche l'origine della vita non può che essere casuale. La conclusione è drammatica: "Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell'evoluzione". E questa è per Monod  "l'unica ipotesi possibile".

Il pensiero metafisico, con Monod, ha consegnato alla teoria della conoscenza una contraddizione irrisolta: da un lato l'assoluta casualità dell'origine della vita e delle mutazioni biologiche; dall'altro, l'assoluta necessità del meccanismo invariante DNA-proteine. Questa concezione assolutamente metafisica si vede però costretta a prendere dalla dialettica il passaggio dal caso al suo opposto, la necessità. Ma non può fare altro che affermarlo una volta per tutte, come se in questo modo la faccenda fosse definitivamente chiusa. Così Monod scrive: "Ma una volta iscritto nella struttura del DNA l'avvenimento singolare, e in quanto tale imprevedibile, verrà automaticamente e fedelmente replicato e trattato, ( ... ). Uscito dall'ambito del puro caso entra in quello della necessità, della più inesorabile determinazione".

Con la sola affermazione della trasformazione (passaggio) del caso in necessità, affermazione plagiata dalla dialettica, Monod ha di fatto sbarazzato il campo della biologia molecolare dalla casualità. Così i biologi molecolari potranno tranquillamente uscire dall'ambito del puro caso dichiarandolo responsabile delle mutazioni, ed entrare nell'ambito della più inesorabile determinazione, dove tutto viene indagato come un meccanismo o parte di un meccanismo invariante.


Tratto da "Caso e necessità - l'enigma svelato - Volume terzo  Biologia." (1993-2002) Inedito

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